Sono sempre stato attratto positivamente dalle opere prime pubblicate da giovani scrittori e/o poeti. Ciò che mi domando, prima di cominciare a leggere l’opera, è se mi troverò davanti ad una scrittura originale, quali inclinazioni sorreggono il testo, se ci sono influenze di scrittori che hanno preceduto l’autore. Ne La città del vizio, opera prima di Angela Bevilacqua, giovanissima napoletana (è del 1996!), tutto gira intorno ai sette vizi capitali incaricati dal diavolo affinché raccolgono più anime possibili per l’inferno, contrastati da tre sorelle (Fede, Speranza e Carità, ma solo Speranza alla fine resisterà, anche perché si dice che la speranza è l’ultima a morire) che si materializzano sulla strada del protagonista, Elia Roversi, un giovane barbone caduto in disgrazia a seguito di una grave colpa commessa che lo porta alla depressione e all’alcolismo, uno di quegli ultimi che la società ripudiano, costringendoli a vivere ai margini.
La città del vizio è un romanzo “visionario”, surreale, tipo fantasy, però senza astronavi, alieni, ominidi, galassie sconosciute etc., dove il protagonista viene condotto e posto di fronte ai vizi capitali, una sorta di redenzione ma anche una sfida sulle qualità umane di Elia che gli accadimenti negativi della vita non l’hanno portato alla distruzione, allo smarrimento di se stesso; anzi, le negative vicissitudini che ha dovuto subire hanno contribuito a propendere più verso il bene.
Non ci troviamo di fronte ad un linguaggio originale, bensì di fronte ad un linguaggio classico, quasi liturgico, dove la presenza religiosa e mitologica è ben presente che però non priva il lettore della curiosità e di una buona lettura. Insomma, siamo di fronte alla classica lotta tra il bene e il male, dove i personaggi sono caratterizzati in base ai vizi che rappresentano: Solo l’incontro con una ragazza cambieranno le sorti di Elia e che lo aiuterà a riscrivere le sorti della sua vita.
Dunque, anche per Elia, come per tutti i diseredati dalla vita, alla fine ci sarà un riscatto: grazie all’aiuto di Accidia che lo conduce in una specie di Paese dei Balocchi di collodiana memoria, dove si possono realizzare i propri desideri. Il desiderio di Elia è quello di riprendersi la sua vita. Come ci riuscirà? Lo chiediamo all’autrice.
Come riuscirà il protagonista a riprendersi la sua vita?
Quello che seguiamo attraverso la storia è il percorso di redenzione di Elia. Contrariamente a ogni aspettativa la sua permanenza nella Città del Vizio è catartica quindi, invece di distruggerlo, questo luogo infernale gli aprirà la strada verso la rinascita spirituale. Fondamentale per la sua salvezza sarà l’incontro con una misteriosa ragazza che si trova nella Città del Vizio non per sua scelta o per colpa, ma perché vi è stata condotta contro tutte le regole che vigono in quel luogo. Sarà proprio lei, inizialmente, ad aprire gli occhi al nostro protagonista.
Prima di proseguire, vuole presentarsi ai nostri lettori? Chi è Angela Bevilacqua?
Sono una ragazza che ha tanti sogni e che è molto determinata a realizzarli. Le mie più grandi passioni sono tre: il cinema, la scrittura e il disegno e spero di poter fare di ognuna di queste il mio lavoro. All’età di diciassette anni ho realizzato un cortometraggio intitolato “Il teatro dei ricordi” (interpretato dall’attore francese Jean Sorel) che è stato selezionato nella sezione “short corner” di Cannes ed è stato presentato come evento speciale al Festival di Giffoni. Attualmente frequento il corso di cinema fotografia e televisione dell’Accademia di Belle Arti di Napoli e “La Città del Vizio” è il mio primo romanzo.
Come nasce questo romanzo?
Nasce proprio dalla mia passione per il disegno: un giorno mi sono divertita a immaginare i sette vizi capitali sotto forma di personificazioni e dopo averli raffigurati ognuno con le proprie peculiari caratteristiche, mi sono detta che sarebbe stato bello costruirvi attorno una storia. Il resto è venuto da sé! Tra l’altro anche l’illustrazione sulla copertina è opera mia e raccoglie tutto il senso del libro.
Qual è il messaggio che racchiude questo volume?
Sicuramente con questo volume voglio dire che vi è una possibilità di riscatto per tutti e che nulla è mai veramente perduto. Dopotutto l’uomo è un essere composto sia di luci che di ombre e in certe situazioni chiunque potrebbe intraprendere la strada sbagliata, ma si può sempre tornare indietro.
Alla fine del volume il protagonista ci esorta a reagire, a rialzarsi, lasciandosi i guai alle spalle. Oggi ci appare quasi impossibile questa rinascita, per via di una società “disumana”. Dipende solo da noi e dalla nostra forza di volontà, come dice il protagonista, o occorre altro?
Io sono fortemente convinta che la forza di volontà possa tutto, siamo noi che siamo troppo deboli e ci facciamo scudo delle nostre paure e delle difficoltà che la società ci oppone, anche se spesso occorrerebbe la sinergia di più persone, altrimenti si rischia di combattere contro i mulini a vento!
C’è qualche legame in questa narrazione con l’altra sua passione, cioè il cinema?
Si. Ho immaginato la storia come fosse un film: mentre scrivevo vedevo nella mia testa ogni singola scena, fotogramma per fotogramma. Spesso alcuni passi del libro assomigliano più ad una sceneggiatura che a un romanzo. Poi c’è da dire anche che molte delle ispirazioni per “La Città del Vizio” sono di natura cinematografica.
Oltre ad alcuni luoghi reali della nostra Italia che lei a tratti descrive, c’è un riferimento particolare con la città del vizio?
No. Tutto il racconto si sviluppa per mezzo di metafore, quindi la “Città del Vizio” è un luogo al di fuori dello spazio e del tempo, simbolo dell’illecito e dei desideri più sfrenati dell’uomo.
Nel tempo dei social sembra che tutti scrivano poesie o racconti, divenendo la scrittura una forma di esibizionismo. C’è un motivo particolare che l’ha avvicinata alla scrittura?
Fin da piccolissima per me scrivere, raccontare storie, veicolare le mie idee e la mia visione del mondo attraverso la narrazione e i personaggi è sempre stata un’esigenza. Senza la scrittura oserei dire che non mi sento viva!
Come considera, una giovane che da poco ha pubblicato il suo primo romanzo, l’attuale qualità della narrativa italiana?
A mio parere l’attuale panorama letterario italiano è abbastanza vario, anche se a volte tende a seguire un po’ troppo le correnti. Per me la scrittura deve essere libera dalle mode e lasciarsi trasportare dall’ispirazione. Mi piacerebbe vedere più storie non ascrivibili a un genere preciso.
Quale soluzione intravede all’orizzonte una giovane ragazza affinché ci sia una realtà più umana?
Proprio come nel mio romanzo, bisognerebbe recuperare la speranza, la fede e soprattutto la carità. Senza la speranza non vi è alcuna possibilità di vedere un futuro migliore e pensando in negativo partiamo già sconfitti: non si troverà né il modo né la voglia per cambiare qualcosa. Senza la fede, che significa avere cieca fiducia in qualcosa, viene a mancare quella luce dentro di noi che ci spinge a non arrenderci. Senza la carità, che è amore disinteressato verso il prossimo, l’essere umano è perduto: la sola forma di aiuto che viene attuata nella società odierna è quella del do ut des, quindi se non c’è la possibilità di un tornaconto si rifiuta di tendere una mano a chi è bisognoso. Ma se manca l’amore, se non facciamo gioco di squadra e non ci aiutiamo a vicenda non riusciremo mai a costruire un mondo migliore!
Riusciremo anche noi, un giorno, come il protagonista del suo romanzo, a trovare il “Paese dei Balocchi”?
In verità la “Città del Vizio” è un luogo bello e perfetto solo in apparenza. Comunque, credo che piuttosto che aspirare a un mondo perfetto dovremmo cercare di migliorare quello che abbiamo, dipende solo da noi riuscire a capirlo! Inoltre c’è da dire che senza il male non si potrebbe apprezzare il bene.
Ha qualche progetto in cantiere?
Ho da poco terminato la sceneggiatura per un cortometraggio che realizzerò a breve e sto già scrivendo un altro romanzo. Spero che tornerete presto a sentir parlare di me!