Secondigliano: Napoli o comune a sé? Il quartiere più famigerato del napoletano tra problemi e risorse.
Spesso ospitata dai media come teatro di tremendi episodi di cronaca nera e di malavita, il quartiere napoletano di Secondigliano ha un’antica storia. Discordi i pareri sull’origine del nome: per alcuni studiosi Secondigliano si deve alla contrazione delle parole “secondo miglio†(infatti il quartiere si trova a circa due miglia dal centro della città ); per altri storici, invece, il nome Secondigliano potrebbe derivare dalla famiglia romana dei Secondili, una famiglia nobile che pare in antichità risiedesse lì; oppure ancora potrebbe essere dovuto alla sua posizione geografica, in quanto il quartiere si estende sul territorio a ridosso dei colli Secondili. E’ certo invece che questo quartiere collinare, che conta circa 55.000 abitanti ufficiali, ma che arriva quasi al doppio stimando anche gli illegali e gli abusivi, è stato un comune autonomo fino al 1929, quando fu inglobato nell’ambito della città di Napoli insieme a tanti altri comuni limitrofi al capoluogo partenopeo, per effetto d’una legge dell’allora governo fascista, che mirava far assurgere Napoli allo status di metropoli. Secondigliano vive nel secondo dopoguerra una radicale trasformazione, che ne modifica profondamente il tessuto urbano, a seguito d’una intensa attività edilizia privata e, soprattutto, pubblica: numerose infatti in quel periodo le leggi sull’edilizia popolare, che miravano a costruire un quartiere “dormitorio†nella periferia nord del capoluogo partenopeo. La trasformazione più importante Secondigliano la vive negli anni ’70 e ’80, quando aumenta vertiginosamente la propria densità edilizia espandendosi e diventando molto simile alla Secondigliano di oggi, che sembra essere tornata nel passato, ed a essere un comune a sé stante, visto che né i napoletani, né i secondiglianesi o tanto meno gli abitanti di Scampia, quar tiere limitrofo (o di?) Secondigliano, sembrano riconoscersi come cittadini della stessa città . Perché tra Napoli, Secondigliano e Scampia c’è un muro intangibile, un confine invisibile e valicabile solo a proprio rischio e pericolo. Secondigliano è oramai la terra dei boss, del “rione 167â€, (rione che prende il nome dalla legge 167 del 1962, che istituiva in tutta l’area Nord-Ovest di Secondigliano un mega-quartiere a carattere popolare, diventato più tardi circoscrizione di Scampia), della criminalità organizzata e delle “case Celestiâ€, uno dei principali mercati della droga in Campania. E come se non bastasse, ad abbassare la qualità della vita dei residenti ci si mette anche un forte inquinamento acustico, che quotidianamente tormenta gli abitanti di questo popoloso quartiere, vista l’estrema vicinanza all’aeroporto di Capodichino. Ma come si è arrivati a questo punto? Si poteva evitare questo dramma umano, questo terzo mondo ai confini della terza città d’Italia? E pensare che Secondigliano non è solo droga e degrado. Il quartiere custodisce alcune delle più belle chiese napoletane, come la Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, e quella di Maria Santissima Addolorata, vanta due campi di calcio regolamentari ed abilitati alle partite dilettantesche, ed ha addirittura dato i natali ad un cittadino illustre: il Beato Gaetano Errico, sacerdote e fondatore della congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Cristo. Insomma, tirando le somme, Secondigliano è un quartiere che dal punto di vista della potenzialità non ha nulla da invidiare a tanti altri quartieri di Napoli, e che rispetto ad altre zone di periferia del capoluogo partenopeo ha addirittura più arte, più storia e più servizi. Sulla carta, potrebbe addirittura essere incluso in un itinerario turistico, da qualche tour operator che non legge i giornali e non guarda la televisione da una decina d’anni. Allora perché Secondigliano e Scampia sono due vere e proprie zone di guerra, dove la legalità e la legge sono poco più che chimere, e dove lo Stato è visto anche dai cittadini come il nemico, o al massimo come un lontano zio d’America che si è dimenticato in tutto e per tutto dei propri figli? Negli anni ’70, le potenzia lità per non rendere Secondigliano il ghetto che è oggi, c’erano eccome. Le premesse c’erano tutte, a partire dagli eccellenti progetti architettonici per le piazze e gli spazi verdi riservati da piano regolatore (Secondigliano è tra i quartieri con più verde a Napoli), scontratesi poi nella dura realtà con la bruttura delle famigerate “Veleâ€. Questi palazzoni dormitorio, che nascono come il frutto di delle leggi sull’edilizia popolare a Scampia, e che sono stati disegnati male e costruiti peggio, hanno vissuto una rocambolesca storia: dapprima infatti l’amministrazione dell’allora sindaco Bassolino ha tentato di distruggerle, senza successo, visto che si sono rivelate (almeno dal punto di vista strutturale) ben solide e resistenti, e nulla hanno potuto le ruspe e gli esplosivi che volevano minarne la stabilità . Poi, il colpo di scena: le famigerate Vele sono state ripristinate e riabilitate in tempi recentissimi da alcuni architetti e storici urbanistici del Darc di Roma (la Direzione generale per le arti e l’architettura contemporanee del ministero per i Beni e le attività culturali), che contro il parere dei più, e soprattutto contro il Comitato di Lotta delle Vele di Scampia, l’associazione che racchiude tantissimi cittadini contrari all’aberrante spettacolo offerto da quei palazzoni, hanno valutato le Vele come un’espressione di storia dell’architettura da salvaguardare e tramandare ai posteri. La lista dei peccati dell’amministrazione continua con il pessimo lavoro fatto con le liste di assegnazione per le case popolari, che stranamente sono finite in blocco nelle mani di esponenti ed affiliati alla criminalità organizzata o, alternativamente, sono state occupate da abitanti abusivi, poi divenuti di fatto degli stanziali mai sloggiati dalle forze dell’ordine né da nessun altro. Negli anni ’60 si poteva decidere di fare di Secondigliano una periferia abitabile, sorte che d’altronde è toccata ad Agnano e Bagnoli, anch’esse inglobate nel comune di Napoli con la legge fascista del ’29, e che oggi vantano una qualità della vita certo superiore allo stesso centro cittadino. Invece si è preferito ghettizzare uno sterminato quartiere, costruirci un carcere, e rendere fertile il terreno per trasformarlo nella patria dei clan, per far assurgere agli onori delle cronache questa porta nord di Napoli come il teatro della faida di Scampia (un dramma di rilevanza nazionale che ha mietuto oltre 50 morti, tra i quali parecchi innocenti, in neanche due anni). Si è promesso di costruire una sede della facoltà di Medicina per riabilitare il quartiere (o forse per rendere ancora più selettivo l’iter degli aspiranti medici?) ma poi si è preferito il quartiere dove anche la polizia ha paura a circolare, dove statisticamente tre abitanti su quattro hanno assistito o addirittura sono stati vittima di almeno un episodio di criminalità , dove gli allacci abusivi alle condutture dell’acqua ed alla corrente elettrica sono di più di quelli legali, dove i combattimenti tra cani e lo smercio abusivo di alimentari sono all’ordine del giorno. Un quartiere che, oggi, definire come terzo mondo è probabilmente un’offesa per il continente africano. Una zona sterminata, dimenticata in blocco dalla pubblica amministrazione, e lasciata impunemente a sé stessa. E dove non poteva che prosperare la criminalità , viste le premesse. Un quartiere di cui ci si ricorda solo nelle tornate elettorali, quando questo o quello schieramento politico si prodigano in promesse da marinaio verso i tanti residenti di Secondigliano e Scampia, o quando una faida (o addirittura una guerra, termine quanto mai appropriato viste le dimensioni e la brutalità degli scontri armati sul posto) di camorra diventa giornalisticamente più appetibile di un’altra notizia. Un quartiere che pare oramai divenuto a tutti gli effetti una micro-nazione, con a capo ora questa ed ora quella famiglia, “democraticamente†elette a suon di omicidi, e dove lo Stato ha decisamente perso la partita con un sonoro e definitivo 3-0, e con pochissime speranze di recupero, visti i danni. Perché quando si cresce nella cultura dell’illegalità , quando la malavita non è la via più facile, ma semplicemente l’unica via che si conosce, quando vivere una vita onesta significa doversi trasferire o andare a vivere sotto scorta, non si hanno scelte. La scelta c’è stata negli anni ’60, con quella malsana idea del quartiere popolare dormitorio. Scelta che, con il senno di poi, appare davvero una sentenza di condanna più che una strategia politica ed urbanistica. Speriamo che, dopo quarant’anni di brutture, si inizi a capire che c’è stato uno sbaglio, e che vanno posti rimedi al più presto. Bisogna rimboccarsi le maniche, e far crescere i giovani nella cultura della legalità . Occorre dimostrare che un’alternativa c’è, ed è percorribile. Secondigliano non è di proprietà dei boss più di quanto lo sia Posillipo.