Le Foreste ci proteggono: difendiamole. Il loro futuro è nelle nostre mani. Non è solo lo slogan del WWF, ma anche una realtà documentata. Nell’ambito della Campagna per ‘il cuore verde del mondo’ l’associazione ha disegnato la Mappa degli eventi naturali più disastrosi degli ultimi decenni analizzando l’ulteriore effetto negativo sulle popolazioni locali provocato dalla perdita di copertura forestale.
Le foreste, infatti, svolgono servizi fondamentali: consolidano i versanti, contribuiscono a ricaricare le falde, contrastano l’erosione dei suoli, contribuiscono alla qualità dell’acqua, e, non ultimo forniscono cibo e combustibili. Una volta perduta questa ‘cintura di sicurezza’ verde le popolazioni colpite dagli eventi estremi diventano più vulnerabili sia ai fenomeni resi sempre più frequenti anche per i cambiamenti climatici, sia ai disastri naturali come tsunami e terremoti. Dallo tsunami del 2004 a Sumatra a quello del Giappone del 2011, dalle alluvioni in Bangladesh all’uragano Mitch del Centro America la Mappa del WWF passa in rassegna gli episodi più gravi evidenziando anche l’alto tasso di deforestazione dei paesi colpiti. La mappa è stata lanciata in occasione della campagna di raccolta fondi per uno dei polmoni verdi del pianeta, il bacino del Congo, minacciato dalla deforestazione. Fino al 24 maggio è possibile aiutare il progetto per il “Cuore Verde dell’Africa” inviando un SMS o chiamando da rete fissa al 45503. E’ possibile donare anche sul sito http://www.wwf.it/foreste.
“Secondo il Global Forest Watch l’uomo ha spogliato il pianeta del 30% della sua copertura forestali e di quel che rimane solo il 15% è ancora intatto – ha dichiarato Isabella Pratesi, direttore conservazione del WWF Italia – Questo ha ridotto drammaticamente la capacità dei sistemi naturali di sostenerci e proteggerc ima anche darci riparo e aiutarci a superare i momenti di crisi, nei tanti casi di eventi estremi che sempre più flagellano il pianeta, come alluvioni, uragani e persino terremoti. Le foreste consolidano il terreno, assorbono le piogge in eccesso ma soprattutto assicurano cibo alle popolazioni colpite e proteggono dalle ondate di calore. Nel solo 2013 i disastri ambientali hanno causato 22 milioni di profughi, 22.600 morti per un totale di 330 accadimenti. La deforestazione rende il territorio più vulnerabile. E’ indispensabile raggiungere una Deforestazione Zero entro il 2020″.
DEFORESTAZIONE E DISASTRI NATURALI: LA MAPPA
In Asia la densità demografica e un uso insostenibile delle risorse sono abbinati ad un’incalzante deforestazione: il risultato è un aumento dell’ “impronta” delle catastrofi naturali. E’ questo il continente in assoluto più flagellato da eventi come inondazioni, tsunami, alluvioni e siccità. Ma sono senz’altro le vittime della siccità, calcolata in 9,6 milioni dal 1900 ad oggi (http://ejap.org/environmental-issues-in-asia/natural-disasters-asia.html) il numero predominante. Un dato che dovrebbe far ripensare ai tanti governi le politiche per la protezione del prezioso oro blu, fra cui quelle riguardanti la conservazione degli ecosistemi forestali che lo producono.
La deforestazione ha cancellato, ad esempio, almeno il 35% delle foreste di mangrovie, veri e propri ‘air-bag’ naturali delle coste tropicali ed estremamente produttive. Il ritmo di deforestazione delle foreste di mangrovie è 3-5 volte più intenso di quello delle altre foreste. In alcuni paesi, come l’India, le Filippine e il Vietnam, la distruzione di mangrovie sale addirittura al 50%. Nel 2007 in Bangladesh queste foreste furono cruciali per ridurre gli effetti micidiale del ciclone che altrove produsse ingenti danni e numerose vittime. La Thailandia, drammaticamente coinvolta nello tsunami del 2006, dal 1970 ad oggi ha perso un terzo della propria superficie di mangrovie e quindi della loro protezione. Persino il tormentato Nepal, appena colpito recentemente dal tremendo terremoto, ha perso solo nel periodo 1990-2010 quasi un quarto delle sue foreste (24,5%). La deforestazione e più in generale il degrado delle foreste ha contribuito a rendere estremamente vulnerabile ai disastri ambientali il paese, da anni flagellato da una serie interminabile di alluvioni, frane, incendi, siccità, carestie ed epidemie. Con un tasso di crescita demografica molto alto (in un secolo la popolazione è quintuplicata) il Nepal è uno dei paesi più poveri del Centro Asia con oltre un quarto della popolazione al di sotto della soglia della povertà: il 70% di questa fascia di popolazione dipende per la propria sopravvivenza dalle foreste. Secondo il World Resources Institute (WRI, 2008) il Nepal è anche all’undicesimo posto nel mondo per emissioni dovute alla deforestazione e ad altre utilizzi del territorio.
Il collasso dei sistemi naturali aveva reso vulnerabile anche Haiti: ancor prima che colpita dal drammatico terremoto del 2010 che rase al suolo il paese, Haiti è vittima dell’assoluto degrado dei servizi ecosistemici e dalla cattiva gestione del territorio. Anche a causa della deforestazione, che ha ridotto l’isola ad un spoglia distesa – quasi il 100% della superficie forestale originale è stato distrutto (ne rimane in piedi un misero 2%) – l’isola si è trovata ad affrontare una fitta serie di catastrofi naturali tra cui alluvioni, smottamenti, frane a cui si aggiunge la costante l’erosione del suolo non protetto dalla copertura forestale. Le principali conseguenze sono la costante perdita di vite umane, l’aumento della mortalità infantile, l’insorgenza di frequenti epidemie e la povertà diffusa.
Anche la Cina alla fine degli anni ’90 aveva perso l’80% delle foreste originarie e questo portò a siccità e desertificazione ma principalmente alluvioni ed esondazioni, come quella dello Yangtze nel 1998 che produsse 4100 vittime e quasi 14 milioni di sfollati. Frane e smottamenti colpirono i versanti spogliati dalla copertura forestale di montagne e colline. Il governo, in ritardo, impose una moratoria sulla deforestazione con programmi di riforestazione per riprodurre gli ecosistemi distrutti. I disastri “naturali” continuano comunque a flagellare il vasto e martoriato territorio cinese facendone uno dei paesi più a rischio.
La moratoria però riguarda solo le foreste nazionali: questo colosso dell’economia negli ultimi anni è diventato il maggiore mercato per l’importazione di legname tropicale passando dai 15 milioni di metri cubi del 2000 agli oltre 45 milioni del 2013. Anche le importazioni di segati di conifere dai paesi europei sono aumentati di sei volte. Insomma la Cina ferma il taglio delle proprie foreste ma disbosca il resto del pianeta.
Il Giappone invece è un’utile lezione su come le foreste vengono utilizzate per ridurre i rischi di disastri. Con un profilo di 34.000 km, 1300 km di coste giapponesi sono protetti da una cintura di alberi. Una protezione coltivata e curata fin dal 17mo secolo, gestita e mantenuta con lo scopo di ridurre gli impatti delle tempeste di sabbia, venti salati, alte maree e dei frequenti tsunami . Nel disastroso maremoto del 2011, alcune di queste foreste hanno assorbito una parte dell’energia dello tsunami mitigandone i danni. La zona costiera di Wakabayashi Ward, ad esempio, è stata travolta da onde alte 7 metri, che dopo l’impatto con le foreste si sono ridotte ad appena 40 cm, salvando molte vite. Più drammatico è stato invece il bilancio in diversi porti e località occupate da infrastrutture, prive di fascia di protezione. Dopo questa esperienza il Giappone ha migliorato, rafforzato ed esteso la fascia di foreste costiere dedicate alla prevenzione dei disastri (disasters prevention forests). In Giappone il 32% del territorio è coperto da foreste in gran parte protette.
Il Bangladesh, il paese più densamente popolato al mondo e con il più alto tasso di deforestazione, quasi il 95% di foreste scomparso, è .sensibile ad un’altissima varietà di disastri ambientali, tra cui alluvioni, cicloni, tempeste, inondazioni, erosione costiera, frane e soffre una drammatica e diffusa erosione e perdita di fertilità dei suoli con un conseguente impoverimento della produzione agricola e inevitabile impatto sulle comunità locali.
In Indonesia deforestazione fa rima con ‘corruzione’: è uno dei dieci fronti più drammatici di deforestazione planetaria. Quasi l’80% della deforestazione in questo paese è di origine illegale, facilitata da un’inadeguata capacità applicare efficacemente le norme di gestione e protezione (tra cui la moratoria sulla deforestazione) e dall’intensa rete di corruzione, connivenza e interessi internazionali. Le essenza pregiate sono destinate al mercato del legno, o per la produzione della “polpa” necessaria all’industria della carta, oppure vengono bruciate per far spazio alla coltivazione di palma da olio. La veloce e intensa deforestazione ha determinato un notevole aumento delle catastrofi locali che si sono particolarmente intensificate negli ultimi dieci anni. Con la perdita nel periodo 2000- 2012 di ben 6 milioni di ettari di foresta naturali – una superficie grande quanto metà Inghilterra – l’Indonesia ha addirittura superato in termini di deforestazione, proprio nel 2012, il ben più grande Brasile. Dal 1900 ad oggi il tasso di deforestazione in questo importante paese è aumentato del 39% portando alla perdita di più di del 30% della copertura forestale originaria di cui il 20% solo tra il 1990 e il 2010 (20 anni!).
Nella mappa dei disastri acuiti dalla deforestazione ci sono anche la Malesia (alluvioni del 2014, perdita di oltre il 10% di foreste) , le Filippine, uno dei paesi più vulnerabili agli effetti di cicloni, inondazioni e valanghe che ha praticamente azzerato la propria protezione forestale 94% . Il recente Germanwatch’s Climate Risk Index e il Maplecroft’s Climate Change Vulnerability Index attribuiscono a questo paese il secondo posto nella graduatoria dei paesi più a rischio. Spostandosi dall’Asia all’Africa la deforestazione ha colpito il Malawi (un quinto delle foreste scomparse in 20 anni) che ha visto inondazioni con migliaia di vittime e soffre di una stentata economia. La culla della biodiversità, il Madagascar, un tempo con 200.000 specie di cui l’80 endemico, in pochi decenni ha ridotto la copertura forestale a meno dell’80%, 200.000 ettari l’anno vengono ancora rasi al suolo. Le conseguenze in termini di disastri naturali sono incommensurabili.
Anche il Sudan è stato storicamente interessato da disastrose alluvioni e siccità, disastri che hanno sostanzialmente impedito e frenato lo sviluppo economico del paese. I fattori determinanti questi processi sono di diversa natura e un ruolo cruciale è sicuramente svolto dal cambiamento climatico. Ciò non toglie che la deforestazione e la trasformazione dei sistemi naturali del paese abbia senz’altro acuito gli effetti delle catastrofi o, in alcuni casi, addirittura provocati.
In Centro America impossibile non ricordare il drammatico bilancio delle catastrofi provocate dall’uragano Mitch: 18.000 persone furono uccise e furono provocati miliardi di danni. Le montagne deforestate del Centro America – il solo Nicaragua ha perso il 21,7% delle proprie foreste dal 1990 al 2010 – non riuscirono a contenere l’enorme portata delle precipitazioni, dando origine a valanghe, colate di fango e inondazioni. Le aziende agricole in Honduras, Guatemala e Nicaragua che avevano mantenuto la copertura forestale erano state meno soggette agli effetti devastanti dell’uragano.
Alluvioni in Europa: dove sono le nostre foreste?
L’Europa ha perso nei secoli quasi tutte le foreste primarie. L’enorme copertura boscosa che accompagnava le interminabili marce degli eserciti romani, gli sbarchi degli eroi ellenici, i testi di tacito, è stata “operosamente” sostituita da coltivazioni, da insediamenti o comunque da foreste di minor valore ecologico (foreste secondarie, foreste coltivate, etc.). Estinte ormai tutte le foreste planiziali che riempivano, contenendo le acque e proteggendoci, le valli e le pianure.
L’Europa è così rimasta impreparata ai danni economici e alle conseguenze più nefaste degli eventi estremi. Laddove resistono le foreste aiutano a mitigare gli impatti delle ondate di calore e come tali sono un buon alleato anche nel contesto europeo. A turno luoghi densi di agricoltura, economie, comunità e industrie, vanno sott’acqua: dai balcani alla gran bretagna, dalle pianure francesi alla penisola iberica fino alle coste italiane, le nostre economie pagano con gli interessi il nostro intervento sugli ecosistemi forestali.
Secondo un recente rapporto dell’Unione Europea, l’effetto della deforestazione in Europa può avere conseguenze diverse da regione a regione (MetOffice, 2012. Influeces of EU forestes on weather patterns: final report. European Commission)
Nord Europa: la perdita di foreste inasprisce il clima, aumenta la forza dei venti, riduce le temperature invernali e aumenta lo spessore del terreno congelato con conseguente danno alle attività umane e produttive.
Europa centrale: la perdita di foreste riduce l’evapotraspirazione con un impatto sulle precipitazioni anche dei territori più interni e quindi sulla produttività agricola.
Europa mediterranea: Il progressivo inaridimento del Mediterraneo dovuto alla deforestazione ha un impatto sui sistemi climatici di tutta l’Europa e contribuisce alle ondate di calore che colpiscono il continente .