E’ iniziata in Giappone la stagione della caccia ai delfini, la stagione durerà fino alla fine di febbraio. Ovviamente, gli ambientalisti sono già arrivati sul posto per monitorare tutte le varie operazioni.
L’ultima campagna di caccia ha provocato reazioni indignate, specialmente da parte dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Giappone, Caroline Kennedy, che ha denunciato la “disumanità” di questa pratica in un messaggio sul suo account di Twitter.
I pescatori del porticciolo attirano i delfini in una baia, circa 2.000 ogni anno, uccidendone una parte per vendere la loro carne. Gli altri sono venduti ai parchi acquatici. Dietro all’esibizioni di delfini ammaestrati, la maggiori attrazioni dei parchi acquatici, c’è un lato decisamente oscuro, la provenienza e delle modalità di cattura di questi animali. Le loro evoluzioni incantano moltissimi visitatori, che sono però ignari delle modalità con cui vengono catturati.
La cittadina di Taiji, chiammata la baia insanguinata, situata nel sud del Giappone, dà in questo senso molte e inquietanti risposte. In questa località la cattura dei delfini rappresenta una consolidata attività economica poiché un esemplare destinato ai parchi acquatici può valere centinaia di migliaia di franchi. Dopo essere stati avvistati al largo dai pescherecci, i branchi vengono fatti deviare dal loro corso attraverso il rumore prodotto e propagato in acqua da bastoni metallici. I delfini, frastornati, vengono così disorientati e forzati a entrare all’interno di questa angusta baia, dove la ristrettezza dello spazio si rivela non di rado fatale. Si procede quindi alla famigerata selezione. Da una parte, gli esemplari ritenuti idonei ai parchi acquatici. mentre quelli scartati, vengono uccisi al fine di commercializzarne le carni come genere alimentare.
Eppure c’è un paese in grande ascesa economica come l’India, che proprio di recente ha deciso di vietare i delfinari nel proprio territorio.