Incominciamo col sottolineare che l’arte ha il compito di spargere bellezza. Ma, nella sua marginalità nei confronti della realtà quotidiana che del bello ne fa una questione economica. Nella realtà quotidiana, in questa realtà quotidiana, diventa del tutto inutile, svaporando sotto i colpi di un materialismo egotistico che si alimenta solo dello spirito, condizione metafisica che non oppone resistenza. Oggi la bellezza non rappresenta neanche un nucleo fondamentale di resistenza contro le brutture di un mondo cinico dominato dalla logica egemone espansionistica del capitalismo. La bellezza come ispirazione già da tempo, per es., non rientra nelle creazioni architettoniche, tantomeno nelle costruzioni di rioni, quartieri, palazzi o case singole. Le periferie sono sempre più abbruttite e lasciate al loro mero destino. L’attenzione è rivolta soltanto ai centri delle città, come è accaduto a Napoli con l’ammodernamento e l’abbellimento di Piazza del Pebliscito e via Caracciolo, mentre quartieri periferici come Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, Soccavo, Pianura, Secondigliano, Miano, San Pietro a Patierno, i dintorni della Stazione Centrale di Piazza Garibaldi, attendono da anni un dignitoso adeguamento strutturale e civile, direi.
Una domanda: può la bellezza mettere fine alle brutture che ci tocca vedere? Non lo sappiamo, ma di una cosa siamo certi: la bellezza non avrà fine. E siccome non avrà fine, è nostro compito trovarle un ruolo primario non solo nell’arte, ma nella vita di tutti i giorni. Non ci basta la bellezza di un bambino che nasce, il suo sorriso; il volo di un uccello e il suo cinguettio; lo spuntare del sole e il suo tramonto. Abbiamo bisogno di bellezze come il “Cristo velato” esposto nel museo della Cappella Sansevero, riferendoci ancora alla nostra città, scultura marmorea di Giuseppe Sanmartino.
I capolavori del passato hanno sempre ispirato gli artisti contemporanei, a volte estremizzando, altre volte ironizzando (vedi i baffi alla Gioconda di Leonardo pennellati da Duchamp, esempio emblematico). Questo cosa vuol dire? Vuol dire una sola cosa: pur con le dovute differenze che la storia umana e la realtà ci impongono, la bellezza del passato sarà sempre il sostrato su cui si poggeranno le idee del presente e del futuro.
Ho letto sul sito del comune di Modena che nel 2002 tre «giovani artisti – Davide Bertocchi, Michela Lorenzi e Cristina Mirandola – si sono ispirati alle collezioni conservate nei Musei civici di Modena per realizzare opere contemporanee in mostra al Palazzo dei Musei»; proseguendo in questa piccola indagine, sculture, installazioni, fotografie dell’artista tedesca Rosemarie Trockel, presentate, col titolo «Riflessioni/Riflessi», alla “Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli” di Torino, meditano e si sviluppano sulle bellezze del passato, come un’opera del cinquecentesco Sampietrino, il ritratto della Maria Maddalena che legge un libro; altro rimando si riferisce all’Erodiade di Francesco Cairo, con la testa di San Giovanni Battista; un altro rimando è ad un volto somigliante al Ritratto di un anonimo delle collezioni di Palazzo Madama; immagini forti per evidenziarci, magari, anche un ruolo sociale e in contrapposizione ad un potere dei signori del passato che soffocavano le ribellioni nel sangue. Oggi l’arte è diventata al di sopra delle parti, povere iconografie che non sanno più resistere e/o opporsi ad una realtà che, quando decide di occuparsene, le mette sottochiave, in una gabbia dorata.
La bellezza è sacrificale, ma anche inganno, questo si sa; ma la bellezza rinasce ogni volta che muore. La bellezza è simbolo di forza di un popolo, della sua cultura che ci è stata tramandata fino a noi. Facciamo alcuni esempi:
1) senza le piramidi gli egiziani sarebbero stati un popolo insignificante nel deserto;
2) cosa sarebbe stata la cultura greca senza i templi dedicati alla mitologia? Per es. il “Partenone”, massima espressione dell’architettura greca nonché uno dei siti archeologici più conosciuti e frequentati;
3) i Romani, con gli anfiteatri e gli archi di trionfo, incutevano più timore che con le gladio.
Esiste oggi un’opera come la “Cappella Sistina” di Michelangelo, con il “Giudizio Universale” e la “Creazione di Adamo”? In questo affresco c’è tutta l’umanità, tutto ciò che l’uomo possa immaginarsi. Ed è una meraviglia per gli occhi. Oggi resistono al tempo, nonostante una “indifferenza” nemmeno tanto latente della società opulenta, il “David” di Michelangelo; il “Campanile” di Giotto; la “Nascita di Venere di Botticelli, una delle massime icone del Rinascimento; la “Torre” di Londra; l’affascinante abbazia di Westminster; la “Moschea blu” di Istanbul, rivestita di maioliche blu di Iznic; “Piazza S. Marco” di Venezia. Quali opere potremmo mettere a confronto con i capolavori e le bellezze del passato? Qualsiasi opera non reggerebbe il confronto. Oggi si è perso il gusto del bello, si tiene in considerazione soprattutto l’economia del progetto e un minimalismo che spesso sfocia in brutture.
Vorrei concludere, citando (scusandomi per la lunghezza) uno scritto di Joann Cassar e di Alessandro Ercoli, che ha per tema grandi opere di ingegneria civile, L’inserimento ambientale di grandi opere del passato, uscito nel 2002 sul sito dell’Università di Malta:«Al giorno d’oggi, valutazioni di impatto ambientale sono obbligatori quando si tratta di pianificare grandi edifici o di grandi opere infrastrutturali. Ma, guardando indietro a grandi opere di ingegneria del passato, sarebbero questi hanno superato un test del genere? È possibile che molti non sarebbero mai state costruite a causa dei cambiamenti significativi apportati nei dintorni?
Tuttavia, queste strutture sono oggi capolavori molto ammirati. Perché sono ormai accettati come parte integrante dell’ambiente? È perché i materiali utilizzati e le forme adottate sono state “naturali”? È perché la tecnologia utilizzata non è stata avanzata? O è perché questi edifici hanno ormai acquisito la patina del tempo? Questi punti sono sollevate dagli autori e sono discussi in relazione a tre importanti casi di studio del passato: i templi megalitici di Malta, la città di Cirene in Libia, e le vasche d’acqua Tawila di Aden (Yemen).
Gli autori suggeriscono che i criteri che determinano il rapporto tra ambiente e grandi opere di ingegneria civile in passato potrebbero non del tutto in sintonia con la nozione moderna di “impatto”. Gli autori identificano alcuni dei criteri che devono essere presi in considerazione, ora e in futuro. Anche se l’inclusione di grandi opere di ingegneria civile in un ambiente naturale deve essere soggetta a norme e regolamenti, è comunque suggerito che tali progetti non devono essere respinte a priori, considerando questi come parte di una evoluzione culturale e storica le cui radici sono profondamente radicate in un lontano passato».
La bellezza è la forma costitutiva della sensibilità umana, nel passato come oggi, ma oggi ce lo siamo dimenticato: alla bellezza abbiamo sostituito un inferno di brutture. Raffaello è la bellezza pittorica impersonificata, ma quanti oggi si recano a visitare un suo affresco?
Vorrei solo ricordare che Pompei, la città romana sepolta dalla lava del Vesuvio, è un simbolo di bellezza architettonica e di arte (gli stucchi di rosso pompeiano che sono stati scoperti nelle domus non hanno eguali), eppure non facciamo altro che crogiolarci nella sola presenza, per dire un giorno ai nostri nipoti di aver visitato Pompei, ma Pompei se ne sta cadendo a pezzi e pare che a nessuno freghi. Prendiamo esempio da queste bellezze, una buona volta, e accendiamo la nostra sensibilità affinché possa apprezzare ciò che è bello senza mitizzarlo ma conviverci e, magari chissà, apprezzeremo di più le bellezze del mondo.