“I pediatri hanno lavorato molto di più con la pandemia, per garantire alle famiglie un’attività ambulatoriale costante e una reperibilità continua. Definire ‘smart working’ il nostro lavoro fa male, perché tanti colleghi pediatri hanno perso la vita in questo anno e mezzo, deceduti per Covid”. Giuseppe Di Mauro, presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), replica a nome dei pediatri italiani all’accusa del Movimento Italiano Genitori (MOIGE) chiarendo che “la critica del MOIGE non solo è gratuita, ma pesca nel grande pantano dei luoghi comuni. Non è accettabile che, anche in questa situazione grave e complicata, qualcuno pensi di ridurre il rapporto medico-paziente ad un battibecco”.
Il fenomeno non è nuovo. “Abbiamo un’assistenza sanitaria pediatrica che, per la grande competenza e professionalità dei suoi operatori, è tra le migliori al mondo, eppure proprio i pediatri italiani perdono gran parte del proprio tempo a far fronte a richieste inappropriate, nessun rispetto delle regole, comportamenti irresponsabili. La pandemia ha imposto a tutti grande attenzione e grande impegno nel seguire le norme anti-contagio – rimarca di Mauro – è richiesto al ristorante per una pizza, anche al mare o in un campetto di calcio, figuriamoci nello studio del pediatra. I lattanti devono fare i bilanci di salute e poi ci sono i bambini fragili, tutti devono avere la garanzia di poter accedere con la massima sicurezza”. Il presidente della SIPPS quindi aggiunge: “È una regola fondamentale nella gestione delle pandemie, ignorarla è da irresponsabili. È quanto meno sconcertante, quindi, che un bambino con sintomi di sospetto Covid non faccia il tampone e venga visitato ‘da un pediatra privato’. Possibile? E come? In incognito? In clandestinità? Non viene segnalato il caso al Dipartimento di Prevenzione? Non viene richiesto il tampone, come è previsto dalla legge? – domanda ancora Di Mauro – È sconcertante che ci sia chi pretende delle eccezioni alle regole che devono essere seguite a tutela di tutti”.
I pediatri di famiglia hanno “sempre lavorato tantissimo, seguendo tutti gli aggiornamenti inviati dal Ministero, soprattutto quelli che definiscono il ‘sospetto Covid’: ogni pediatra sa quali sintomi impongono il tampone e quali, invece, possono essere gestiti come al solito. Tutti i genitori – afferma il presidente della SIPPS – devono essere consapevoli, soprattutto con l’inizio del nuovo anno scolastico, che quarantene e tamponi fanno ormai parte della nostra routine, in particolare per le nuove varianti (molti pazienti affetti dalla variante delta presentano, tra l’altro, proprio il raffreddore), ma i tamponi, le quarantene, insieme alle vaccinazioni, sono anche ciò che ci fa stare in sicurezza e ci consente di garantire ai nostri bambini di continuare le attività normali per la loro età anche nel pieno di una epidemia”.
Il carico di lavoro per i pediatri italiani, quindi, non è diminuito, “ma è aumentato con visite ambulatoriali, triage telefonici, servizi di messaggistica istantanea (WhatsApp) e di telemedicina per supportare e assistere le famiglie h 24 e 7 giorni su 7. Nell’ambulatorio del pediatra il percorso si apre e si chiude, perché il pediatra è l’unico medico convenzionato specialista che nel 99% dei casi soddisfa i bisogni di salute del bambino”. Ma sempre sulla base della normativa vigente: il triage telefonico è diventata “una prassi – continua il presidente SIPPS – in quanto decretata da una legge dello Stato e da una circolare del ministro Speranza datata marzo 2020. Questa prassi ha rafforzato la collaborazione con le famiglie e tra i colleghi. Eravamo tutti in rete e in presenza allo stesso tempo e ci siamo dovuti formare per utilizzare al meglio strumenti quali il telefono, le email, WhatsApp e il video (telemedicina)”. Senza dimenticare poi l’impegno nelle “campagne di informazione e vaccinali – prosegue Di Mauro – che ci vedono in prima fila in questa operazione di contrasto dell’epidemia a supporto delle famiglie”.
La SIPPS in questi mesi ha promosso moltissimi corsi sul corretto uso del triage telefonico, per mettere i pediatri nella condizione di essere il più presente possibile con i loro assistiti. “Il triage telefonico aiuta infatti a capire, di fronte ai sintomi comunicati dai genitori per telefono, se quel bambino ha necessità di essere visitato urgentemente, avviato in urgenza al Pronto Soccorso, se deve essere visitato in giornata o se i consigli telefonici risultino sufficienti rispetto alle sintomatologie presentate dal piccolo assistito. Non sostituisce, ma aiuta a selezionare le visite.
Il lavoro incessante dei pediatri di famiglia ha permesso di svuotare gli ospedali nei momenti più critici della pandemia – conclude Di Mauro – riducendo drasticamente le affluenze improprie nei Pronto Soccorso. Consulenza e conforto h24 hanno reso il pediatra di famiglia il riferimento principale non solo del bambino ma di tutta la famiglia, mamme, papà e nonni compresi”.