Ha poco più di un secolo, abita nel cuore della Via Lattea ed è la più giovane supernova mai osservata nella nostra galassia. Si chiama G1.9+0.3, nome assegnatole dagli astronomi della NASA dopo la sua scoperta nel 2008.
La supernova era in realtà stata individuata per la prima volta nel 1985 come una forte radiosorgente, grazie all’osservatorio Very Large Array (VLA) nel New Mexico.
Oltre 20 anni dopo, i dati ottenuti dal telescopio spaziale della NASA Chandra per l’osservazione del cielo nei raggi X hanno dimostrato che si trattava dei resti di una supernova.
Studi successivi hanno permesso agli astronomi di catalogare G1.9+0.3 come supernova di tipo Ia, nata probabilmente dall’esplosione di una nana bianca. Ma il meccanismo che ha portato allo scoppio di questa stella per dare origine alla supernova era ancora sconosciuto.
Per questo gli scienziati hanno continuato ad analizzare le immagini disponibili per cercare di individuare il “grilletto” che ha fatto esplodere la supernova più giovane della Via Lattea.
Ora un gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard potrebbe aver trovato la soluzione: combinando i dati di archivio del VLA e di Chandra, ha applicato una nuova tecnica per analizzare in che modo i resti in espansione di G1.0+0.3 interagiscono con ilgas e le polveri formati dopo l’esplosione della supernova.
I risultati hanno mostrato che i raggi X e le onde radio sono aumentati nel tempo: un fenomeno che secondo gli astronomi avviene in caso di collisione tra stelle nane bianche. Questo ha portato i ricercatori di Harvard a pensare che l’origine dell’esplosione di G1.9+0.3 possa essere stata proprio lo scontro e la successiva fusione di due nane bianche.
Si tratta di un’ipotesi che, se confermata, potrebbe finalmente spiegare l’origine delle supernove di tipo Ia. Fino a oggi erano state avanzate diverse ipotesi, tra cui anche quella della collisione tra nane bianche, ma non erano ancora state trovate prove determinanti.
Il comportamento dei gas residui attorno a G1.9+0.3 potrebbe ora risolvere il dilemma, anche se non è escluso che altri meccanismi siano entrati in gioco oltre allo scontro tra le due stelle.
“Se esiste più di una causa – dice Alicia Soderberg, co-autrice dello studio – allora il contributo di ciascuna potrebbe cambiare nel tempo. Questo significa che gli astronomi potrebbero dover riconsiderare l’utilizzo delle ‘candele standard’ nella cosmologia”.
Una candela standard è un oggetto astronomico che ha una luminosità nota, proprio come le supernove.
Conoscere la luminosità di un oggetto celeste è fondamentale per poter calcolare le distanze galattiche: per questo gli scienziati usano le supernove – e in particolare le supernove Ia – come unità di misura nello spazio.
“Le supernove di tipo Ia – spiega Sayan Chakraborti, leader della ricerca condotta ad Harvard –sono i marcatori di distanza che ci hanno permesso di capire che l’Universo si stava espandendo. Se ci sono differenze tra il meccanismo di esplosione delle supernove e la quantità di luce che producono, questo potrebbe avere un impatto sulla nostra comprensione del fenomeno di accelerazione dell’Universo.
Lo studio, pubblicato su Astrophysical Journal, contiene anche un ricalcolo dell’età di G1.9+0.3, che secondo Chakraborti e colleghi sarebbe ancora più giovane del previsto: 110 anni, contro i 150 stimati in precedenza.