Nella prefazione alla Grammatica napoletana di Giuseppe Cicala (1983) si legge: “Attualmente il libro napoletano ha scarsa zona di commerciabilità. Il lettore non riesce a leggerlo”. Era vero allora, perché il napoletano veniva scritto sui libri, e da pochi, che si dava per scontato sapessero scrivere: il problema era del lettore. Oggi, con la mirabile moltiplicazione dei mezzi di diffusione scritta della parola, il problema è anche di chi scrive, perché a scrivere non sono più pochi: su fb, sui manifesti, sulle magliette si vedono spesso frasi e parole napoletane messe in modo scorretto e di solito più difficile da leggere rispetto al napoletano scritto di cui parlava il Cicala più di trent’anni fa.
Così si scrive, usando a sproposito l’apostrofo, patt’, mammt’ (“tuo padre”, “tua madre”). Ma l’apostrofo indica la caduta di un suono vocalico (o consonantico, come in pe’ = per), mentre nel napoletano siamo spesso di fronte a suoni che esistono ma hanno una pronuncia evanescente, come le vocali mute “e ” e “o” in pàteto.
Perciò, con buona pace (e con tutto il rispetto dovuto) per l’ottima grammatica del Cicala (ma anche per quelle di Iandolo e di altri) e per gli altri studi importanti e dotti di maestri quali Malato, Altamura, De Blasi, de Falco (ma non sono certo i soli), oggi, di fronte a questa voglia diffusa di esprimersi per iscritto in napoletano, abbiamo bisogno di qualcosa di più semplice e banale: qualche informazione che renda possibile una scrittura corretta e comprensibile di ciò che si vuole scrivere nel nostro idioma.
Perciò qui non ci occuperemo di grandi questioni linguistiche ma, più modestamente, cercheremo di mettere in grado chiunque voglia di scrivere in modo plausibile.
Chi scrive patt’ invece di pateto non riconosce la distanza che c’è tra il parlato e lo scritto e finisce per ampliare questa distanza: io parlante che leggo non riesco più a riconoscere pateto (con la “e” e la “o” mute) nella scrittura-marmellata patt’ o pat’t’.
Eppure chi si sognerebbe di scrivere l’inglese love come si pronuncia, cioè (approssimativamente) lav? O di scrivere il francese mère (“madre”) mer’ ? E’ chiaro che la “e” finale di love non si pronunzia, che la “e” finale di mère è muta. E invece col napoletano facciamo proprio questo, quando scriviamo per esempio famm passà invece del naturale famme passà, nel quale ogni napoletanofono è in grado di riconoscere la “e” muta di famme.
Per oggi fermiamoci qui. Speriamo di aver convinto almeno qualcuno della necessità di conoscere certi fenomeni fonetici per chi voglia scrivere in napoletano una poesia, un post su fb, una frase su una maglietta. Da qui – dalla fonetica – cominceremo la prossima volta.