Oggi, 2 aprile, si celebra la “Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo”. Ad accompagnarla il claim “Conoscere è comprendere“, che apre immediatamente all’eterogeneità dei disturbi dello spettro autistico. Il primo scoglio da superare in direzione della consapevolezza è infatti proprio la considerazione che l’autismo non è solo infantile: va dunque pensato e affrontato in un’ottica di ciclo di vita.
In Italia si stima che l’autismo colpisca 4 bambini su 1000, con un rischio per i maschi 4 volte maggiore rispetto alle femmine. Tutte le evidenze scientifiche di cui siamo in possesso testimoniano che in più del 90% dei casi l’autismo riscontrato nei bambini li accompagna parimenti da adulti. Ciò non preclude che molto si possa fare. Col tempo possono subire dei mutamenti la sintomotologia prevalente, l’espressione, le tipologie di esperienza, i modelli di interazione e le capacità di adattamento. Può cambiare inoltre il livello cognitivo. La maggioranza di adolescenti autistici non presenta alterazioni più drammatiche degli altri coetanei ed in alcuni casi possono esserci addirittura dei miglioramenti. Tuttavia in 3 giovani autistici su 10 si ha un significativo peggioramento.
L’individuazione dei soggetti “a rischio autismo” (la diagnosi è difficile e mai certa prima dei due o tre anni di vita) permette una modalità d’intervento tempestiva, necessaria per massimizzare il margine di recupero, attraverso trattamenti di tipo comportamentale che possano rendere più solido il terreno sul quale si svilupperanno gli interventi in età adulta.
Le relazioni interpersonali degli autistici con altre persone sono fortemente compromesse. Pensiamo ad esempio a come ci comportiamo quando incontriamo una persona per la prima volta: utilizziamo modelli comunicativi acquisiti e che tengono conto anche dell’età, del sesso e dello stato di chi abbiamo di fronte. Vengono dunque messi in atto degli automatismi che danno forma alle interazioni successive. Ciò non accade negli adulti con sindrome dello spettro autistico, avendo essi dei deficit comunicativi che pregiudicano la capacità di riconoscere i segnali sociali convenzionali (stretta di mano, sorriso, tono di voce e tutte quelle interazioni relazionali basate su risposte astratte).
Per fare luce su alcune questioni legate all’autismo in età aduta, abbiamo coinvolto il dott. Pasquale Saviano, psicologo psicoterapeuta. In questo articolo, un altro suo contributo su “Autismo e Comunicazione”.
Mentre esiste ormai una letteratura piuttosto diversificata sull’autismo infantile e sui relativi interventi di sostegno, non si può dire lo stesso sull’evoluzione in età adulta che è ancora un problema scoperto. Cosa ne pensa?
Il lavoro con l’autismo, benché abbia fatto e faccia notevoli passi avanti nell’intervento e trattamento con i bambini, risulta ancora ad uno stadio iniziale nell’approccio con gli adulti, sia in termini di tecniche utilizzate che in termini di conoscenze. Ad oggi sistemi sociali, sanitari e di welfare non riescono ancora ad elargire servizi di reale inclusione ed individuare i metodi e le strategie realmente efficaci data la caratteristica dell’autismo come disturbo a “spettro” e quindi con modalità e gradi molto diversi di manifestazione.
Purtroppo gli adulti con autismo, più di tante altre persone con disabilità, faticano a trovare una collocazione idonea, tanto genericamente nella società quanto in ambito lavorativo.
Attualmente la maggior lacuna dei servizi è caratterizzata da scarse forme di sostegno all’interno della comunità ed è fuori dubbio che la società incontrerà sempre più adulti con autismo così come il mondo del lavoro si troverà a confrontarsi con essi nelle loro multisfaccettature. C’è bisogno di sviluppare “ponti” tra i servizi dell’infanzia, già ad un buon punto nel lavoro con i bambini autistici, e quelli per adulti affinché i giovani autistici possano più facilmente superare le difficoltà nel loro percorso verso la vita adulta.
Nel caso di adulti autistici, sono più produttivi interventi generalizzati o mirati? Come crede che vadano strutturati?
Gli interventi vanno tarati sul soggetto, ma è necessario considerare l’adulto con autismo secondo una visione multidirezionale, per andare poi ad agire su tutti gli aspetti che caratterizzano la sua vita.
Su tutto si pone la necessità di incoraggiare la flessibilità e l’autonomia dell’adulto con autismo, focalizzandosi sulla cura ed educazione ai comportamenti sociali e comunicativi. La mancanza di flessibilità di pensiero e di comportamento ha una notevole rilevanza in età adulta ed è alla base del modo di pensare ed agire delle persone con autismo. Ciò va ad inficiare la loro vita con la conseguenza che sono le persone che si prendono cura di loro a mettere in atto sforzi compensativi per sopperire a queste mancanze.
Occorre quindi tenere in considerazione questa mancanza nel progetto e programmare gli interventi che contribuiscano al superamento di questi deficit in una prospettiva di autonomia, ma forte importanza va data alle difficoltà legate alle novità, al cambiamento, alla mancanza di spontaneità e creatività, all’immaginazione.
Si sente spesso parlare di stereotipie. Cosa sono e che valore hanno per l’autistico?
Le stereotipie sono comportamenti ripetitivi che hanno come scopo la riduzione dello stress, in un mondo che effettua di continuo nuove richieste “minacciose”. Bisogna riconoscere tuttavia che il significato è ascritto al singolo individuo ed alla situazione del momento. Recenti ricerche hanno dimostrato come oltre ad essere canali di informazione sono anche canali di comunicazione e non possono essere eliminati così di punto in bianco. I comportamenti stereotipati rappresentano l’unico modo – come descrivono molti autistici nelle loro autobiografie – con i quali essi si difendono da un eccesso di reattività, nei momenti in cui ricevono degli stimoli esterni particolarmente intensi. Bisogna entrare nell’ottica che non abbiamo a che fare con comportamenti ostinati né volontari, anche se così potrebbe sembrare all’occhio poco esperto, ma ci troviamo di fronte ad un deficit centrale che nega l’accesso al proprio pensiero ed alla capacità di riflettere su di esso.
Un’ultima domanda. Nel caso di diagnosi e trattamento di problematiche specifiche, qual è l’approccio da utilizzare con un autistico?
Bisogna tenere in considerazione che l’autismo è un disturbo pervasivo dello sviluppo e non una malattia, tuttavia le persone con autismo sono predisposte a patologie sia fisiche che mentali. Date le caratteristiche psichiche degli autistici, sono più difficili la diagnosi ed il trattamento di problematiche (problemi dentistici, oculari, uditivi, gastrici) che sarebbe molto più facile trattare in soggetti normali e difficile negli autistici, proprio per la loro incapacità di riportare una sintomatologia in modo chiaro. Gli adulti con autismo hanno bisogno dunque di accedere a servizi medici e psichiatrici competenti sulle difficoltà ed i disturbi connessi a questa condizione, ciò per poter programmare le modalità di intervento più consona (si pensi ad una visita odontoiatrica o oculistica), meno invasiva e meno ansiosa per loro.