“Gli over 65 rappresentano oggi il 22,6% della popolazione, in continua crescita rispetto al passato: ciò significa che stiamo progredendo verso un modello di Paese nel quale la presenza di persone vecchie o molto vecchie andrà ad aumentare in termini numerici, con un forte impatto su sistemi di welfare e sistemi sanitari”.
Sono le parole a commento degli indicatori demografici Istat sul 2017 di Giancarlo Blangiardo, professore ordinario di Demografia all’Università di Milano-Bicocca e relatore al Convegno Erickson “L’assistenza agli anziani – Metodi e strumenti relazionali” in programma a Rimini nelle giornate di venerdì 9 e sabato 10 marzo, al fianco di studiosi quali Murna Downs, docente di Studi sulla Demenza presso il Centro di Studi Applicati sulla Demenza dell’Università di Bradford; l’antropologo e scrittore Marco Aime; Rabih Chattat, professore associato presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna; Fabio Folgheraiter, professore di Metodologia del lavoro sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e co-fondatore del Centro Studi Erickson; il sociologo Pierpaolo Donati. E’ prevista anche la testimonianza personale di Kathy Ryan sull’Alzheimer precoce diagnosticatole a soli 52 anni.
Nonostante la portata sempre crescente del problema, il dibattito tende tuttora a concentrarsi principalmente sugli aspetti medici, economici e manageriali della questione. Come rispettare l’umanità e i diritti profondi degli anziani coinvolgendo le famiglie nel prendersene cura? Come evitare che si sentano solamente l’oggetto di pratiche assistenziali? E allo stesso tempo, come favorire il benessere degli operatori? Sono solo alcune delle domande attorno alle quali si svilupperanno gli interventi della due giorni, nel tentativo di avanzare delle proposte per un’innovazione delle pratiche assistenziali che ponga in primo piano aspetti quali la relazione e il coinvolgimento attivo dell’assistito. Già da alcuni anni approcci innovativi per la cura di persone affette da problematiche neurocognitive sono andate consolidandosi in diversi Paesi, Italia inclusa, metodi che si prefiggono, in modo complementare alla terapia farmacologica, di curare la persona portando la sua storia personale a divenire la “pietra miliare” su cui costruire il progetto di cura, ma che possono essere parimenti utili anche a chi si prende cura di queste persone.
Saranno dunque i cosiddetti approcci non farmacologici a essere affrontati nel convegno, davanti a oltre 450 partecipanti, da esperti di fama internazionale, sviluppati attorno al tema del valore umano della persona, a sua volta declinato in quattro punti principali che vanno dall’accettazione della persona, al suo coinvolgimento nelle decisioni che la riguardano, passando per l’adattamento degli spazi nel rispetto di tempi ed esigenze specifiche e, ancora, per la valorizzazione di quella che è stata la storia personale dell’assistito.
Cinque, in questo senso, le metodologie affrontate: l’approccio capacitante, che mira a sovvertire la tendenza in base alla quale, quando ci relazioniamo con una persona affetta da demenza, la nostra attenzione si focalizza principalmente sui suoi deficit e sulle sue difficoltà; il Metodo Gentlecare che riconosce la valenza curativa dell’ambiente stabilendo che il benessere della persona è raggiungibile mediante la costruzione attorno alla persona di “protesi” che consentano il mantenimento della maggior autonomia possibile del malato; il Metodo Montessori, che propone l’applicazione di una metodologia che favorisce l’autoeducazione e l’estensione naturale dell’autonomia; il concetto di bientratance, che punta a promuovere il benessere della persona-utente all’interno di queste istituzioni attraverso la ricerca continua della personalizzazione del percorso d’aiuto e della prestazione, e, infine, il metodo Validation tecnica di comunicazione che consiste nell’utilizzare tecniche verbali e non verbali che vanno a supportare le frequenti difficoltà relazionali che si verificano nella quotidianità di familiari e operatori, con l’obiettivo ultimo di permettere all’anziano di esprimere se stesso, indipendentemente dal contenuto cognitivo.