Gli astronomi la chiamano shock breakout – “esplosione shock” – ed è la violenta onda d’urto che accompagna l’esplosione (appunto) di una stella.
Questo straordinario fenomeno è stato immortalato per la prima volta dal telescopio spaziale Kepler della NASA, ilcacciatore di pianeti che dal marzo 2009 sta scandagliando la regione Cigno-Lira della via Lattea.
Qui, in mezzo a oltre 100.000 stelle, Kepler ha già scoperto nel2011 un nuovo sistema planetario distante 2.000 anni luce da noi.
Nello stesso anno, ha registrato un evento altrettanto raro: due delle migliaia di stelle monitorate dall’occhio di Kepler sono esplose per così dire “in diretta”, permettendo agli astronomi di osservare la morte delle due stelle.
Ci sono voluti oltre quattro anni per elaborare i dati ottenuti dall’osservazione di questo doppio fenomeno. Ma ora un gruppo internazionale guidato da Peter Garnavich, astrofisico dell’Università di Notre Dame in Indiana, ha reso noti i risultati della sua ricerca sulla coppia di stelle esplosive.
Si tratta di due supergiganti rosse, le stelle più grandi dell’Universo in termini di volume e anche tra le più fredde. La prima si chiama KSN 2011a, è circa 300 volte le dimensioni del nostro Sole ed è distante circa 700 milioni di anni luce. La sua gemella,KSN 2011d, è ancora più grande e molto più lontana: 500 volte le dimensioni del Sole e circa 1.2 miliardi di anni luce da noi.
Questa doppia esplosione stellare, o supernova, è durata 20 minuti al massimo: riuscire a immortalarla è stata una vera impresa per Kepler.
“Per osservare qualcosa che avviene nella scala temporale di minuti – spiega Garnavich – bisogna avere una telecamera in costante monitoraggio del cielo. Non sappiamo quando possa avvenire una supernova: siamo stati testimoni dell’esplosione grazie alla vigilanza continua di Kepler”.
Le supernove osservate, catalogate come tipo II, generalmente cominciano quando l’interno di una stella termina il combustibile nucleare, provocando letteralmente il collasso del suo centro per effetto della forza di gravità.
I dati raccolti sulla morte dei KSN 2011a e KSN 2011d si sposano bene con i modelli matematici delle esplosioni di tipo II, rafforzando dunque le teorie esistenti sulle esplosioni stellari.
Ma hanno anche rivelato qualcosa di inaspettato: mentre entrambe le esplosioni hanno raggiunto un picco energetico molto simile, il vero e proprio shock breakout è stato osservato soltanto per la più grande delle due supergiganti.
Secondo gli scienziati, questo potrebbe essere avvenuto perché la stella più piccola è stata circondata da gas, che potrebbe quindi aver coperto l’onda d’urto nel momento in cui l’esplosione ha raggiunto la superficie della stella.
“Ecco l’enigma di questi risultati – commenta Garnavich – guardi due supernove apparentemente simili e vedi due cose diversissime”.
Analizzare le ragioni esatte di questa diversità sarà il prossimo obiettivo del gruppo di ricerca che sta lavorando sui dati raccolti da Kepler. Comprendere la fisica di eventi violenti come l’esplosione di una stella potrebbe infatti aiutare a capire meglio i meccanismi di formazione della nostra Via Lattea.