Sempre più spesso i media diffondono notizie riguardanti il fenomeno dell’immigrazione e quello del terrorismo, entrambi necessariamente legati alla situazione geopolitica dei paesi dell’area del Mediterraneo.
Su questi temi abbiamo avuto la possibilità di ascoltare la voce degli addetti ai lavori convenuti al recente convegno “Europa e Paesi membri – Le nuove sfide del terrorismo internazionale” organizzato dalla società Tecnogi Security Group.
A margine del convegno, ad alcuni di essi abbiamo rivolto delle domande visti i temi emersi e la necessaria sinteticità degli interventi.
Il Generale
“L’instabilità del Mediterraneo dalla Siria alla Libia” del Generale dei Carabinieri, dr. Domenico Libertini, è l’intervento che più si discosta da un piano strettamente tecnico per trattare questioni di geopolitica nell’area Mediterranea. Nel ricostruire brevemente le cause di questa instabilità il Generale ci ricorda un elemento che forse viene poco considerato dai media, ed è sottovalutato dall’opinione pubblica: l’elemento economico, che fece da miccia all’esplodere, nel 2011, «di tutto il Nord Africa e il Medioriente». Il dr Libertini ci ricorda che «i media le chiamarono all’inizio rivolte del pane» per i prezzi proibitivi che questo raggiunse, a causa della riduzione del 40% del raccolto di grano in una Russia preda, nell’estate 2010, di temperature elevatissime e incendi. Grandi importatori di questa materia sono, però, proprio Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Yemen; in aggiunta c’è la richiesta di grano della Cina «e potremmo aggiungere la speculazione sulle materie prime e quella finanziaria legata alla politica monetaria americana ad esempio, la carestia in Siria dal 2010 che ha spostato circa un milione di contadini nelle città e il milione circa di profughi iracheni ospitati da questo paese. Potete immaginare come il sistema di protezione sociale siriano sia completamente saltato e il governo di Assad messo in crisi».
A questi elementi il Generale aggiunge quello più schiettamente politico: «una volontà spregiudicata da parte dell’Occidente che ha fatto con Assad quello che già aveva fatto con Saddam mentre, per quanto a dir poco discutibile, Assad è l’unico alleato possibile in quell’area. L’unico politico a livello internazionale che aveva visto avanti era stato il presidente Putin». Insomma questa volontà spregiudicata si inserisce in un confronto interno al mondo musulmano tra sunniti e sciiti, infatti «dal 2011 a oggi c’è un leitmotiv, cioè l’interesse legato all’Arabia Saudita di continuare nell’estromissione degli sciiti da tutti quelli che sono i diritti politici e civili e questo ce lo dimostra l’intervento militare dei sauditi in Bahrain la cui popolazione è al 90% sciita. Gli sciiti vivono nell’area in cui viene prodotto il 50% del petrolio saudita, dove passano le pipeline eppure sono esclusi dal godimento dei frutti. L’Arabia Saudita interviene in Yemen», in sostanza i sunniti intervengono perché hanno interessi da tutelare.
Considerando questi elementi chiediamo al Generale:
Per la stabilità del Mediterraneo, crede che si riprenderà l’approccio economico tentato con l’ “Unione per il Mediterraneo”, oppure dovremmo riconoscere che non ci sono interessi economici comuni all’area Euro-Mediterranea o anche solo all’area Euro? «Beh, l’Europa non ha una vera e propria politica estera comune ma ognuno persegue i suoi interessi. Quello che è stato fatto per abbattere il regime di Gheddafi in Libia lo dimostra, e infatti l’Italia ne è stata la seconda vittima. Il problema europeo è serio, io dico sempre che abbiamo bisogno dell’Europa ma non di questa Europa che non va dal punto di vista sociale e geopolitico, è solo dei mercati e della finanza. Poi, sono convinto che questa situazione di resa dei conti interna all’Islam debba essere giocata all’interno dell’Islam, un intervento esterno potrebbe addirittura accentuare elementi di difficoltà. Da Europeo mi chiedo, interveniamo ma come e dove. Con quei 5 mila uomini di cui qualcuno ha parlato non ci facciamo nulla, neanche con i raid aerei. Non sono convinto si debba agire così e spero che un intervento militare non si faccia.
Prima ha citato l’Europa, e per quanto concerne invece la Nato come si conciliano gli interessi nazionali italiani stando in un contesto nel quale la gran parte della conflittualità è alimentata da paesi Nato e nel quale, ad esempio, il South Stream non si farà e c’è l’embargo petrolifero iraniano? «Beh io le dico solo una cosa, forse l’Italia dovrebbe guardare un po’ di più i suoi interessi nazionali».
Il Questore
Intervenuto a relazionare sull’allarme terrorismo in Italia e su possibili infiltrazioni, l’ex Questore di Ascoli Piceno, ma in carica fino al mese scorso, dr. Giuseppe Fiore discute principalmente del terrorismo islamico e dell’attività d’intelligence connessa sfatando miti, «a tutt’oggi possiamo dire che non ci sono soggetti venuti in Italia coi barconi per fare terrorismo», e denunciando i tagli, le carenze di organico, la disorganizzazione e le lentezze, «le traduzioni arrivano in 10 giorni e potrebbe essere troppo tardi». In ultimo il dr Fiore lancia una riflessione: «perché l’Italia non è ancora stata interessata da atti di terrorismo islamico?» e risponde ipotizzando che possa servire, strategicamente all’Isis, come canale da tener aperto per la penetrazione di «immigrati buoni che però danno luogo ad un cambiamento culturale della nostra società, un’invasione silenziosa di combattenti religioso-culturali. Ricordate le polemiche sul crocefisso nelle aule, perché i musulmani non erano più 2 in una classe ma 5 o 10». Questa riflessione resta ovviamente aperta; c’è da dire che il sig. Questore, trattando una questione specifica, non contempla aspetti quali, ad esempio, le corrette politiche per l’integrazione in grado di evitare concentrazioni e ghettizzazioni.
Volendo soffermarci sul tema del terrorismo chiediamo al dr. Fiore:
Attualmente in Italia si deve pensare solo al terrorismo islamico, esterno, o non anche a quello ‘passionale’, che qui c’è già, all’atto del singolo in grado di provocare molte vittime? «Sono due piani diversi – ci risponde – quello che lei chiama passionale non è il terrorismo come lo intendiamo noi forze dell’ordine, che colpisce obiettivi che devono avere un significato esterno. Sono atti di singoli che hanno una matrice singola specifica come la crisi economica, un mancato intervento della giustizia».
Quali sono gli strumenti di prevenzione? «per gli atti singoli, al livello delle questure più controllo sul rilascio delle licenze, su soggetti e motivazioni, e le licenze vanno controllate molto più assiduamente. Va fatto anche se appesantisce il nostro lavoro. Io l’ho fatto ma ogni questore è padrone in casa propria».
Per quanto riguarda gli scenari futuri del terrorismo, in un’Italia nella quale ci saranno grandi comunità di immigrati, come quella cinese della quale si parla sempre poco e che potrebbe superare la soglia del milione? «A noi la comunità cinese preoccupa molto più per la criminalità organizzata che per il rischio terroristico. Occorre lavorare sulla criminalità».
Anche considerando i rapporti politici con Pechino? «lo so, è un gioco quasi ‘delle parti’ ma là si deve e si può lavorare. Questa criminalità preme per prima sulla stessa comunità cinese, ma il criminale lo si deve riportare indietro, non basta dargli l’espulsione. Devono cambiare anche i sistemi».
Per quanto riguarda gli atti singoli, è vero che costituiscono un fenomeno diverso dal terrorismo tradizionalmente inteso ma, forse, dovremmo interrogarci sul senso di tale violenza verso gli altri, che ha già prodotto molte vittime ed è causata da un difficile contesto socio-economico o da una mala giustizia (i tragici fatti di Secondigliano, a Napoli, e del Tribunale di Milano sono ancora recenti). Senza dubbio occorre concentrarsi sul rischio terrorismo ma, forse, non dovremo dimenticare quest’altro fenomeno tutto interno al nostro paese.