Il lancio del VEGA dal Centro Spaziale Europeo della Guyana Francese, con a bordo i quattro satelliti di Terra Bella, società controllata da Google; la partenza di Tiangong-2, stazione spaziale sperimentale cinese, dalla base di Jiuquan in Cina: due lanci da basi lontane 14 mila chilometri l’una dall’altra, che sono avvenuti in un momento in cui stanno cambiando i paradigmi politici, diplomatici ed economici dell’avventura spaziale.
Partiamo dalla Cina, la nuova superpotenza dello spazio. Il lancio di Tiangoing-2 è il simbolo della corsa trionfale allo spazio che Pechino ha compiuto in pochissimi anni. Una grande nazione che nel 2013 si è potuta permettere di spendere per lo spazio circa 3,5 miliardi di dollari, che a parità di potere d’acquisto diventano 5,1.
Una sfida e una minaccia per gli Stati Uniti? Fino ad un certo punto. Il bilancio spaziale USA vale quattro volte tanto, circa 20 miliardi, e si tratta solo di quello della NASA. Ma per gli americani, particolarmente attenti a mantenere la loro supremazia strategica, la Cina è certamente un “sorvegliato speciale”. I complessi rapporti politici e commerciali tra americani e cinesi hanno infatti tenuto questi ultimi fuori dalla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), privandoli delle possibilità di sperimentazione e accesso alle tecnologie che tantissime nazioni – l’Italia tra le prime – hanno avuto. Un fatto che ha spronato Pechino a risalire velocemente la china, ottenendo risultati straordinari in meno di 15 anni.
Negli ultimi tempi, però, la comunità spaziale ha registrato alcune novità che potrebbero essere i precursori di un cambiamento di paradigma nella space diplomacy. Igor Anatolievich Komarov, il capo della russa Roscosmos, che dalla fine degli Shuttle governa l’accesso alla ISS, ha dichiarato che in futuro non saranno più necessari tre cosmonauti russi ma due, e che conseguentemente i russi proporranno equipaggi misti, anche con i cinesi.
Un’affermazione alla quale diplomaticamente non sono seguiti commenti da parte americana o europea, ma che è ovviamente al centro dei ragionamenti sul futuro della ISS e sui possibili programmi alternativi. Una maggior partecipazione cinese ai programmi spaziali internazionali, porterebbe benefici scientifici, tecnologici e industriali di non poco conto. Oggi la Cina rappresenta da sola il 13,3% del PIL mondiale e un quinto della popolazione della Terra; la sua economia in “rallentamento” nel 2015 ha creato quasi 4 milioni di nuove società, molte nel settore dei servizi, la parte più dinamica dello sviluppo economico: la Cina è un grande paese con delle grandi sfide per le quali la new space economy può fornire diverse key application scalabili.
L’infrastruttura satellitare, strategica e irrinunciabile, scandisce il ritmo delle economie avanzate, con servizi che vanno dalle telecomunicazioni e la navigazione fino al monitoraggio climatico e alla gestione delle emergenze. L’importante partnership tra Roma e Pechino – non a caso partecipiamo a Tiangong-2 con i servizi della nostra base di Malindi in Kenya – è il punto di partenza di nuove ed importanti collaborazioni. Tra i programmi cinesi che l’Italia è in grado di supportare c’è proprio la stazione spaziale: alla Thales Alenia Space di Torino (joint venture tra Leonardo-Finmeccanica e Thales Group) è stato prodotto il 50 % dei moduli abitabili della ISS, compresa la famosa cupola, da dove gli astronauti scattano foto meravigliose della Terra.
Dall’altra parte del pianeta, il lancio del VEGA che ha portato in orbita quattro satelliti per l’osservazione della Terra della società controllata da Google, e il primo satellite peruviano, segna un passaggio importante per la nostra industria. VEGA, il lanciatore europeo progettato e realizzato a Colleferro da Avio attraverso la controllata ELV (partecipata al 30% da ASI), è uno dei pilastri della strategia europea di accesso allo spazio, che ha appena ottenuto il via libera per l’ultimo finanziamento del programma Ariane 6, di cui VEGA fa parte. Si tratta di un momento molto importante: VEGA viene utilizzato in modo commerciale per mettere in orbita delle costellazioni che faranno il futuro dell’attività economica nel settore spaziale. L’industria italiana entra così a pieno titolo nella new space economy, e l’Italia è in prima fila.