E’ questione nota che i social network siano diventati veri contenitori d’odio. Basta una parola “sbagliata” all’interno di un post per essere sommersi dalla riprovazione generale; le fake news, presenti in abbondanza, rappresentano il cuore dell’interazione. Ancora più grave è che la valanga di disprezzo non ha risparmiato le nostre care istituzioni democratiche si sono ritrovate “sotto attacco” perdendo, a causa dei social, molta della loro credibilità. Come siamo arrivati dal divertimento all’odio verso chiunque la pensi in modo diverso da noi? Ce lo spiega Jonathan Haidt, psicologo e accademico americano in un lungo quanto interessante articolo apparso sulla rivista “The Atlantic“.
La nuova esperienza della connessione
Partiamo dagli anni Novanta del Novecento. Gli strumenti di Internet, ci ricorda Haidt, erano email, chat room e bacheche: luoghi nei quali persone fisicamente distanti potevano comunicare. Questo tipo di comunicazione le faceva sentire particolarmente in sintonia. Allo stesso modo, Myspace, Friendster e Facebook, permettevano a persone, anche sconosciute tra loro, di conversare su argomenti che ritenevano di comune interesse. Connessione era diventata la parola d’ordine, il sentimento più diffuso da chi “frequentava” i social network. Un sentimento che, superato l’ostacolo linguistico, faceva sentire le persone più unite e che era considerato un bene per le democrazie.
La “svolta” dei social
Cos’è cambiato da allora? L’aggiunta di due semplici funzioni: “like” e “condividi”. Nei primi tempi, racconta Haidt, i social come Myspace e Facebook davano semplicemente l’opportunità di creare una pagina personale e collegamenti con le pagine di altre persone, per lo più amici, e di gruppi preferiti. Potevano essere considerati come l’evoluzione di servizi postali o del telefono che aiutavano le persone a mantenere i loro legami sociali. Nel tempo, gli iscritti avevano provato sempre più gusto a rendere pubbliche foto dei loro momenti privati. La caduta di questo muro ha aperto le porte all’esibizione di sé e dopo un po’ alla costruzione di un vero e proprio marchio incentrato sulla propria persona. Il passaggio dalla connessione all’esibizione ha preparato il terreno, sostiene Haidt, all’intensificarsi delle dinamiche virali.
Nel 2009, infatti, accadono due eventi importanti: Facebook introduce il tasto “like” per i post che gli utenti visualizzano sulla loro bacheca; Twitter introduce il tasto “retweet” che poi viene prontamente copiato da Facebook con l’opzione “condividi”. Due eventi che hanno cambiato per sempre il volto dei social network. Vediamo come:
- Facebook, attraverso i like, ha potuto capire i gusti gli utenti e creare di conseguenza contenuti che maggiormente avrebbero ottenuto i “mi piace”.
- Successive ricerche hanno svelato che i contenuti che generano delle emozioni, rabbia in primis, sono quelli che vengono maggiormente condivisi.
Pertanto gli utenti si possono ritrovare “famosi su internet” se pubblicano un post che diventa “virale” oppure ricoperti di odio se il post non è gradito. Un gioco nel quale gli utenti si trovano di volta in volta da una parte o dall’altra. Facendo emergere il nostro io più moralista, l’indignazione ha raggiunto livelli scioccanti. Lo step successivo ha visto passare dalla costante indignazione alla rottura della fiducia.
Social e istituzioni: una relazione molto pericolosa
Il sentimento di sfiducia non ha mancato di travolgere anche le istituzioni politiche. Secondo gli scienziati sociali, così come raccontato da Haidt, il successo delle democrazie si regge sull’unione di tre fattori: capitale sociale (basato su reti sociali con alti livelli di fiducia), istituzioni forti e storie condivise. I social hanno indebolito tutti e tre questi fattori. Amplificando il futile (un esempio sono i post sui look di Melania Trump), hanno come svuotato di autorevolezza le istituzioni e alimentato la contestazione verso di loro. Vi è un senso generalizzato di sfiducia nei confronti della polizia, delle autorità sanitarie, della giustizia e perfino dell’istruzione. Siamo arrivati al punto che a ogni elezione, il voto è diventato una lotta per evitare la vittoria della fazione opposta. Da qui veniamo alla stupidità nella quale sono cadute delle istituzioni i cui rappresentanti hanno addirittura modificato i loro comportamenti per la paura cronica di essere colpiti.
L’uso sempre più diffuso dell’intelligenza artificiale non fa prevedere un cambio di direzione, anzi. Per evitare che le istituzioni crollino con il prossimo scossone (che sia una guerra o un tracollo finanziario), è necessario, secondo Haidt, rafforzare le istituzioni, riformare i social network e preparare le nuove generazioni alla partecipazione democratica.