Laureate brillanti, casalinghe, disoccupate o sottopagate: è questo il quadro delle donne italiane nel mercato del lavoro in base agli ultimi dati Istat pubblicati che disegnano la donna italiana come sottostimata e sottopagata. Andando nel dettaglio nel 2006 in Italia si potevano contare 7 milioni e 856 mila casalinghe mentre nel 2016, ovvero dieci anni dopo, questa quota si è ridotta di ben 518 mila unità.
I dati Istat presentano quindi un quadro in leggero cambiamento per quanto riguarda l’occupazione femminile negli ultimi anni, anche se va detto che la visione di fondo resta pur sempre la medesima, con le casalinghe italiane contraddistinte da una situazione economica peggiore di quella delle lavoratrici dipendenti: circa una casalinga su dieci, infatti, è in povertà assoluta, incapace quindi di garantirsi l’essenziale per una vita dignitosa. “I progressi degli ultimi anni sono indubbi” ha spiegato Carola Adami, fondatrice e CEO della società di selezione del personale di Milano Adami & Associati, aggiungendo però che “l potenziale della forza lavoro femminile è senz’altro ancora molto lontano dall’essere sfruttato in modo ottimale“.
E in effetti più della metà delle casalinghe italiane, stando ai dati dell’Istat, non ha mai svolto nessuna professione all’infuori della propria casa. Nello specifico, poi, il 10,8% delle casalinghe ha spiegato di aver cercato di entrare nel mondo del lavoro rispondendo a degli annunci di ricerca personale, ma non avendo raggiunto un buon esito, ha preferito desistere, rimboccandosi le maniche tra le mura domestiche.
Eppure il gentil sesso sarebbe quello che, a livello formativo, sembrerebbe avere una marcia in più rispetto ai ragazzi. Il Rapporto AlmaDiploma 2016 parla infatti chiaro, riportando il fatto che, in effetti, il voto medio di diploma delle maturande è di 78,3/100, di contro al 75,2 dei colleghi maschi. “E non solo le studentesse italiane raccolgono dei voti migliori rispetto agli studenti maschi” ha aggiunto Carola Adami, specificando che “3 donne su 4 scelgono di proseguire gli studi, iscrivendosi all’università o ad altri corsi post-diploma“. Di contro al 75% femminile, solo il 61% dei maschi decide invece di proseguire gli studi, raggiungendo in media un voto di laurea pari a 101,1; anche in questo caso la votazione media delle studentesse è migliore, confermandosi a 103,2.
Nonostante una formazione scolastica ed accademica mediamente migliore, però, le donne continuano ad avere maggiori problemi non solo nell’ingresso, ma anche nella permanenza nel mercato del lavoro: guardando ai laureati magistrali, dopo 5 anni dalla laurea il 90% degli uomini è infatti occupato, di contro al 80% delle donne; i primi vantano un contratto a tempo indeterminato per il 58% dei casi, mentre le seconde si fermano al 48%.
Nello stesso frangente, anche lo stipendio medio risulta concretamente diverso. Sempre a cinque anni dalla laurea, infatti, lo stipendio medio maschile è di 1.624 euro, di contro ai 1.354 euro di quello medio delle colleghe, il tutto a parità di ogni altra condizione. “Non è quindi certo un errore parlare di donne sottostimate e sottopagate” ha voluto sottolineare l’head hunter Carola Adami “e nemmeno parlare di una più alta incidenza di lavori par time e di pensioni più basse è errato. È però anche vero che in Italia il gap salariale è mediamente minore rispetto al resto del mondo“.
Stando ad uno studio Accenture, infatti, a livello mondiale una donna guadagna 100 dollari ogni 140 guadagnati da un uomo; in Italia, invece, questo gap si riduce a 131 dollari ‘maschili’ ogni 100 ‘femminili’. Non è certo un risultato lusinghiero, ma è pur sempre meglio di quanto fatto dagli altri Paesi europei. Nell’UE, infatti, il divario medio relativo ad ogni singola ora lavorata tra uomini e donne è pari al 16,3%, mentre in Italia (e in Lussemburgo) questa differenza si ferma al 5,5%. In Inghilterra, invece, sfiora il 21%, per oltrepassare invece il 22% in Germania.
Sono dunque queste le luci e le ombre del mercato del lavoro femminile in Italia: il dato maggiormente positivo è quello secondo il quale nell’ultimo decennio, nonostante la crisi economica, il tasso di occupazione femminile è comunque cresciuto. “Da una parte questo incremento è da ricondurre agli sviluppi di alcune riforme istituzionali” ha spiegato Carola Adami, “mentre dall’altro non si può negare la maggiore volontà di adattamento delle donne, che accettano sempre più di adattarsi a lavori flessibili come i part-time o il telelavoro“.