(Adnkronos) – “Anche se insegno il dialogo e la pace, penso che Hamas debba essere eliminato e che Israele debba entrare a Gaza”. Angelica Calò Livne, italiana sposata con un israeliano, vive da quasi mezzo secolo in un kibbutz a un chilometro e mezzo dal confine con il Libano, dove anni fa ha lanciato il suo progetto del Teatro Arcobaleno, che coinvolge ragazzi arabi e israeliani, ebrei e musulmani.
All’Adnkronos racconta il trauma di queste settimane, la paura di un’infiltrazione di Hezbollah dal Libano come quella di Hamas da Gaza il 7 ottobre e della solidarietà del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che oggi si è collegato via zoom con gli altri italo-israeliani del kibbutz, ai quali ha chiesto di “stare molto attenti”.
“L’operazione di terra a Gaza serve per evitare altre vittime civili tra i palestinesi – dice Calò, che ha quattro figli maschi, di cui tre arruolati -. Io non vorrei che entrassero, perché è pieno di mine, trappole, covi e tunnel, ma ci hanno già colpito abbastanza. Continuano a trascinarci in una guerra che non vogliamo, ma non possiamo non rispondere”.
Nata a Roma, dove ha vissuto fino a 20 anni, resta nel kibbutz di Sasa, dove fino alle settimane scorse vivevano in 450, mentre ora sono rimasti in 40, di cui 6 italo-israeliani, tre dei quali impegnati nella sicurezza della comunità e tre nella raccolta delle mele, che “è l’unica nostra entrata per il prossimo anno” e a cui collaborano anche “alcuni nostri amici arabi”.
Israele, l’italiana rimasta nel kibbutz
“La nostra paura più grande – si sfoga – è che Hezbollah, che da 20 anni accumula armi, lanci un attacco massiccio contro il nord di Israele e che i terroristi si infiltrino come quelli di Hamas a Gaza. Hanno 100mila razzi che possono arrivare a 700 chilometri di distanza, se attaccano si rischia una carneficina. Ogni giorno sparano e ogni giorno cercano di entrare, ma noi non abbiamo un altro posto in cui andare a vivere”.
E’ quello che lei e gli altri italo-israeliani hanno detto oggi anche a Tajani, che qualche ora prima in un’intervista a Skytg24 aveva chiesto ai connazionali nel nord di Israele di andare via: “Il ministro è stato veramente molto affettuoso, ci ha detto che l’Italia capisce il trauma che stiamo vivendo. E’ molto preoccupato e ci ha detto di stare attenti. Ma anche tutto lo staff dell’ambasciata a Tel Aviv è eccezionale, sono rimasti tutti qui e lo apprezziamo molto”.
Tra le conseguenze dell’attacco del 7 ottobre c’è la sospensione dei corsi universitari che Calò teneva al Tel Hai College, in Galilea, evoluzione dei laboratori teatrali creati insieme al marito. Un’idea nata 20 anni fa, dopo la Seconda intifada, quando in Toscana ospitarono una cinquantina di ragazzi israeliani traumatizzati dagli scontri.
Negli anni quell’esperienza si è trasformata in un teatro multiculturale aperto ad arabi e israeliani, dal nome italiano ed evocativo “Arcobaleno”, e poi è nata una fondazione con l’obiettivo di educare al dialogo attraverso le performing arts con cui “abbiamo girato il mondo per portare speranza e unire le persone in tutti i momenti più difficili”, chiosa Calò. —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)