(Adnkronos) – L’obiettivo numero uno, il più urgente, resta il cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Ed è a questo che stanno lavorando i leader arabi. Ma l’obiettivo finale, condiviso dalla comunità internazionale, è la creazione di uno Stato palestinese che possa pacificare la regione riconoscendo i diritti degli uni senza disconoscere il diritto di Israele a esistere. Il re di Giordania Abdullah II ha riunito a questo scopo ad Aqaba, nel sud del Paese, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, uno dei principali mediatori nella regione. E poi anche il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas per sentire da lui come pensa di riformare l’Anp immaginando, in futuro, un suo ruolo nella Striscia di Gaza.
L’enclave dal 2007 è sotto il controllo di Hamas, ma la guerra in corso ha proprio come obiettivo, più volte dichiarato da Israele senza mezzi termini, di togliere al gruppo non solo la potenza militare, ma anche quella politica e amministrativa. La stessa domanda ad Abbas l’ha rivolta il Segretario di Stato Antony Blinken, impegnato nel suo quarto tour nella regione dal massacro compiuto da Hamas lo scorso 7 ottobre e dalla successiva rappresaglia israeliana. Perché se l’unico modo di raggiungere la pace è attraverso la creazione di uno Stato palestinese, la domanda da porsi è come sarà governato questo Stato. Blinken lo ha detto chiaramente nel corso di una conferenza stampa a Tel Aviv anticipando l’argomento che avrebbe trattato con Abbas: “L’Anp va riformata, la sua governance va migliorata”.
Nel suo tour di sette giorni, in cui aveva in programma di visitare nove Paesi, Blinken ha inserito a sorpresa una visita in Bahrain per incontrare re Hamad bin Isa Al Khalifa e discutere anche con lui i passi da compiere per evitare una escalation del conflitto. Perché più leader arabi sono impegnati in questo obiettivo, maggiori sono le possibilità di raggiungerlo. Anche l’Arabia Saudita, che all’indomani della rappresaglia di Israele nella Striscia di Gaza aveva congelato il processo di normalizzazione con lo Stato ebraico, ora lo rimette in gioco. Come ha spiegato l’ambasciatore di Riad a Londra, Khalid bin Bandar, l’Arabia Saudita è infatti pronta a valutare la possibilità di stabilire rapporti con Israele a patto che l’accordo per la fine della guerra preveda il riconoscimento di uno Stato palestinese.
Intanto, al di là della diplomazia ufficiale, è in corso un lavoro di intelligence, questa volta con Hamas e la Jihad islamica, per mettere fine al conflitto in corso. In campo è scesa l’intelligence egiziana, che con la leadership di Gaza sta discutendo proprio una possibile ripresa dei negoziati che, in cambio del fermo dei raid israeliani, della scarcerazione di detenuti palestinesi e della consegna di un numero maggiore di aiuti umanitari porti al rilascio degli ostaggi che ancora si trovano nell’enclave palestinese.
Nelle discussioni è coinvolto anche il Qatar, che continua la sua opera di mediazione e condivide la necessità che una delegazione di Hamas e della Jihad Islamica si rechi al Cairo per discutere della proposta egiziana. Finora, hanno però spiegato fonti dell’intelligence del Cairo, le premesse non sono buone. Hamas resta fermo sulle sue richieste e sbatte la porta in faccia a qualsiasi iniziativa diversa. Ed ecco perché, al momento, l’incontro del Cairo resta senza una data certa. Per stabilirla servirà mediare ancora e per gli egiziani mettere a punto una proposta che si avvicini maggiormente alle richieste di Hamas.
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