(Adnkronos) – Deputato dal 2008 per cinque legislature consecutive in rappresentanza di Tabriz, Masoud Pezeshkian ha vinto, malgrado non fosse tra i favoriti, le elezioni presidenziali in Iran. Unico candidato riformista ammesso dal Consiglio dei Guardiani, Pezeshkian ha prima ‘eliminato’ al primo turno il vincitore annunciato delle elezioni, il conservatore (o principalista) Mohammad Baqer Qalibaf, e infine ha avuto la meglio al secondo turno sull’ultraconservatore (o paydari), Saeed Jalili. Pezeshkian è stato eletto nono presidente della Repubblica islamica con 16.384.403 voti su un totale di 30.530.157 voti, mentre il suo avversario Jalili ne ha raccolti 13.538.179 (il resto sono schede bianche e nulle).
L’affluenza è stata vicina al 50%, significativamente più alta del primo turno, quando si è fermata appena sotto il 40%, ma comunque al di sotto della soglia che avrebbe restituito una parvenza di legittimità all’establishment politico-religioso. Succederà a Ebrahim Raisi, scomparso in un incidente in elicottero il 19 maggio nel nord-ovest dell’Iran insieme all’allora ministro degli Esteri, Hossein Amir-Abdollahian.
Nato il 29 settembre del 1954 a Mahabad, nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, Pezeshkian è di etnia azera come la Guida Suprema, Ali Khamenei.
Iran: chi è il neo presidente eletto
Nella sua vita c’è un dramma. Nel 1994 perse la moglie e uno dei figli in un incidente stradale ed è stato costretto a crescere da solo gli altri suoi due figli e una figlia.
Cardiochirurgo di formazione, Pezeshkian è stato rettore dell’Università di Scienze Mediche di Tabriz. La sua carriera politica è iniziata tra il 1997 ed il 2001, durante la presidenza di Mohammad Khatami, come vice ministro della Sanità. Nel secondo mandato di Khatami è stato promosso ministro, mentre tra il 2016 e il 2020 ha ricoperto la carica di primo vice presidente del Majlis (il Parlamento). Sia nel 2013 che nel 2021 si era candidato alla presidenza, ma senza risultati degni di nota. Un conservatore nella vita privata, ma un riformista in politica viene definito Pezeshkian, la cui lealtà ai principi della Repubblica islamica e alle linee guida di Khamenei non sono assolutamente messe in discussione.
Gli osservatori non si aspettano dalla sua presidenza svolte significative in politica estera, soprattutto se negli Stati Uniti dovesse essere rieletto Donald Trump, la cui decisione nel 2018 di uscire unilateralmente dall’accordo sul nucleare (Jcpoa) affossò la presidenza riformista di Hassan Rohani. Pezeshkian non è un candidato anti-sistema – “saremo amici di tutti tranne che di Israele”, ha detto durante la campagna elettorale – ma su alcuni punti è stato molto chiaro. Il primo riguarda le sanzioni, che non ha esitato a definire “un disastro” per l’economia, devastata dall’inflazione. Il presidente eletto ha espresso in più occasioni la necessità di dialogare con l’Occidente per ottenere la revoca delle restrizioni. Uno scenario che oggi appare lontano, ma che nei prossimi mesi potrebbe avvicinarsi alla realtà soprattutto se sarà confermata la sua intenzione di attingere a piene mani per la scelta dei ministri dall’esperienza politica di Rohani.
Chi sarà il ministro degli Esteri
Sono in molti a scommettere che agli Esteri tornerà Mohammad Javad Zarif, che – oltre ad essere il ‘padrino’ politico di Pezeshkian – per anni è stato il volto ‘gentile’ dell’Iran nonché protagonista degli estenuanti negoziati che portarono alla nascita del Jcpoa. “Pezeshkian ha parlato con forza della necessità che l’Iran risolva le tensioni con l’Occidente” attraverso “trattative dirette piuttosto che colloqui tramite mediatori”, ha affermato Trita Parsi del Quincy Institute, notando che il presidente eletto ha avanzato questa proposta in un contesto in cui non appare improbabile che Trump possa diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti.
“Si tratterebbe di un cambiamento significativo se gli iraniani accettassero di impegnarsi direttamente con gli Stati Uniti anche con Trump come presidente”, ha aggiunto, non nascondendo le difficoltà che rendono “molto difficile il rilancio dell’accordo sul nucleare. Ma ora potrebbe esistere la volontà politica – almeno da parte iraniana – per un nuovo accordo. Che esista da parte americana è una storia diversa”. Con Pezeshkian è lecito aspettarsi un’apertura soprattutto a livello di giustizia sociale e diritti. Il presidente eletto, che fu tra i politici che chiesero chiarimenti sull’uccisione nel 2022 di Mahsa Amini mentre era in custodia della polizia, ha annunciato un allentamento del rigido codice di abbigliamento sul velo e maggiori libertà per i giovani, sostenendo che non esistono testi islamici che consentano alle autorità di aggredire o arrestare le donne che non indossano l’hijab.
La sua attenzione verso queste due delicate questioni, ritenute linee rosse invalicabili dagli ultraconservatori, è stata apprezzata dall’elettorato, come dimostra il risultato delle urne. La strategia vincente del 69enne è stata corteggiare gli elettori disillusi, in particolare le giovani generazioni, e convincerli che le elezioni presidenziali contano e che l’esito del voto potrebbe portare un cambiamento reale nelle loro vite. —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)