Oggi ci è venuto a trovare Tristan Tzara, pseudonimo di Samuel Rosenstock, nato a Moinesti (Romania) nel 1896 e morto a Parigi nel 1963 dove visse la maggior parte della sua esistenza. Poeta e saggista, è conosciuto soprattutto per essere stato il principale fondatore del dadaismo, movimento artistico d’avanguardia nato a Zurigo durante la Prima Guerra Mondiale, per cui Tzara scrisse i primi testi: La première aventure céleste de Monsieur Antipyrine (1916), Vingt-cinq poèmes (1918) e il manifesto del movimento, Sept manifestes Dada (1924). Dopo una specie di ripudio verso il nichilismo e il distruzionismo di Dada, si unisce ai surrealisti, collaborando alla conciliazione del surrealismo con il marxismo. Nel 1937 entrò nel Partito Comunista francese. Andò a combattere in Spagna contro la dittatura fascista di Franco e fece parte della Resistenza francese durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1956 lasciò il Partito, per protesta contro la repressione Sovietica della Rivoluzione Ungherese. Continuò a fare il poeta ma ormai la sua vena poetica assunse una chiave stranamente lirica.
Una prima domanda che vorrei porle è perché un convinto poeta dadaista ad un certo punto diventa un poeta lirico?
Si riferisce al dopo del mio coinvolgimento nel movimento surrealista? La colpa o la spinta, se vogliamo, si deve ai miei ideali politici. Ad un certo punto sentivo il bisogno di narrare l’angoscia della mia anima, sballottata com’era tra l’idea di rivolta, che non mi aveva mai abbandonato, e la tragedia quotidiana della condizione umana.
È strano che parli di anima. Non era quello che sostituiva l’uomo a Dio? Senza Dio non ci può essere anima.
Ad un certo punto della propria vita si può anche cambiare idea, che non è affatto un male: lo gli stupidi non cambiano mai idea!
Perché il dadaismo è contro la logica?
Perché la logica è falsa come tutto il sistema positivo. Ciò che ci prefiggiamo è risolvere le condizioni, finora contraddittorie, di sogno e di realtà in una realtà assoluta, in una surrealtà. Abbiamo bisogno di opere forti, dirette e incomprese, una volta per tutte. La logica è una complicazione. La logica è sempre falsa.
Il dadaismo si richiama al “disordine necessario” auspicato da Rimbaud. Ma che cosa ha apportato alla letteratura la distruttiva Dada?
Dada ha tentato non tanto di distruggere l’arte e la letteratura, quanto l’idea che se ne aveva. Ridurre le loro frontiere rigide, abbassare le altezze immaginarie, rimetterle alle dipendenze dell’uomo, alla sua mercé, umiliare l’arte e la poesia, significa assegnare loro un posto subordinato al supremo movimento che non si misura che in termini di vita.
In un periodo dove già esisteva la forza avanguardista del surrealismo, cosa aggiunse il dadaismo?
Lo spirito di rivolta, che è comune alle adolescenze di tutte le epoche e che esige la completa adesione dell’individuo ai bisogni della sua natura più profonda, senza riguardi per la storia, per la logica o per la morale. Onore, patria, morale, famiglia, arte, religione, libertà, fraternità, tutto quel che vi pare: altrettanti concetti che corrispondono agli umani bisogni, dei quali non resta null’altro che scheletriche convenzioni, private ormai del loro significato primitivo.
Il dadaismo ha avuto la sua maggiore incidenza probabilmente sul teatro. Come è il teatro per i dadaisti?
È un teatro che infrange i rapporti convenzionali tra spettatori e pubblico, per instaurarne dei nuovi: provocazioni, insulti, dibattiti la fanno da padrone tra palcoscenico e sala. Si cerca di determinare gli stessi effetti distruttivi perseguiti in poesia e pittura.
Dialoghi onomatopeici di influenza futurista e la “zaum” dell’avanguardia russa?
Le parole degli attori sono recitate liberamente, senza logica e sintattica, ridotte spesso a semplici suoni onomatopeici, come dice lei. Il dialogo teatrale è messo al bando, come l’intersoggettività. I personaggi si creano un loro linguaggio, ognuno recita per conto proprio per una specie di monologo multiplo.
In realtà, che cos’è il dadaismo?
Qualsiasi prodotto del disgusto suscettibile di trasformarsi in negazione delle famiglia è Dada; protesta a suon di pugni di tutto il proprio essere teso nell’azione distruttiva: Dada; presa di coscienza di tutti i mezzi repressi fin’ora dal senso pudibondo del comodo compromesso e della buona educazione: Dada; abolizione della logica, balletto degli imponenti della creazione: Dada; di ogni gerarchia di equazione sociale di valori stabiliti dai servi che bazzicano tra noi: Dada; ogni oggetto, tutti gli oggetti e i sentimenti e il buio, le apparizioni e lo scontro inequivocabile delle linee parallele sono armi per la lotta: Dada; abolizione della memoria: Dada; abolizione del futuro: Dada; abolizione dell’archeologia: Dada; abolizione dei profeti: Dada; fede assoluta irrefutabile in ogni dio che sia prodotto immediato della spontaneità: Dada.
Dada come indifferenza o sovversione verso il sistema?
Direi il ritorno ad una religione dell’indifferenza, di tipo quasi buddista. Dada è un microbo vergine che si insinua con l’insistenza dell’aria in tutti gli spazi che la ragione non è riuscita a colmare di parole e di convenzioni.
Come nasce Dada?
Dada nasce dallo spirito di rivolta, che è comune alle adolescenze di tutte le epoche e che esige la completa adesione dell’individuo ai bisogni della sua natura più profonda, senza riguardi per la storia, per la logica o per la morale. Onore, patria, morale, famiglia, arte, religione, libertà, fraternità, tutto quel che vi pare: altrettanti concetti che corrispondono agli umani bisogni, dei quali non resta null’altro che scheletriche convenzioni, private ormai del loro significato primitivo.
Alcune poesie si basano su parole inventate, senza significato, come Dada d’altronde. Cosa voglio significare?
Inventate, certo, ma con una loro comprensione che si fonda esclusivamente sul coinvolgimento emotivo dello spettatore. Prendiamo due versi di Ball: Gadji beri bimba glandridi laula lonni cadori / Gadjiama gramma berinda bimbala glandri galassassa laulitolomini. Non sono anche divertenti?
Per concludere, qual è stato il messaggio del dadaismo?
Dada ha tentato non tanto di distruggere l’arte e la letteratura, quanto l’idea che se ne aveva. Ridurre le loro frontiere rigide, abbassare le altezze immaginarie, rimetterle alle dipendenze dell’uomo, alla sua mercé, umiliare l’arte e la poesia, significa assegnare loro un posto subordinato al supremo movimento che non si misura che in termini di vita.