In un momento in cui, sia sul piano poetico sia su quello ideologico, si annota un forte riesame (sia pure critico) del passato: è assolutamente indispensabile che, chi si metta a poetare, ancor prima di stabilire ogni contropartita con l’interdetto mondo di una cultura speculativa, abbia coscienza e controllo del presente, del punto di partenza per un cambiamento salvifico della vita influenza da una politica catastrofica ed evanescenza.
A conti fatti, ci accorgiamo, nostro malgrado, che di salvabile, in quest’ultimo periodo di attività culturale, resta ben poco nell’italico paese. Le situazioni che si riescono a rappresentare danno il voltastomaco, concentrazioni di falsi miti portati all’ennesima potenza e consegnati alla dissolvenza di un prodotto del tipo “usa e getta”, tuttavia costituiscono il carrefour della contemporaneità, del postmoderno, dove lo scrittore s’impone l’esigenza dello scrivere facile e quindi per tutti, unicamente per incorporarsi nell’establishment culturale con l’auspicio di partecipare così alla spartizione della torta.
L’irresponsabilità di certa letteratura attuale, ben sostenuta dalle grosse case editrici e da giornali populisti e neoconservatori, fa sì che tutto sia inevitabilmente votato alla volgarità, a un’apertura di degrado, disperatamente confuso. Un’apertura di dolore, oseremmo dire, e in questo stato di prerogative fuorvianti e per niente originali, la poiesis della decostruzione di linguaggi fasulli non fa altro che svelarci il silenzio del tempo, di questo tempo, chiuso com’è all’universo discorsivo, al valore, alla “fisicità” del corpo materico della poesia, a verità altre.
«Quel che è mutato nel periodo contemporaneo, ci dice Herbert Marcuse in L’uomo a una dimensione, è la differenza che prima esisteva tra due ordini e le loro verità. Il potere assimilante della società svuota la dimensione artistica, assorbendo i contenuti antagonistici. Nel regno della cultura di nuovo totalitarismo si manifesta precisamente in un pluralismo armonioso, dove le opere e le verità più contraddittorie coesistono pacificamente in un mare di indifferenza». La scrittura, adeguandosi al contesto pragmatico in cui è pronunciata (televisione, mass-media, pubblicità, riviste patinate) diventa cliché di una koinè codificata da formule magico-rituali, da feticci ritenuti a torto immodificabili. E con essa il poeta delle suggestioni auratiche, dei ritorni del mito, dell’orfismo, della poesia innamorata di se stessa, il quale da un lato si rende irresponsabile di fronte alle problematiche della realtà che lo circonda, dall’altro, scaricatosi di ogni valenza critica e strutturale, si attesta sull’effimero dell’esteticizzazione, non prima di un ripiego della ragione verso l’appiattimento, lo spettacolo, il look, determinando l’apparire più che l’essere.
Abbiamo citato in precedenza Marcuse, e al suo fantasma, che oggi ci viene a trovare, vogliamo rivolgere alcune domande sulla decadenza della cultura e della società industrializzata, non prima di spendere due parole di presentazioni, per coloro che non lo conoscono o lo conoscono poco. Herbert Marcuse, di origini ebraiche, nasce a Berlino nel 1898 e muore a Starnberg nel 1979.
È stato un filosofo, sociologo e politologo tedesco naturalizzato statunitense. Nel 1916 prende parte alla prima guerra mondiale nei ranghi della Reichswehr (che significa “Difesa del Reich”, nome dato alle forze armate tedesche dal 1919 al 1935, poi rinominate Wehrmacht, “Forza di Difesa”). Nel 1922 consegue il dottorato a Friburgo dove nel 1929 inizia l’abilitazione sotto la guida di Martin Heidegger, uno dei maggiori esponente dell’esistenzialismo, che a Friburgo, dopo essere stato, a partire dal 1919, assistente di Edmund Husserl, il padre della fenomenologia, nel 1928 gli subentra nella cattedra, per raggiunti limiti di età del maestro, alla Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo dove viene eletto rettore nel 1933. Marcuse è stato uno dei massimi esponenti della cosiddetta “Frankfurter Schule” (Scuola di Francoforte), formata con Max Horkheimer e Theodor Adorno nel 1922. Dopo la presa di potere di Hitler, nel 1933 Marcuse fugge in Svizzera. L’anno dopo emigra negli USA dove ottiene la cittadinanza nel 1940. È in America che Marcuse pubblica le sue due opere maggiori: L’uomo a una dimensione, nel 1964, e Eros e Civiltà, nel 1965.
Heidegger, ne L’essenza della verità. Sul mito della caverna e sul «Teeteto» di Platone (Teetèto era un matematica, discepolo di Platone che in futuro diventerà famoso) afferma che «il filosofo deve restare solitario, perché lo è nella sua essenza. La sua solitudine non può essere discussa. L’isolamento non è qualcosa che si può volere. Proprio per questo egli deve esserci sempre nei momenti decisivi e non può farsi da parte. Egli non fraintenderà la solitudine interpretandola nel senso esteriore di un ritirarsi e di un lasciar-correre le cose». Cosa ne pensa?
Il fatto che la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente non rende questa meno irrazionale e meno riprovevole. Isolarsi o apparire? È la stessa dicotomia esistente nella distinzione tra coscienza autentica e falsa coscienza, tra interesse reale e interesse immediato. Chi surclassa chi? Però il tutto conserva ancora un significato. La distinzione deve tuttavia essere verificata. Gli uomini debbono rendersene conto e trovare la via che porta dalla falsa coscienza alla coscienza autentica, dall’interesse immediato al loro interesse reale.
E come si ottiene una coscienza autentica, come si sovrappone l’interesse reale all’interesse immediato?
Ci si può riuscire solamente se si avverte il bisogno di mutare il nostro (il vostro) modo di vita, che mi pare essere un vero schifo! Ci si riesce negando il positivo, rifiutandolo. È precisamente questo bisogno che la società costituita si adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di “distribuire i beni” su scala sempre più ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scientifica dell’uomo.
Cosa intende per positivo, una espansione della tecnologia?
La tecnologia è un apparato della società totalitario e ipnotico. Pensiamo per un attimo ai nostri figli: sin dalla fanciullezza fanno uso di strumenti tecnologici che li inchiodano ? è il caso di dire ? davanti ad uno strumento ipnotico. Qualcuno potrebbe obiettare affermando che se ciò accade è colpa dei genitori troppo permissivi. I genitori purtroppo sono investiti da un altro problema, figlio della fretta e di questo mondo velocizzato all’esasperazione: si fanno sottomettere da una società totalitaria che gli produce gli strumenti per controllare l’impeto dei propri figli, ignorando il fatto che un palloncino sottoposto a continuo gonfiamento prima o poi scoppia. Insomma: la società tecnologica è un sistema di dominio che prende ad operare sin dal momento in cui le tecniche sono concepite ed elaborate.
Allora stanno meglio i popoli sottosviluppati o i sistemi tribali?
Certamente. Intanto non c’è concorrenza, né l’arrivismo di una società opulenta che inevitabilmente affossa i più deboli. Il modo in cui una società organizza la vita dei suoi membri comporta una scelta iniziale; la scelta stessa deriva dal gioco degli interessi dominanti. Essa prefigura modi specifici di trasformare e utilizzare l’uomo e la natura e respinge gli altri modi. Come universo tecnologico, la società industriale avanzata è un universo politico, l’ultimo stadio della realizzazione di un progetto storico specifico, vale a dire l’esperienza, la trasformazione, l’organizzazione della natura come un mero oggetto di dominio.
Lei ha fatto parte della corrente filosofica dell’esistenzialismo che fa capo a Sartre. Cosa intendete per esistenzialismo?
L’esistenza dell’uomo mentre crea la sua essenza determinata dalla struttura ontologica eternamente identica dell’uomo.
Non è che ci abbia capito tanto.
Glielo spiego con le parole di Sarte. L’esistenzialismo, che è una dottrina, dispone gli animi a comprendere che soltanto la realtà vale. Che i sogni, le attese, le speranze permettono soltanto di definire un uomo come un sogno deluso, come una speranza mancata, come un’attesa inutile.
Alla faccia dell’ottimismo!
Sì, sono pensieri di un’ambivalenza paurosa. Ma, a ben vedere, soltanto una sana aderenza alla realtà vale, in quanto è la realtà stessa che va rovesciata, così che l’esistenza umana abbia inizio.
Una delle sue opere maggiori è L’uomo a una dimensione, ovverosia, la società a una dimensione. Cosa vuole intendere?
Proprio quello che c’è scritto: l’uomo a una dimensione, indirizzato verso percorsi prestabiliti dalla società che è anch’essa a una dimensione, appunto: raccogliere quanto più capitale possibile e con ogni mezzo, lecito e illecito. Insomma, questa società cambia tutto ciò che tocca in una fonte potenziale di progresso e di sfruttamento, di fatica miserabile e di soddisfazione, di libertà e d’oppressione dove pensare è uno sforzo, credere un lusso. Uno degli aspetti più inquietanti delle civiltà industrializzate e opulenti è il carattere razionale della loro irrazionalità: la conclusione, qualunque essa sia non potrà mai essere una vittoria.
La filosofia in cosa è diversa dalla poesia?
La filosofia prefigura l’eguaglianza dell’uomo ma si sottomette, al tempo stesso, alla negazione di fatto dell’eguaglianza. La poesia, invece, è il logos della vera libertà di pensiero.
In conclusione. Come se ne esce da una società totalitaria?
Con l’individuo non più obbligato a provare quanto vale sul mercato (giacché, oramai è divenuto merce di scambio dello status quo) la sua qualità di libero (si fa per dire) soggetto economico, la scomparsa di questo genere di libertà sarebbe uno dei più grandi successi della civiltà. Ricordatevi che sotto un governo di un tutto repressivo, la libertà può essere trasformata in un possente strumento di dominio. Prendiamo la televisione: è uno strumento repressivo in quanto decide di trasmettere quello che vuole e quanto vuole, ma dà piena libertà all’utente di scegliersi i programmi che vuole. Ma è un meccanismo di controllo che sviluppa il bisogno ossessivo di produrre e consumare lo spreco della potenza distruttiva e la funzione repressiva della società opulenta, dove l’immaginazione “poetica” non deve avere un processo produttivo positivo: la negazione colpisce il sistema dal di fuori e quindi non è sviata dal sistema. Meditate, meditate!