Oggi ci è venuto a trovare il fantasma di Fernando Pessoa (nome completo Fernando António Nogueira Pessoa), poeta, scrittore e aforista, nato a Lisbona nel 1888 dove è morto nel 1935. Considerato uno dei maggiori poeti di lingua portoghese, definito con Pablo Neruda, il poeta più rappresentativo del XX secolo. È il poeta che si firmava facendo ricorso ai numerosi eteronimi inventati, un altro dato rilevante di questo grande letterato. Vastissima la sua produzione poetica.
A proposito dei suoi eteronimi. Quando e come nasce il suo primo eteronimo, Chevalier de Pas?
Quando avevo sei anni, attraverso il quale scrivevo lettere a me stesso, e la cui figura, non del tutto vaga, ancora colpisce quella parte del mio affetto che confina con la nostalgia. Nostalgia! Che parola spaventosa! Ho nostalgia perfino di ciò che non è stato niente per me, per l’angoscia della fuga del tempo e la malattia del mistero della vita, Mi sento tutto una nostalgia vaga, non del passato o del futuro, ma una nostalgia del presente, anonima, prolissa e incompresa.
A sei anni ha scritto anche il suo primo poema, un’epigrafe dedicata alla sua amata mamma. Ma chi è per lei un poeta?
Il poeta è un fingitore. Finge così completamente che arriva a fingere che è dolore: il dolore che davvero sente. Ha il dovere di chiudersi nel suo spirito e lavorare quanto può e in tutto ciò che può, per il progresso della civiltà e l’allargamento della conoscenza dell’umanità.
Torniamo alla sua idea degli eteronimi. Perché si è “nascosto” per tutta la vita dietro ad essi?
Rispondendo alla sua domanda sulla genesi dei miei eteronimi, vediamo se riesco a risponderle in maniera compiuta. Comincio dalla parte psichiatrica. L’origine dei miei eteronimi è il profondo tratto di isteria che c’è in me. Non so se sono semplicemente isterico o se non sono, più propriamente, isterico-nevrastenico. Propendo per questa seconda ipotesi perché si danno in me fenomeni di abulia che l’isteria propriamente detta non annovera tra i suoi sintomi. Sia come sia, l’origine mentale dei miei eteronimi risiede nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione.
Non fa una piega. Possiamo, allora affermare che la sua poesia è un’ortonimia continua. Ma è dalla lettera ad Adolfo Casais Monteiro del 13 gennaio 1935 che siamo venuti a conoscere i suoi eteronimi, l’origine di essi.
L’origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. L’origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente, per me e per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l’interno e io li vivo da solo con me stesso.
Tutt’uno? Ma in realtà quando si è convinto di “nascondersi” dietro agli eteronimi; o meglio, di sostituirsi ad essi?
Era l’8 marzo 1914. Un giorno in cui avevo definitivamente rinunciato a scrivere mi sono avvicinato da un alto comò e, prendendo un foglio di carta, mi sono messo a scrivere, all’impiedi, come faccio ogni volta che posso. E ho scritto circa trenta poesie di seguito, in una specie di estasi di cui non riesco a capire il senso. Fu il giorno trionfale della mia vita e non potrò mai averne un altro come quello. Cominciai con un titolo: O Guardador de Rebanhos (Il Guardiano di greggi). E quello che seguì fu la nascita in me di qualcuno a cui diedi subito – appunto ‒ il nome di Alberto Caeiro. Scusate l’assurdità di questa frase: il mio maestro era sorto in me.
Tra i suoi eteronimi, ci sembra più somigliante a lei Alberto Caieiro, il “maestro”, intorno al quale sono nati gli altri eteronimi (Álvaro Campos, Ricardo Reis), il poeta delle sensazioni. E crediamo che sia da lei il più amato. Perché?
Come persona, forse sì, perché per un mondo immerso in vari generi di soggettivismo, egli porta l’oggettivismo assoluto, più assoluto di quanto gli oggettivisti pagani abbiano mai avuto. Ad un mondo ultracivilizzato viene restituito la Natura Assoluta. Ad un mondo affondato nell’umanitarismo, nei problemi dei lavoratori, nelle società etiche, nei movimenti sociali, porta un assoluto disprezzo per il destino e la vita dell’uomo, che, se può essere considerato eccessivo, è dopotutto naturale per lui e un correttivo magnifico.
La sua vita è stata la sua poesia, dirà Ricardo Reis. Si riconosce in essa? C’è differenza tra la sua vita e quella di Caieiro?
La vita di Caeiro non può essere raccontata perché non c’è altro da dire al riguardo. Le sue poesie sono ciò che gli è successo nella vita. In tutto il resto non ci sono stati incidenti e non c’è storia. Lui è un guardiano di greggi. Il gregge è nei suoi pensieri e i suoi pensieri sono tutte sensazioni. La mia vita, al contrario, è una grande sfortuna! Io sono un mistico, ma solo con il corpo. La mia anima è semplice e non pensa. Il mio misticismo non vuol sapere. Vive e non ci pensa. I poeti mistici sono filosofi malati e i filosofi sono uomini pazzi che negano il mistero e la ricerca del senso interiore delle cose: l’unico senso interiore delle cose; sentire tutto in tutte le maniere; vivere tutto da tutti i lati; essere la stessa cosa in tutti i modi possibili allo stesso tempo realizzare in sé tutta l’umanità di tutti i momenti, in un solo momento diffuso, profuso, completo e distante.
E Ricardo Reis quando nasce?
Ricardo Reis è nato nella mia anima, il 29 Gennaio 1914, alle 11 di sera. Avevo sentito il giorno prima una lunga discussione sugli eccessi, in particolare sul successo, dell’arte moderna. Secondo il mio processo di sentire le cose senza sentirle, mi lascio andare nell’ondata di questa reazione momentanea. Quando ho capito cosa stavo pensando, ho visto che avevo sviluppato una teoria neoclassica che si stava sviluppando. Ti confido che questo eteronimo è stato il primo a rivelarsi a me, anche se non è stato il primo a iniziare la mia attività letteraria: è rimasto inattivo dal 1912 al 1914 quando inizia la sua produzione di autore con le Odi. Da allora inizia una continua e intensa attività poetica, e sempre coerente e inalterabile, fino al 13 dicembre 1933.
Diciamo del vero se affermiamo che Ricardo Reis è l’eteronimo che più le si avvicina, sia nell’aspetto fisico, sia nel modo di essere e di pensare?
Certo. Mi piace la sua abilità nel sensazionalismo, ereditata dal maestro Caeiro. Caeiro ha una disciplina: le cose devono essere sentite come sono. Ricardo Reis ha una disciplina diversa: le cose devono essere sentite, non solo come sono, ma anche per integrarsi in un certo ideale di misura e regole classiche. L’errore però è quello di voler essere uguale a qualcuno. Se può servire a spiegarmi meglio, colgo l’occasione per presentare una sua poesia (Non voglio ricordarmi o incontrarmi): Non voglio ricordare o conoscere me stesso. /Siamo troppi se guardiamo a chi siamo. /Ignora che viviamo /Compia abbastanza vita. /Per quanto viviamo, l’ora vive su /ciò che viviamo, ugualmente mortiquando ci passa, /ciò che spendiamo con esso. /Se non lo sappiamo, non possiamo saperlo / : / una vita migliore è la vita / che dura senza misurarsi.
A questo punto due parole anche su Álvaro de Campos.
Non c’è molto da dire. Tutto ciò che sa lo deve al maestro Caieiro, il quale gli ha insegnato la chiarezza, l’equilibrio, un organismo in delirio e illusione, e gli ha anche insegnato a non cercare la filosofia, ma l’anima. Il suo credo è il sensazionismo, sentire tutto in ogni modo. Álvaro de Campos è il poeta modernista che scrive le sensazioni di energia e movimento. Egli dice che ha il dovere di chiudersi in casa nel suo spirito e lavorare quanto può e in tutto ciò che può, per il progresso della civiltà e l’allargamento della conoscenza dell’umanità.
Lui?
Ovviamente io. Con lui i miei versi esplodono verso l’interno, e li vivo nella mia solitudine. Se io fossi una donna – nella donna i fenomeni isterici si manifestano in attacchi e cose simili -, ogni poesia di Álvaro de Campos (la parte più istericamente isterica di me) sarebbe un allarme per il vicinato. Ma io sono un uomo, e negli uomini l’isteria assume principalmente aspetti mentali; così tutto finisce nel silenzio e nella poesia…
L’umanità. Oggi è messa davvero male l’umanità: sembra aver smarrito la propria strada.
Non sarei in grado di darti una mia opinione, avendo avuto legami con l’occultismo e il misticismo, e qualcuno afferma anche con la massoneria e il Rosa-Croce, che sembra sia un ordine segreto ermetico cristiano. Le dico solo se l’umanità non si allontana dall’ignoranza, dal fanatismo e dall’indifferenza nei confronti di se stessa e dei “consociali” è destinata a vivere nella più totale crisi identitaria. La sensibilità e l’altruismo di pochi in un contesto societario mancante di gente coesistibile e di coscienza alta, come c’è oggi, cosa può fare un uomo di sensibilità, se non inventare i suoi amici, o quanto meno, i suoi compagni di spirito? Ed è quello che ho fatto io per tutta la vita.
Dovremmo farlo anche noi?
Sarebbe sempre troppo tardi! A me è venuto facile “fuggire” dalla vita, dai desideri, Io non volevo sentire la vita né toccare le cose, sapendo con l’ esperienza del mio temperamento al contagio del mondo che la sensazione della vita era sempre dolorosa per me. Ma evitando quel contatto mi sono isolato, e nell’isolarmi ho esacerbato la mia sensibilità già eccessiva.
Viva l’ottimismo! Non credo al suo catastrofismo. No… me la stava quasi facendo: il poeta è un fingitore, e lei non è da meno.
Vedrà, ci sarà una sola moltitudine di gente ignorante, che diventerà sempre più ignorante e non in grado di reagire al maltorto di una società corrotta e incivile. fra me e la vita ci sono sempre stati dei vetri opachi… Non ho mai saputo se era eccessiva la mia sensibilità per la mia intelligenza o la mia intelligenza per la mia sensibilità.
Lei non si è mai spostato, anche se ci sono stati dei “namori”, quel periodo in cui voi portoghesi manifestate quell’attrazione reciproca che poi darà luogo ad un fidanzamento. Mi riferisco soprattutto nei confronti di Ofelia Queiroz, la giovane donna conosciuta nell’azienda commerciale dove ha lavorato, che lei ha sempre considerato un porto sicuro e stabile, che l’ha stimato e dato attenzione. Per la sua ideologia antireazionaria o per la posizione di cristiano gnostico, quindi in opposizione ai dogmi della Chiesa cattolica? Eppure lei è considerato un anticomunista, un antisocialista, non un ateo comunque!
No. Semplicemente non mi andava. Sono stato sempre troppo inquieto e surreale per fare un passo così importante nella mia vita. E poi credo che – anzi ne sono convinto – una volta sposa avrebbe preteso un ruolo pari alla mia poesia.
Ma che considerazione ha delle donne?
A volte diventano impossibili e credono a tutto quello che le dice un uomo che le corteggia. Una donna che crede alle parole di un uomo, non è che una povera idiota; se un giorno vedeste qualcuno che finga di portare alle labbra una bevanda avvelenata a causa sua, rovesciategliela velocemente in bocca perché libererà il mondo da un impostore in più.
Cosa ci resta senza le donne?
La poesia. ovvio! Nella mia mente è sempre scolpita una poesia che esprime la mia anima. A volte la sento vaga come il suono e il vento, eppure scolpita in piena chiarezza. Non ha strofa, verso né parola, non è neppure come la sogno. È un mero sentimento, indefinito, una felice bruma intorno al pensiero. Giorno e notte nel mio mistero la sogno, la leggo e riprovo a sillabarla, e sempre la parola precisa è sul bordo di me stesso, come per librarsi nella sua vaga compiutezza. So che non sarà mai scritta. So che non so che cosa sia. Ma sono contento di sognarla, e una falsa felicità, benché falsa, è felicità.
Allora: evviva la poesia!