Oggi ci è venuto a trovare il fantasma di Ettore Petrolini. Attore comico (recitava in gran parte in romanesco), drammaturgo (indimenticabili le messe in scena di Nerone e di Gastone), sceneggiatore, compositore di canzoni (Nannì, Tanto pe’ cantà, per citarne alcune), inventore di un particolare modo di recitare che ha influenzato il teatro comico italiano. Romano di Roma, dove nasce nel 1884 e muore nel 1936, è uno dei massimo esponenti di quei filoni teatrali che un tempo si chiamavano teatro di varietà, rivista, avanspettacolo, un vero maestro. La sua importanza nel panorama teatrale è pienamente riconosciuta, ancora oggi viene ricordato il suo repertorio con personaggi famosissimi, grotteschi, esilaranti, al limite dell’assurdo.
Ultimamente abbiamo avuto modo di leggere un’antologia del suo teatro, dei suoi pensieri, della sua vita, insomma: Modestia a parte, pubblicato da L’Unità nel 1993…
Ti à piaciato?
Sì, c’è quasi tutto il Petrolini che conosciamo, quello ironico, beffardo e quello serio, il “popolano del miglior lignaggio”. Come ha detto qualcuno, in fondo in fondo gli attori comici sono persone serie e tristi. Si legge che il vero debutto nel mondo teatrale, se si esclude il primissimo esordio nel teatro Pietro Cossa di Trastevere (se non andiamo errati, lei a quel tempo aveva quindici anni), avvenne con la compagnia di Angelo Tabanelli nel teatro di Campagnano. Sembrava che la sua carriera, appena cominciata, dovesse andare a ritroso: da un teatro di città ad uno di provincia. Che ricordi ha di quella esperienza?
Il teatro di Campagnano era un vecchio granaio municipale ove, la sera stessa dell’arrivo, debuttai con la macchietta: Il bell’Arturo. Al refrain, misi un piede sull’estremità di una tavola dell’improvvisato palcoscenico, fatto di tavolacce male inchiodate e che posavano su due cavalletti. Il mio peso fece sollevare una tavola e andai a finire di sotto con una elegantissima lussazione a un piede. Il pubblico, regolarmente, si divertì un mondo e chiese il bis, mentre io piangevo dal dolore e dalla rabbia. Fu l’inizio del mio destino. Mi accorsi che ero veramente votato all’arte comica.
È stato questo che l’ha fatto allontanare da una carriera di attore drammatico?
Ho interpreto lavori drammatici unicamente per mostrare di saperli interpretare. Non perché io credessi così di raggiungere più alte e più ardue vette dell’arte. Io penso molto di più, quando mi produco nel mio repertorio comico, caricaturale, grottesco. Per fare l’attore drammatico occorre più che l’intelligenza una certa sensibilità, e, sembra un paradosso, ho conosciuto delle mediocrità sensibilissime.
E menomale! Altrimenti non avremmo potuto apprezzare il meglio della sua arte. Da un’adolescenza in riformatorio, dove per domare il suo bel caratterino ribelle ricorsero addirittura alla camicia di forza, al diventare un attore avrà incontrato numerose difficoltà, immaginiamo.
Ho frequentato fin da ragazzo i teatrini romani, improvvisandosi attore per divertimento. Forse mi ha aiutato il mio caratteraccio, cui piaceva sfottere, imitare, prendere in giro il falso perbenismo della società, rifiutando qualsiasi imposizione. Tra l’altro vengo anche ricordato per l’atteggiamento sbeffeggiante verso la dittatura, in occasione di una medaglia onorifica che Mussolini mi volle conferire. Nel ringraziarlo non mi venne che una battuta: «E io me ne fregio!». Ma era chiaro a tutti che si trattasse di uno sfottò. Mi andò bene.
Come nasce l’invenzione del frac nel personaggio di Gastone?
Io sono stato sempre molto ricercato… ricercato nel parlare, ricercato nel vestire, ricercato dalla questura. Io sono nato col frac e lo porto molto bene. Gli altri quando portano il frac sembrano incartati. Io quando sono nato, mia madre mica mi ha messo le fasce, macché… mi ha messo un fracchettino… camminavo per casa sembravo una cornacchia.
Com’era la vita di teatro ai suoi tempi?
Almeno per me fu una vita selvaggia, allegra e guitta, e un’educazione a tutti i trucchi e tutti i funambolismi davanti al pubblico, che magnava le fusaje (i lupini) e poi tirava le cocce (le bucce) sur parcoscenico al lume de certe lampene (lampade) ch’ er fumo spargeva da pertutto un odore da bottega de friggitore. Si improvvisava anche tra il pubblico, e non sempre si distingueva la differenza tra l’attore che recitava e il pubblico che sfotteva: diventava un unico sfottò.
Una gavetta tra teatri popolari, a quanto apprendiamo.
Io provengo, e lo dico con orgoglio, da una piazza di pubblici spettacoli: piazza Guglielmo Pepe, e da lì nei piccoli caffè-concerto, dove in fondo a quei bottegoni c’era sempre un palcoscenico arrangiato alla meglio: poche tavole, molti chiodi, e quattro quinte, fondale di carta, con quasi sempre dipinto il Vesuvio (in eruzione, naturalmente), ed ecco l’elenco artistico: prima esce lei, poi esce lui, poi escono tutti e due insieme, ricomincia lei… e così via di seguito fino a mezzanotte: il tutto intercalato da uno sminfarolo al pianoforte. Ma non si dimentichi che mi sono esibito nella mia Roma anche al Gambrinus e al Morteo, buoni cafè chantant. Il pubblico non sapeva niente di teatro comico, l’ho dovuta istruire. Nel periodo della musoneria italiana in cui un buon attore non era considerato tale se non si prestava alle parti lacrimose, io passai come un buffone distinto. Spesso gran parte di esso mi veniva a sentire per esclamare Quant’è scemo!
Di cosa va più fiero del suo contributo al teatro italiano?
Ho importato la parodia. Ho abolito le definizioni di “comico nel suo repertorio”; oppure “comico macchiettista”, eccetera e comparvero ? per me ? i primi aggettivi di “parodista” o di “comico grottesco” e di “originale”, “fantastico”, “bizzarro” e via di seguito! Ho strappato il teatro alla tradizione incanalandolo verso una forma d’avanguardia, del grottesco surreale. Questa è stata la mia più grande soddisfazione.
Dunque, quando mette in scena un personaggio, non è per imitare, ma per irridere il personaggio stesso?
Semplificato al nocciolo, è così. D’altronde imitare non è arte perché se così fosse ci sarebbe arte anche nella scimmia e nel pappagallo.
L’arte sta nel deformare. E lei ha deformato, e come se ha deformato i canoni del teatro! Ha introdotto anche la satira, come nel Nerone, che è considerato da tutti una satira della retorica del regime fascista.
Questo dopo. Nerone non nasce parodiando Mussolini, in quanto il personaggio è antecedente all’ascesa di Mussolini al potere. Presi spunto dal cinema che proiettava film con immagini mastodontiche e megalomane dell’antica Roma. Mi sono sempre scontrato con quel tipo di cinema pomposo, ma anche contro il cinema muto che stava andando incontro alla sua fine. Da Il bell’Arturo creai una macchietta, Gastone, che irrideva gli attori del cinema muto e i cantanti, fino al tragicomico. Io sono fatto così: Petrolini è quella cosa / che ti burla in ton garbato, / poi ti dice: ti à piaciato? / se ti offendi se ne freg.
Ha deformato anche la canzone, per es. con Tanto pe’ cantà.
È soprattutto un cantare spensierato fine a se stesso, quasi un voler sbeffeggiare tutti i cantanti impegnati.
Lei ha calcato anche l’esperienza dadaista e futurista. Cosa ricorda di questa esperienza?
Ero appena tornato da una fortunata tournée in Sudamerica. Giusepe Jovinelli mi scritturò per il suo teatro che l’anno prima era stato inaugurato con un lavoro di Raffaele Viviani. Il successo fu tale che mi scritturò la “Sala Umberto”. Costituimmo la “Compagnia dei grandi spettacoli di varietà Petrolini”. In uno di questi spettacoli misi in scena il personaggio di Fortunello, all’interno di una rivista Zero meno zero, scritta da Luciano Folgore con lo pseudonimo di Esopino, che suscitò l’entusiasmo di Marinetti, il quale con Corra, Cangiullo e Balla, in La risata italiana di Petrolini sulla rivista «L’Italia futurista», mi definiva «il più difficilmente analizzabile dei capolavori petroliniani […] col suo ritmo meccanico e motoristico, col suo teuf-teuf martellante all’infinito, assurdità e rime grottesche, scava dentro il pubblico tunnels spiralici di stupore e di allegria illogica e inesplicabile».
«Il puro umorismo futurista trionfa nell’arte assolutamente inventata di Petrolini. […] Egli uccide coi suoi lazzi il non mai abbastanza ucciso chiaro di luna». Sì, conosciamo il brano. Ma non si era burlato di Marinetti negli Stornelli maltusiani? Marinetti è quella cosa / che facendo il futurista / ogni sera fa provvista / di carciofi e di patat.
È vero. Ha ragione. Ma i futuristi erano la novità, un movimento sempre in fermento che si sposava bene con il mio modo di concepire il teatro. Mi piacevano i futuristi. Partecipai anche ad alcune delle loro cosiddette “serate futuriste”. Nacque anche una collaborazione. Scrissi con Francesco Cangiullo Radioscopia di un duetto, atto unico definito “simultaneità del teatro di varietà”. Eravamo nel ’17, in piena rivoluzione russa. Quell’atto unico divenne anche un film, Mentre il pubblico ride, diretto da Mario Bonnard, di cui divenni l’interprete. Fu il mio esordio come attore cinematografico.
Ha letto qualche libro futurista?
Sì, ma in generale dai libri imparo meno che dalla vita; un solo libro mi ha molto insegnato: il vocabolario. Ma adoro anche la strada, ben più meraviglioso vocabolario. Sono un comico anarchico, sono come la strada: sprezzante, diretto, irascibile, prepotente che non si fa mettere i piedi in testa. Non potrei legarmi a nessuno schieramento politico, nessuno di essi mi sopporterebbe. Ancora non mi hanno perdonato la denuncia dell’uso di droghe nel mondo dello spettacolo, della vita mondana, di cui fanno parte anche i politici.
Oggi la politica è diventata solo un affare, una lobby economica, promesse da marinaio, inciuci, scarso spirito di appartenenza, alleanze col più forte a discapito dei più deboli.
Allora non è cambiato niente dai miei tempi ai suoi.
Chiudiamo questa intervista proponendo ai nostri lettori il testo di Fortunello, esempio alto della sua vena ironica e paradossale: «Sono un tipo: estetico, / asmatico, sintetico, / linfatico, cosmetico. /Amo la Bibbia, la Libia, la fibia / delle scarpine / delle donnine / carine cretine. / Sono disinvolto. / Raccolto. / Assolto “per inesistenza di reato”. // Ho una spiccata passione per: il Polo Nord. La cera vergine. Il Nabuccodonosor. / Il burro lodigiano. La fanciulla del West. Il moschicida. La cavalleria pesante. / I lacci delle scarpe. L’areonatica col culinaria. Il giuoco del lotto. L’acetolene e l’osso buco. // Sono: Omerico /Isterico / Generico / Chimerico / Clisterico. // Ma tutto quel che sono, / non ve lo posso dire, / a dirlo non son buono, / mi proverò a cantar. // Sono un uom grazioso e bello ? sono Fortunello. / Sono un uomo ardito e sano ? sono un aereoplano. / Sono un uomo assai terribile ? sono un dirigibile. / Sono un uom che vado in culmine ? sono un parafulmine. / Sono un uom dal fiero aspetto ? sono Maometto. / Sono un uomo senza nei ? sono il 606. / Sono un uomo eccezionale ? sono un figlio naturale. / Sono un uom della riserva ? sono il figlio della serva. / Sono un uomo senza boria ? so’ il caffè con la cicoria. / Sono un uomo ginegetico ? sono un colpo apopletico. / Sono un uomo assai palese ? sono un esquimese. / Sono un uomo che poco vale ? sono naturale. / Sono un uomo senza coda ? sono una pagoda. / Sono un uom condiscendente ? sono un accidente. / Sono un uomo della lega ? di chi se ne stropiccia. / Sono un uom che pesa un gramma ? sono un radiotelegramma. / Sono un uomo di Stambul ? sono un parasul. / Sono un uom dei più cretini ? sono Petrolini. / Sono un uom che fo’ di tutto – sono un farabutto. // Ma tutto quel che sono, / non ve lo posso dire, / a dirlo non son buono, / mi proverò a cantar. // Ma poichè non sono niente ? sono un respingente. / Se avessi assai pretese ? sarei un inglese. / Se fossi un Ministro ? sarei un cattivo acquisto. / Se avessi il naso camuso ? sarei come Caruso. / Se vivessi ognor sperando ? morirei cantando. / Se fossi una signora ? lo vorrei ancora. / Se avessi riga in letto – sarei Rigoletto. / Se avessi i guanti grigi – sarei di Parigi. / Se andassi retrocarico – sarei austroungarico. / Se avessi una palandra ? sarei come Salandra. / Se fossi meno buffo ? sarei Titta Ruffo. / Se avessi uno stuzzicadenti ? mi pulirei i denti. / Se fossi il Padreterno ? guadagnerei un terno. / Se in testa avessi un elmo ? mi chiamerei Guglielmo. / Se fossi una sciantosa ? farei veder la cosa. / Se avessi un po’ di pane ? mi mangerei il salame. / E se ne avete a basta ? io ve lo metto all’asta. / E quando sarà duro ? sarà come un tamburo. / E quando sarà secco – me ne andrò a Lecco. / E quando sarò prete ? avrò entrate segrete. / E come le pacchiane ? avrò le sottane. / E come tutte le spose ? avrò le mie cose. / Se mio nonno avesse la cosa ? sarebbe mia nonna. / Se mia nonna avesse il coso ? sarebbe mio nonno. // Ma tutto quel che sono
non ve lo posso dire / a dirlo non son buono / mi proverò a cantar. // Se ogni giorno mi purgo ? sono Pietroburgo. / Se mi purgo di rado ? sono Pietrogrado. / Se fossi una cocotte ? passeggerei la notte. / Per non aver impiccio ? gli brucio il pagliericcio. / Non faccio mai una stecca ? sono una bistecca. / Io sono molto astuto ? sono uno sternuto. / Se prendo tutti in giro ? sono un capogiro. / Se mi fa bene il moto ? sono un terremoto. / Se vado alla fogna ? sono una carogna. / E se non mi capite ? sono una polmonite. / Se fossi più simpatico ? sarei meno antipatico. / E se non ve l’ho detto ? io sono il sopradetto. / E se non ve l’ho scritto ? io sono il sottoscritto. / Ne fo’ d’ogni colore ? sono un commendatore. / Io sono molto stitico ? sono un uomo politico. / Mi piace il socialismo ? sono un enteroclismo. / Sono un uomo melanconico ? sono un amaro tonico. / Se fossi una ciociara ? la venderei più cara. / E gira e fai la rota – di’ come sono idiota. // Ma tutto quel che sono / non ve lo posso dire / a dirlo non son buono / mi proverò a cantar.