Bertolt Brecht, poeta, drammaturgo e scrittore, nacque nel 1898 ad Augusta, in Germania. È il principale drammaturgo tedesco del Novecento. Iniziò a scrivere opere teatrali mentre lavorava in un ospedale militare. Le opere più importanti sono: L’opera da tre soldi (1928); L’anima buona di Sezuan (1940); Madre Coraggio e i suoi figli (1941); Vita di Galileo (1943); Il cerchio di gesso nel Caucasoù (1945). Il lavoro di Brecht si adattava bene con il movimento dadaista e marxista del tempo. La grande insoddisfazione per la società creatasi dopo la prima guerra mondiale entrava pienamente nelle opere anti-borghesi di Brecht. Per le sue idee marxiste, nel 1933 fuggì dalla Germania nazista per stabilirsi negli Stati Uniti fino alla fine della seconda guerra mondiale. Tornò in Germania nel 1949, fondò un proprio teatro, il “Berliner Ensemble”, Morì nel 1956 a Berlino.
Incominciamo col parlare dell’amore. Tra guerre economiche, malaffare della politica e indifferenza verso i più deboli, oggi ne abbiamo tanto bisogno.
L’amore è come una noce di cocco che è buona quando è fresca, ma che devi sputare quando il succo non c’è più, ciò che rimane ha un sapore amaro. Non puoi capire che smania m’investe quando vedo passare una donna che muove il culo stretto in una gonna gialla nel cielo serale celeste. Comunque un uomo ha sempre paura di una donna che l’ama troppo. Non è abituato a questi sbalzi umorali. L’amore è come una noce di cocco che è buona quando è fresca, ma che devi sputare quando il succo non c’è più, ciò che rimane ha un sapore amaro. Ma i più cedono subito e si mettono a bere il succo amaro, e alla lunga tutti.
Ma perché il primo pensiero di fronte ad una donna è quello di esitare? Ci mette tanta paura la donna?
Esitare va bene, se poi fai quello che devi fare. Comunque bisogna essere solidali con le donne: anche se non lo danno a vedere, sanno più di noi e non possiamo che imparare. Di fronte ad un problema noi uomini spesso ci giriamo attorno, loro vanno subito al sodo, spronate dalla curiosità. Ed è la differenza tra noi e loro.
Sull’arte.
Per l’arte essere apartitica significa semplicemente essere del partito dominante. L’arte non è uno specchio per riflettere la realtà, ma un martello con cui darle forma. Comunque, tutte le arti contribuiscono all’arte più grande di tutte: quella di vivere.
Sulla scienza.
Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili. Non credo che la scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà che fonte di nuovi triboli per l’uomo. E quando, coll’andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità.
Che fine farà l’umanità?
Io credo nell’uomo, e questo vuol dire che credo alla sua ragione! Se non avessi questa fede, la mattina non mi sentirei la forza di levarmi dal letto. Quando ci si trova davanti un ostacolo, la linea più breve tra i due punti può essere una linea curva. non è tanto quello di aprire le porte all’infinito sapere, quanto quello di porre una barriera all’infinita ignoranza. il genere umano viene tenuto vivo da atti bestiali. pieno di speranza, si farà largo tra i venditori del nulla. Non lasciatevi ingannare che sia poca cosa la vita! Bevetela a grandi sorsi! Non vi sarà bastata quando la dovrete perdere.
Siamo costretti a fare gli straordinari, come sempre.
Quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto: “è naturale” in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile. E il peggio è che, tutto quello che scopro, devo gridarlo intorno. Come un amante, come un ubriaco, come un traditore. Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili.
D’accordo, ma c’è troppa ingiustizia!
Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere. Resistere è ciò che si deve fare, ma nell’attesa di una vita migliore, denunciare il malaffare, sempre.
Sulla realtà. In che modo l’uomo può affrontare la realtà senza perdersi nei suoi gangli?
Solo ammaestrati dalla realtà potremo cambiare la realtà. Purtroppo la realtà di oggi è scoprire subito il modo di trarne profitto. Come degli automi. Si dimentica che il pensare è uno dei massimi piaceri concessi al genere umano. Il realismo non consiste in come sono le cose vere, ma in come sono veramente le cose. Comunque nessuno migliorerà la nostra sorte in questa realtà se non lo facciamo noi stessi. In questa realtà terribile è la tentazione di fare del bene, ma comunque non abbiamo certezze del domani. Non per caso / L’alba di un nuovo giorno / Inizia col grido del gallo / Che fin dai tempi antichi indica / Un tradimento […] Ogni mattina, per guadagnarmi da vivere, / Vado al mercato dove si comprano le bugie. / Pieno di speranza / Mi metto tra chi vende.
Alba e Hollywood: due forti poesie. Una domanda che facciamo a tutti: un consiglio per i giovani in modo che non perdano la speranza?
In questa società devono adattarsi a fare i leccapiedi, o devono rassegnarsi a digiunare. D’altronde i giovani non hanno mai cambiato il mondo: questo spirito di rivalsa arriva con l’età matura. Nel frattempo devono resistere e non perdere la speranza di un vita migliore. Fanno bene ad incollerirsi. Chi non è capace di incollerirsi non potrà lottare per una vita migliore. E la collera (la rabbia) non deve essere una collera che divampa rapidamente, una collera impotente, bensì una collera durevole, che sa scegliere i giusti strumenti.
Sulla poesia. La sua poesia non fa ricorso alla rima, è immediata e diretta, né fantastica né enigmatica, tantomeno legata alla tradizione. Prende spunti dalla cronaca con una vena grottesca ed espressionistica. Lei saprà benissimo che il ricorso alla rima nella poesia ci riporta molto indietro nel tempo, ad una tradizione ormai racchiusa nel proprio oblio. Perché nell’opera L’abicì della guerra è ricorso alla rima?
L’adozione della rima mi ha dato la possibilità di inserire nuovi elementi all’interno della struttura poetica della quartina.
Ma è una forzatura della struttura metrica che però rimane nella tradizione.
La rima l’ho trovata indispensabile specialmente quando la metrica diventa doppia quartina di endecasillabi, e rende il ritmo martellante, giustificata anche da una maggiore libertà delle parole che incorporano direttamente le immagini separandole da un contesto generale che tende a concludersi in se stesso. La rima mi consente una distensione più ragionata, in modo quasi istantaneo. Diversamente mi sarebbe stato difficile cogliere tutta la ricchezza delle parole alterate dalla rima.
Mah! Sarà come dice lei. Una poesia epica, insomma. A proposito di epico, cosa può dirci sul teatro epico di cui lei, unitamente a Erwin Piscator, è considerato il teorico, il padre di questa nuova forma teatrale?
Il teatro epico è lo sviluppo di quello espressionista. Si avvale di una particolare tecnica di recitazione basata sul cosiddetto “effetto di straniamento”, diametralmente opposto al convenzionale “effetto di immedesimazione”.
Si spieghi meglio.
L’effetto di straniamento deve sollecitare lo spettatore alla critica del personaggio da un punto di vista sociale, impartire un distacco critico, in modo che lo spettatore possa imparare qualcosa dal dramma messo in scena. L’attore deve far capire al pubblico che non sta recitando, anche quando lo sta facendo, inducendo lo spettatore a credere che ciò che vede è più importante della recita. Importante è il gesto che è qualcosa di sociale. Con introduzione del gesto anche lo spettatore può partecipare facendo le stesse cose dell’attore.
Insomma, lo spettatore non deve immedesimarsi nel personaggio durante la rappresentazione, ma deve mantenere una distanza critica?
Esattamente. In parole povere è questa la teoria del “teatro epico”.
Qual è la sua novità?
Il pregio principale del teatro epico, basato sullo straniamento, il cui scopo è rappresentare il mondo in maniera che divenga maneggevole, è precisamente la sua naturalezza, il suo carattere tutto terrestre, il suo umorismo, la sua rinuncia a tutte le incrostazioni mistiche che il teatro tradizionale si porta appresso fin dall’antichità.L’attore non arriva alla totale metamorfosi nel personaggio da rappresentare, mostra essenzialmente il proprio personaggio, mantenendo il contegno di chi si limita a suggerire, a proporre, tenendosi a distanza dal personaggio.
Nel del dramma Un uomo è un uomo c’è un rapporto diretto, assolutamente inedito, col pubblico, come in tutto il suo teatro, all’insegna del superamento del vecchio teatro. Come arriva a tutto questo?
Avevo intenzione di applicare al teatro il principio che ciò che conta non è solo interpretare il mondo, ma trasformarlo. Non ho mai amato una drammaturgia che non interpretasse sempre la verità delle cose. Il mio teatro non sarà mai una fiction. Esso deve svolgere anche una funzione didattica, offrendo una grande varietà di storie e casi umani.
Un teatro essenziale, antibarocco, antimanierista, come ne L’opera da tre soldi, dove “la pappatoria viene prima, la morale dopo”?
Bastano poche cose, per es. una scenografia scarna, un assemblaggio di materiali presi dal quotidiano, in modo che lo spettatore possa lavorare di fantasia. Ciò che va valorizzata è la musica, quasi assente nel teatro del passato.
Una specie di musical, un teatro che fa pensare?
Sì, gli attori possono anche cantare e far cantare il pubblico. Il pensare è uno dei massimi piaceri concessi al genere umano.
Oggi uno dei drammi che stiamo vivendo è la guerra per il controllo economico nei Paesi arabi, con conseguenti flussi di migliaia di immigranti che scappano dalla fame e dalla morte per approdare, principalmente sulle nostre coste. Lei che ha scritto anche un’opera sulla guerra, cosa può dirci su questa estrema conseguenza suicida dell’umanità?
La guerra è solo la continuazione degli affari con altri mezzi, ma i grandi affari non li fa la povera gente, e nella guerra tutte le virtù umane diventano mortali, ed è la morale del dramma della guerra.