Oggi intervistiamo Salvatore Vecchio, direttore di «Spiragli», rivista cartacea con redazione a Marsala (TP).
Dopo le interviste ai poeti residenti in Campania, riprendiamo il discorso delle interviste rivolgendo le domande – le stesse per tutti o quasi – ai direttori di riviste non solo con sede in Campania.
Incominciamo con una domanda semplice e forse scontata, ma che ci serve per inoltrarci in questa intervista. Chi è Salvatore Vecchio?
Salvatore Vecchio è uno tra i tanti che operano nel campo della cultura con dedizione, per contribuire al miglioramento della società, perché l’arte, qualsiasi sia la sua forma, lascia, in modo anche inconsapevole, qualcosa che nobilita e migliora l’uomo. È stato docente di Filosofia e storia nei Licei e nel 1992 ha fondato con sede a Marsala (TP) il Centro Internazionale di Cultura “Lilybaeum” e come operatore culturale ha aperto al dibattito socio-culturale il suo territorio, avvicinando personalità di orientamenti diversi (F. Grisi, A. Contiliano, D. D’Erice, N. Saito, M. Caruso, per citarne alcuni), in un momento in cui erano ancora vive le ideologie e forti i contrasti. Dal punto di vista della sua produzione, a parte i contributi pubblicati su «Spiragli», si è interessato di autori italiani e stranieri ed ha scritto di prosa e di poesia.
Come e quando è nata «Spiragli»?
«Spiragli», di cui sono stato il fondatore, è nata nel 1989 per un bisogno di comunicare, condividere e allargare i propri interessi. È costato molto in termini economici e di organizzazione, ma moltissimi i consensi e le corrispondenze con scrittori italiani e stranieri, come si può evincere consultando la rivista.
Siamo nell’era digitale. Della tua rivista c’è anche una versione on line?
Sì, sono ormai quasi due anni che la rivista è on line, al sito www.rivistaspiragli.it, anche se ancora da migliorare, con l’aggiunta, ad es., delle schede bio-bibliografiche degli autori e delle loro opere o correggendo refusi e sviste.
A proposito di riviste on line: cosa pensi del fatto che sempre più riviste nascono esclusivamente sul web “abbandonando il cartaceo” rinunciando alla fisicità, all’odore dell’inchiostro o al piacere tattile di girare le pagine?
“Abbandonare il cartaceo”, in effetti, è stata una sofferenza. Si perde il piacere di averla tra le mani, di sfogliarla e “sentirne l’odore”. Ma oggi nessuno aiuta, i detentori del potere sostengono a parole la cultura, preferiscono questo processo di massificazione, a cui assistiamo, per gestire meglio i loro interessi politico-economici. Gli autori vogliono pubblicare ma non contribuire, nessuno dà un aiuto, per cui ad un certo punto ci si stanca e con la pena in corpo s’abbandona. Come è capitato a tante altre, così anche a «Spiragli». Dopo alcuni anni di ripensamento, ora sta per essere pubblicata in versione on line gratuita.
Secondo te c’è una peculiarità che distingue quelle cartacee da quelle on line?
È un po’ quanto s’è detto sopra; la differenza sta che, raggiungendo ogni parte del mondo nel giro di pochissimo, diventa patrimonio di tutti.
Dal sito di «Spiragli» è riportata una frase emblematica, direi, in cui si sottolinea «l’esigenza di libertà e di una pluralità dell’informazione, la quale è condizionata sempre più da un potere che vuole imbavagliarla e tenerla sotto controllo per l’interesse dei pochi». Tradotto in termini letterari, come realizzate quest’esigenza di libertà e di una pluralità dell’informazione?
Il fatto che ciascun autore, qualsiasi sia il genere letterario, possa dire la sua, assumendosene le responsabilità, è motivo di crescita, di diffusione; può raccogliere consensi o anche dissensi; in entrambi i casi si assiste ad un allargamento delle idee e ad una maggiore consapevolezza che aprono le menti e rendono impermeabili agli abbindolamenti dei poteri forti che impongono il pensiero unico. Per il bene di tutti si deve uscire da quest’ottica e riprendere la propria individualità nel rispetto dell’Altro.
Immagino che si faccia una certa selezione prima di pubblicare testi sulla tua rivista. A proposito, oltre alla poesia cosa pubblicate, con quali parametri vengono effettuate le scelte e quanto spazio date ai giovani e alla poesia?
Come si può notare, navigando nel sito, abbiamo varie sezioni, che vanno dall’attualità ai generi letterari ricorrenti. Se riteniamo che i pezzi pervenuti rientrano nella nostra linea editoriale, li pubblichiamo, altrimenti li archiviamo. La nostra è una rivista rivolta a quanti amano, oltre la poesia, la letteratura, l’arte, la cultura in genere e i contributi sono alla portata di tutti. Va pure detto che non facciamo distinzione tra adulti e giovani, tra affermati o non, e le loro scelte metriche, quello che conta è la validità del messaggio.
Ti affidi a collaboratori e con quali ruoli?
Sì, in passato c’è stato l’apporto di tanti collaboratori che, oltre a dare i loro pezzi, ne reperivano altri, tra cui recensioni e schede. Così sarà, pubblicando on line. Tanti amici, che ora non sono più tra noi e che ricordiamo con tanta stima ed amicizia (Romano Cammarata, Davide Nardoni, Giovanni Salucci, Antonino Cremona, Mario Tornello, Mario Caruso ed altri), ci hanno lasciato materiale in parte già pubblicato, altro ancora da pubblicare. La redazione, sempre con le prerogative sopra menzionate, accoglie quanto arriva tramite internet al seguente indirizzo: vecchios123@mail.com.
Sappiamo entrambi le difficoltà che incontra oggi la poesia. Cosa bisognerebbe affinché la poesia ritorni a fare, a dire, a guardare avanti? Qual è il contributo di «Spiragli»?
A parte i tanti ostacoli, tra cui – secondo me il maggiore – quello ricettivo, la poesia non rinuncia al suo ruolo e rimane sempre un atto creativo, esperienziale, di ciascuno di noi, a prescindere dalle forme metrico-stilistiche che utilizziamo. Appunto perché è patrimonio di tutti (alcuni la producono, altri la co-partecipano, da “consumatori”), la poesia c’è stata, c’è e ci sarà sempre. Il caro amico Avelino Hernàndez era solito dire che «la poesia è come una vecchia cieca e zoppa, ma, nonostante tutto, cammina e vede». Così è oggi, è trascurata, ma è viva e vegeta. In altri tempi essa si faceva notare meglio (e questo sino agli anni ’60 – ’70), partecipava al dibattito socio-politico ed era facilmente pubblicata; ora va in sordina; non ci sono più ideologie, siamo in tempi di materialismo dilagante e, se prima l’uomo cercava di aggregarsi per un miglioramento della società, ora viene aggregato dal dominante pensiero unico che rende simile alla pecora. Ciò è triste e deprimente, ma è la realtà! Il momento disastroso, lugubre, del coronavirus che stiamo vivendo, deve far riflettere per riprendere le nostre individualità e ritornare ad un mondo più umano e degno di essere vissuto. Solo così la poesia acquisterebbe più voce e riprenderebbe con vigore il ruolo che nel passato era suo. Nel nostro piccolo, noi di “Spiragli” diamo spazio a quanti creano poesia, con l’auspicio di poter “guardare avanti,” oltre lo stato d’animo, di ritornare all’impegno, perché no, alla denuncia di questa realtà frastornata e misera.
Nell’editoriale del primo numero (ormai nel lontano 1989) scrivi che una rivista è chiamata anche a «recuperare il senso vero della vita: la famiglia, l’amicizia, il rispetto del prossimo… Questo è l’intento che anima i promotori e i sostenitori della Rivista, e per questo intento guardano fiduciosi alla letteratura, alle arti, alla scienza, alla scuola, ai problemi che li circondano, sicuri della loro importanza formativa e costruttiva insieme». Quest’assunto vale ancora oggi o è cambiato in favore di altro?
Sì, l’assunto della nostra rivista è sempre lo stesso, anche se in un’ottica allargata. Sono passati più di trent’anni da allora e, sappiamo, l’acqua che scorre non è mai la stessa. Ci sono stati tanti mutamenti, ma i valori prefissatici nella loro essenza sono sempre quelli, che in fondo tendono al recupero dell’umano, ad un nuovo Umanesimo che ci faccia riscoprire uomini pensanti. L’automatismo è delle macchine e non ci appartiene, e questo momento critico che stiamo vivendo – ripetiamo – potrebbe aiutarci a segnare una svolta in tal senso.
Se la vita è una continua ricerca di se stessi o di quello che ci fa stare meglio, l’assunto può essere girato alla sfera poetica e come?
Sì, certo! una volta padroni e consapevoli del nostro Io, la poesia riacquisterebbe veramente voce, riprenderebbe il tono che le compete, come era nel passato, anche in quello più recente, a cui s’è fatto cenno; sarebbe più agguerrita che mai e avrebbe modo di poter “vedere” meglio, utilizzando con più lucidità mentale forme poetiche e temi antichi e moderni.
Ricerca di se stessi. Prendo spunto da un altro tuo editoriale, del 2011, in cui affermi che «sia ora che il siciliano entri nella scuola, che finalmente sia ora di dargli dignità, di essere studiato e fatto conoscere, perché rimanga vivo e si tramandi alle generazioni future e, con esso, entrino pure nella scuola siciliana la cultura e la tradizione millenarie del nostro popolo!». Secondo te le riviste letterarie possono aiutare a valorizzare i dialetti, cioè al recupero delle proprie radici, della propria memoria e in che termini?
Questa risposta, perché sarà letta anche da non siciliani, richiede più spazio. La Regione Sicilia è autonoma per un contentino dato dallo Stato nel 1946 con lo scopo di mettere a tacere la richiesta politica e armata insieme di indipendenza. Ebbene (cecità dei nostri politici?), in molti articoli lo Statuto non è stato mai attuato. L’art. 14 dà libertà di legiferare su tanta materia, tra cui l’istruzione, ma mai nessuno ha fatto niente per ripristinare il prestigio del siciliano che, a differenza di altre parlate, è una lingua declassata. A proposito, non menziono Dante, perché è nota la sua affermazione, ma Federico III che, al di là delle origini, fu il re, nato in Sicilia, “sicilianissimo”, promotore del siciliano come lingua del Regno. Accanto a lui, colloco Antonio Veneziano che, pur scrivendo in greco, latino e in italiano meglio di altri del suo tempo, nella premessa ai libri di Celia, in siciliano, scrive: «Ma in quali lingua potia meghiu fari principiu chi in chilla chi primu non solamenti imparai, ma sucai cu lu latti? […] iu chi su sicilianu m’haiu a fari pappagallu di la lingua d’autru?». Per la verità, negli ultimi decenni ci sono stati tanti tentativi, tra gli ultimi quello, a cui mi riferisco in quell’editoriale, di introdurre il siciliano nella scuola, ma, non si sa perché, vanno tutti a fumo di paglia. Non c’è volontà! Così, i dialetti, come il siciliano, le lingue dei nostri padri, le nostre culture e tradizioni, a poco a poco scompaiono per dare spazio a ciò che viene da fuori e, omologandoci, gettiamo tutto nel dimenticatoio.
Le riviste hanno un ruolo importante e possono dare un forte contributo alla valorizzazione dei dialetti, anzi dovrebbero essere inseriti come obiettivo della loro azione culturale. Si può fare, dando spazio ai poeti e scrittori in vernacolo, promuovendo qualche concorso e riunendo, magari con un piccolo contributo individuale, in antologia le poesie e le prose degne di pubblicazione. Tutto questo continuerebbe a tenere vivi i dialetti e li incrementerebbe. Non dimentichiamo che essi hanno in sé storia e tradizioni da non perdere e da tramandare.
La poesia è irreale ‒ a detta di qualcuno ‒ che invita al silenzio, a rappresentare il silenzio, in quanto impotente nel percepire le condizioni umane e per questo avvinghiata da uno spaesamento. Che ne pensi?
Per quanto è stato detto, non condivido affatto questa affermazione. Al contrario, ritengo la poesia un prodotto reale, creato da esseri reali e pensanti. Nasce senza dubbio nel silenzio e nel silenzio si fa strada e conquista. Il lettore – se si trova dinanzi a vera poesia – la fa sua e la vivifica, perché vi si ritrova e vi entra in simbiosi col cuore e con la mente. La poesia parla, si fa ascoltare e continuerà a farlo, «… finché il Sole / non splenderà sulle sciagure umane». “L’infinito” di Leopardi, di cui quest’anno ricorre il bicentenario, non ha trascinato nel suo “mare” generazioni e generazioni di persone? Se effettivamente la poesia fosse “impotente”, potrebbe sopravvivere?
Attualmente quali progetti ci sono in cantiere?
Niente di particolare. Sto lavorando ad una nuova edizione dell’antologia di cultura siciliana La terra del sole, pubblicata nel 2001 e ad alcune cose lasciate indietro che mi rimproverano e perseguitano, e come fantasmi non mi danno pace.
È ancora possibile oggi una proposta di poesia alternativa e in che termini o la proposta è ancora legata alla tradizione e perché?
Sì, è possibile, ma che sia poesia. Mi spiego. Al giorno d’oggi si sta facendo un abuso, accostandola più del dovuto alla prosa. Anche se non si curano i canoni che le sono propri, la poesia odierna deve mantenere quella che da sempre è stata la sua fisionomia, deve, cioè, tendere al profondo, per rendere partecipi, per “parlare” e far riflettere. Per questo, il significante occorre che sia allusivo, che non palesi, leggendo, il significato, che invece deve stare in penombra per manifestarsi a poco a poco. Solo così ci si ritrova e ci si mette in sintonia con essa, che è arte. In questo caso, la poesia è come una finestra che apre ad una realtà mai intravista. Il pericolo a cui va oggi incontro la poesia è proprio l’essere confusa, ripetiamo, con la prosa; esse sono due creature diverse e devono mantenere la distanza. La poesia in prosa e i componimenti in versi liberi sono poesia nel momento in cui esulano dalla descrizione o dall’esposizione dello stato d’animo del singolo e riescono a fare propri la vita nel suo essere, il sentimento, la commozione, che sono di tutti.
Qualcuno azzarda che le riviste letterarie non hanno più motivo di esistere, visto che non ci sono più correnti letterarie e i lettori scarseggiano o al massimo leggono on line. Perché i lettori dovrebbero leggere la tua rivista?
Le correnti letterarie non sono conditio sine qua non dell’esistenza delle riviste. Semmai, le nuove tecnologie hanno aperto scenari impensati e un nuovo modo di accedere alla cultura, limitando, di conseguenza, il cartaceo, sicché tanta produzione, compresa quella delle riviste, è ora on line con possibilità, da parte degli autori o di altri, di stampare in proprio. Certo, pubblicando on line, non c’è più il piacere di avere tra le mani il tuo prodotto, viene meno la fisicità, in cambio non si va incontro a tante spese e, in più, si ha la possibilità di raggiungere un pubblico interessato più vasto. Nessuno poi pretende che si legga «Spiragli», piuttosto che un’altra. “Questa o quella per me pari sono”, ciò che conta è fare cultura e che la gente legga.
Da quando si pubblica «Spiragli» ci sono stati argomenti che ti hanno fatto esclamare: «Vale la pena proseguire! Vale la pena spenderci il mio tempo!»? E quali sono.
Un po’ tutti gli argomenti dal primo all’ultimo, nel momento in cui sono affrontati o pubblicati, vengono a fare parte di noi e danno la spinta per continuare. Ma più che gli argomenti sono stati e, per la verità, tuttora sono i pareri favorevoli di letterati, scrittori, ed uomini di cultura, che spingono e danno la forza per continuare, e questo – ripeto – fin dal primo momento. Carlo Montarsolo, in una lettera del 1989, pubblicata nel 2° n. di quell’anno, scrive: «La rivista appare chiara, schietta, utile, ed ha una sua «linea» nei titoli e nei caratteri e in ciò che tratta. […] Rivista «di servizio» quindi, nella più generosa accezione». Lo stesso, a proposito di un saggio a lui dedicato, fece Mario Pomilio, poco prima di morire, e così tanti altri. Poi, con gli anni, anche una rivista diventa di famiglia, ci si affeziona e non vorresti mai lasciarla, anche se sai che potresti dedicare il tuo tempo ad altri lavori più promettenti dal punto di vista personale.
E quelli più interessanti a livello personale?
Sono moltissimi saggi su poeti e scrittori nostrani (Sàito, Cammarata, Pirandello, Di Giovanni, Titone, per ricordarne alcuni), ma anche stranieri (Ionesco, Saint’Exupéry, Koenigsberger). Alcuni sono stati integrati in volumi (Pirandello e Ionesco, Pirandello. Saggi sul teatro), altri spero inserirli in qualche altra raccolta. Tanti di questi saggi e interventi hanno permesso di conoscere da vicino molti autori (Cammarata, Sàito, Koenigsberger, tanto per citarne alcuni), con cui si era instaurata un’amicizia profonda e un’assidua frequentazione.
Che ruolo hanno ‒ secondo te, al di là del tuo condizionamento in qualità di direttore ‒ le riviste letterarie in questo periodo dove si legge poco, diciamo così, per non dire altro, ma apriremmo un discorso troppo lungo?
Ritengo che le riviste abbiano sempre un loro ruolo, che è quello di orientare sulle scelte, nel nostro caso, di natura letteraria i lettori interessati. Vero che, orientati e disorientati insieme da altri nuovi canali di informazione, i lettori sono diminuiti, ma ci sono coloro che seguono per farsi idee chiare sulla letteratura e l’arte e dare impulso alla loro creatività. Le riviste specialistiche, e quelle culturali in genere, sono rivolte ad addetti ai lavori che non rinunciano a sentire ciò che avviene loro attorno.
C’è chi non crede più nella forza propulsiva delle riviste in quanto la convinzione è che hanno fatto il loro tempo. Secondo te vale la pena oggi affidare le proprie idee letterarie alle riviste e cosa ti aspetti da esse?
Per i motivi già accennati nel corso di questa intervista, tutta la carta stampata ha perso il suo tono caratterizzante di promotrice di informazione. Ciò non significa che non debba più esistere. Si assiste al ritorno delle cose di una volta, perché non all’utilizzo di essa? Cosa ci si aspetta? Niente in particolare, ma ci sono sempre i nostalgici che continueranno a leggere giornali e riviste, anche on line, e non rinunceranno mai al piacere di leggerli.
In generale, quale dovrebbe essere il ruolo di una rivista letteraria in questo “strano” periodo storico affinché torni ad essere protagonista nel mondo letterario come avveniva nel Novecento e maggiormente nel secondo dopoguerra?
Il cambiamento radicale che c’è stato e a cui giornalmente assistiamo non consente né previsioni, né un ritorno indietro. Come il passato segnò i suoi momenti storici, così è e sarà per l’avvenire. Nel Novecento giocavano un ruolo importante le ideologie che davano impulso al dibattito; ora, che non ci sono più, tutto è affidato al primo venuto che tiene campo, sì e no, per un solo giorno. Le riviste porteranno avanti una loro linea culturale e saranno attente alle novità del momento.
L’accusa maggiore che viene rivolta alle riviste è quella di giacere in una specie di “oblio”, un limbo collimato dal contesto in cui opera. «Spiragli» come si rapporta con l’ambiente in cui opera, cosa propone ai lettori al di fuori della “pagina”, quale altre iniziative nel tentativo di realizzare una concreta amplificazione del suo messaggio?
Una rivista letteraria difficilmente trova consensi nella propria città, tranne che non si tratti di una metropoli, dove tanti sono gli interessi e, perciò, essa vi si ritaglia un suo spazio. “Spiragli”, in ambito territoriale e fuori opera in sinergia con il Centro Internazionale di Cultura “Lilybaeum”, anch’esso da me fondato nel 1992. Si occupa di attualità, di presentazioni di libri o di qualche numero della rivista, e organizza convegni, come quello sulla scuola nel 1996, a cui partecipò lo staff dell’allora direttore generale del M.P.I. Romano Cammarata. Tra i tanti ospiti e relatori, a Marsala come a Palermo, abbiamo avuto: H. Koenigsberger, G. Manacorda, T. Romano, A. Hernàndez, S. Correnti, J. P. De Nola, N. Sàito, per citarne alcuni.
Detto tra noi, a quattr’occhi, quale dovrebbe essere il ruolo di una rivista in relazione al contesto?
A parere mio, perché una rivista possa radicarsi nell’ambiente ristretto del proprio territorio, più che di letteratura e arte dovrebbe trattare di attualità con richiami all’ambiente in cui opera e, magari, dando spazio a qualche piccola prosa o a poesie, sia in lingua che in dialetto. Le riviste letterarie hanno bisogno di maggiore diffusione per trovare lettori ed essere seguite.
Per concludere: cosa ci proponi col nuovo numero?
A parte un breve editoriale e una riflessione sul particolare momento che stiamo vivendo, saranno pubblicati alcuni saggi, tra cui, il mio Antonio Veneziano, ripreso dal Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia (vol. XI) pubblicato lo scorso anno, e un altro sulla letteratura cattolica in Italia. Nella sezione di antologia, proporremo prose e poesie di contemporanei. Come si potrà notare, anche se on line, «Spiragli» manterrà la sua fisionomia che tanto piace ai suoi lettori.