Dopo le interviste ai poeti residenti in Campania, riprendiamo il discorso delle interviste rivolgendo le domande – le stesse per tutti – ai direttori di riviste non solo con sede in Campania.Oggi intervistiamo Giuseppe Manitta, direttore di «Letteratura e Pensiero», rivista cartacea con redazione a Castiglione di Sicilia. Incominciamo con una domanda semplice e forse scontata, ma che ci serve per inoltrarci in questa intervista.
Chi è Giuseppe Manitta?
Giuseppe Manitta è un erede di Ulisse, un “Nessuno” per intenderci, che ha la passione del viaggio tra i libri, né più né meno. In questo peregrinare trovi cose da leggere e cose da scrivere, ma soprattutto incappi in aspetti che ti portano a scavare più in fondo, a volte ti smarrisci tra le parole degli altri (poco importa se sia Boccaccio o un ignoto petrarchista del ‘500, Leopardi o Carducci o un poeta più recente) a volte persino nelle tue. Ma in fondo, rimani un piccolo Ulisse, un piccolo “Nessuno”.
Credo che non diciamo un’eresia se collochiamo «Letteratura e Pensiero» all’Accademia Internazionale “Il Convivio” presieduta da Angelo Manitta, e di conseguenza alla consorella «Il Convivio», entrambe con sotto l’egida dell’Associazione. Perché una nuova rivista in vita da appena un anno circa? In cosa si differenzia dalla consorella «Il Convivio», a parte due diverse direzioni?
Il Convivio, sebbene sia stata classificata in Fascia A, e quindi tra le riviste scientifiche, è sempre più divulgativa di “Letteratura e Pensiero”, che mira all’approfondimento. Possiamo dire che è più accademica, e in una continua moria di riviste di tal genere penso sia stato un bene fondarla.
Immagino che si faccia una certa selezione prima di pubblicare testi sulla tua rivista. Con quali parametri vengono effettuate tali scelte e quanto spazio date ai giovani e alla poesia?
Le proposte sono aperte a tutti, com’è ovvio. Un comitato di lettura individua i testi da pubblicare e poi, l’ultima parola spetta a chi la dirige. Diciamo che ha una struttura piramidale, come tante altre riviste. Sostanzialmente ci occupiamo di saggistica, pertanto non si dà spazio alla poesia, per lo meno finora è stato così. Avevo ipotizzato di creare una rubrica, ma non penso che s’intoni bene alla struttura generale. Non è un problema di giovani o meno giovani, è proprio una questione di indirizzo specifico.
Ti affidi a collaboratori e con quali ruoli?
I collaboratori sono in linea di massima accademici, fanno proposte, se ne discute, propongono linee sulle quali confrontarsi. Quindi hanno un ruolo di primaria importanza.
Sappiamo entrambi le difficoltà che incontra oggi la poesia. Cosa bisognerebbe fare per far sì che la poesia ritorni a fare, a dire, a guardare avanti? E qual è il contributo di «Letteratura e Pensiero» alla sua diffusione?
Premetto che, trattandosi di una rivista di saggistica, la poesia viene studiata, quindi si danno interpretazioni su testi considerati significativi. Già è un contributo, seppur minimo. Passo ora alla prima domanda: “Cosa bisognerebbe fare per far sì che la poesia ritorni a fare, a dire, a guardare avanti?”. La poesia dal canto suo deve riprendersi lo spazio che ha sempre avuto, di dire, contestare, saper leggere il reale, ma soprattutto pensare. Pensare la lingua, il mondo, l’uomo. Pochi sono i poeti che oggi abbiano una caratura linguistica e una di pensiero degne di nota.
La poesia è irreale ‒ a detta di qualcuno ‒ che invita al silenzio, a rappresentare il silenzio, in quanto impotente nel percepire le condizioni umane e per questo avvinghiata da uno spaesamento. Che ne pensi?
Non credo che la poesia sia irreale, perché, anche quando lo è in apparenza, parla della realtà “diversamente”. Se la poesia non percepisce più l’uomo (e la storia) non ha motivo di esistere. Persino quanto di più distante viene considerato spesso dalla realtà (come Avanguardie storiche e Neoavanguardie) ha saputo leggere l’uomo e il tempo.
Attualmente quali progetti ci sono in cantiere?
Continuare a ricercare, a trovare tasselli poco conosciuti del panorama letterario, più o meno recente. E la ricerca è lunga.
È ancora possibile oggi una proposta di poesia alternativa e in che termini?
Non esiste poesia alternativa oggi, perché non esiste un canone oggi (quindi alternativa a cosa?). Semmai ci sono degli orientamenti, ma se badiamo bene anche i nomi ruotanti attorno ad alcune personalità di spicco spesso sono molto distanti dai loro mentori. C’è da dire, però, che buona parte della poesia italiana è manierista, quindi l’unica alternativa sarebbe quella di andare oltre la maniera e diventare una “voce”. E voci riconoscibili ce ne sono davvero poche. E non parlo solo di questioni stilistiche, ma anche di pensiero.
Ciò avviene in tutti i settori: dagli emuli dell’ermetismo e dell’arcadia (cioè che parlano di uccelletti e nature) agli sperimentatori, ai versificatori che guardano alla prosa, a quelli che guardano al metro e via di seguito. Esiste uno sperimentatore che ha trovato qualcosa di nuovo rispetto a quanto detto? Sì, qualcuno forse, ma mi vengono in mente tre o quattro nomi. Oggi i gruppi di poesia sono per aree di appartenenza: filo-cattolici da una parte, non filo-cattolici dall’altra, aree di influenza geografica (Roma-Milano-Napoli-Bologna ecc…). Pochi sanno essere trasversali e avere una certa caratura.
Qualcuno azzarda che le riviste letterarie non hanno più motivo di esistere, visto che non ci sono più correnti letterarie e i lettori scarseggiano o al massimo leggono on line. Perché i lettori dovrebbero leggere la tua rivista?
Una rivista è uno sguardo inedito sulla letteratura, quando lo è ha motivo di esistere, altrimenti è giusto che soccomba. “Letteratura e Pensiero” volge lo sguardo ai particolari necessari per comprendere il generale (di un autore, di una corrente), per questo ha un suo senso. Una rivista è in pratica un libro che invoglia a letture totalmente diverse a scritture sul web. Ma siamo nell’era digitale e una miriade di riviste nascono esclusivamente sul web “abbandonando il cartaceo”. Per quale motivo hai scelto di pubblicare una rivista esclusivamente cartacea rinunciando al web?
Il web è aleatorio, inconsistente ai fini documentari, facilmente deperibile (soprattutto nell’ambito letterario). Ricordo che quando scrissi il mio primo libro su Leopardi mi occupai molto di sitografia (erano gli anni di poco successivi al 2000 e andava molto in voga). Ricordo anche che alcuni interventi importanti, che non stampai, poi non li trovai più perché il dominio era inattivo. Tutto perso, dunque. La carta ha questo grande valore, ancora. In futuro probabilmente le cose cambieranno. Si è scelto solo il cartaceo perché se fai qualcosa che deve essere studiata (e non solo letta) ti serve il cartaceo, non il web.
Ritieni le riviste on line un’invadenza a ruota libera o un’opportunità anche ai fini economici e se c’è qual è la peculiarità che distingue quelle on line da quelle cartacee?
Differenze contenutistiche o di prestigio non ce ne sono tra le riviste su carta e on-line. Esistono riviste accademiche straordinarie solo su web e altre solo in cartaceo, esistono buone riviste divulgative solo su web e altre solo in cartaceo. Così, all’opposto, ci sono pessime riviste che usano entrambi i mezzi. La rivista on line ha un suo esistere frugale, secondo me, di ricezione immediata. Ma cosa ne resterà tra 10 o 20 anni? Una rivista cartacea è sempre un documento fisico. Il vantaggio dell’on-line, questo si deve ammettere, è la possibilità espansiva maggiorata rispetto al cartaceo, ma solo per quanto riguarda il pubblico di massa e non per quello specialistico. Quest’ultimo sa sempre (o quasi) dove guardare.
È ancora presto per fare dei resoconti, visto che «Letteratura e Pensiero» è appena nata. Ma ci sono argomenti o positività che ti fanno esclamare: «Vale la pena proseguire! Vale la pena spenderci il mio tempo!». Quali sono?
Quando si parla di letteratura vale sempre la pena di proseguire. È un assunto valido.
E a livello personale?
Io non faccio mai progetti personali, non ho mai avuto ambizioni di sorta, non amo i salamallecchi, non devo compiacere nessuno. Mi occupo solo di scrittura, né più né meno, a volte sbagliando a volte indovinando qualcosa.
Che ruolo hanno ‒ secondo te, al di là del tuo condizionamento in qualità di direttore ‒ le riviste letterarie in questo periodo dove si legge poco, diciamo così, per non dire altro, ma apriremmo un discorso troppo lungo?
La rivista è dibattito, quindi ha e avrà sempre un ruolo. Che la gente legga poco è sempre stato così. Solo dopo la II Guerra mondiale è avvenuto il boom commerciale ed editoriale, ma se facciamo i conti anche le riviste importanti del primo Novecento avevano tirature limitate, inferiori a quelle che hanno oggi le più note. Cento anni fa o duecento, come oggi, c’erano riviste più diffuse e riviste che morivano facilmente. «Letteratura e Pensiero», poi, è per addetti o appassionati, non penso che si abbia l’idea di farne un prodotto a larga scala.
L’amico Felice Piemontese un giorno mi confessò che non credeva più nelle riviste in quanto ‒ secondo lui ‒ avevano fatto il loro tempo. Io per tutta risposta, ho fondato e diretto due riviste. Si deduce che neanche tu sei d’accordo col pensiero di Piemontese. Cosa ti aspetti da una rivista?
La rivista è un organo di pensiero e di azione culturale, non solo una semplice pubblicazione periodica. Ora, dato quest’assunto, l’idea che non è più tempo delle riviste parte dal presupposto novecentesco dell’uscita periodica come organo di un movimento, di un manifesto o di un gruppo. Io preferisco il pluralismo di vedute.
Quale dovrebbe essere il ruolo di una rivista letteraria in questo “strano” periodo storico e cosa si può fare affinché le riviste tornino ad assumere un ruolo primario nel panorama letterario come avveniva nella seconda metà del Novecento?
Come ho ripetuto più volte, la rivista è dibattito, ha il suo ruolo e lo avrà. Che poi oggi non si abbia il ruolo primario di una volta è logica conseguenza di una certa pauperizzazione intellettuale. Chi dirigeva allora era “qualcuno” (di nome e di fatto), oggi siamo tanti “nessuno”, chi più chi meno. Le poche riviste che hanno notorietà e qualità (e ci sono, non dobbiamo nasconderlo) possiedono ancora oggi una dirigenza o un comitato di redazione davvero ottimo. Che poi, non è neanche vero che tutte le riviste non hanno lo stesso ruolo che avevano cento anni fa: quelle scientifiche (di area umanistica o qualsiasi altra) hanno ancora oggi un peso e una portata indispensabile, “primaria” appunto.
L’accusa maggiore che viene rivolta alle riviste è quella di giacere in una specie di “oblio”, un limbo collimato dal contesto in cui opera. La tua rivista come si rapporta con l’ambiente in cui opera, cosa propone ai lettori al di fuori della “pagina”, nel tentativo di realizzare una concreta amplificazione del suo messaggio? Detto tra noi, a quattr’occhi, quale dovrebbe essere il ruolo di una rivista in relazione al contesto?
Prima bisogna identificare il contesto. Se parliamo di cultura di massa, ci sono gli inserti dei quotidiani, se parliamo di riviste accademiche (seppur con certa moria negli ultimi 10-20 anni) esistono realtà altrettanto importanti, se parliamo di riviste militanti, lì sta il problema. Queste o non ci sono o sono sganciate dal contesto, per il semplice fatto che non hanno proposte serie da fare rispetto ai predecessori. Oggi è difficile sopravvivere e si pensa più a quello. Certo, ci sono anche le eccezioni, ma in Italia me ne vengono in mente poche, davvero poche. Quelle che esistono (dico quelle poche che sono degne di nota) hanno avuto il riconoscimenti in Classe A dell’Anvur, quindi sono rintracciabili.
Per concludere: cosa ci proponi col nuovo numero e quando uscirà?
Dato il successo dei primi due semestri, dal prossimo numero uscirà il cartaceo ogni tre mesi. Nel prossimo ci sarà un mio contributo filologico sul comico in Leopardi e l’individuazione della fonte che il Recanatese usò, ovvero un trattato di Paolo Costa; Vittorio Capuzza dell’Università Tor Vergata si concentra su Isabella di Morra, Fabio Russo dell’Università di Trieste sul rapporto tra pensiero e letteratura, Francesco D’Episcopo della Federico II di Napoli sulla poesia di Renato Filippelli, Gianluca Sorrentino dello Iulm su Günter Grass, e poi avremo le firme di Ugo Piscopo, Carmine Chiodo e numerosi altri studiosi italiani. Un numero ricchissimo, in pratica.