Dopo le interviste ai poeti residenti in Campania, riprendiamo il discorso delle interviste rivolgendo le domande – le stesse per tutti – ai direttori di riviste non solo con sede in Campania. Oggi intervistiamo Giuliano Ladolfi, direttore di «Atelier», rivista cartacea con redazione a Borgomanero (NO).
Incominciamo con una domanda semplice e forse scontata, ma che ci serve per inoltrarci in questa intervista. Chi è Giuliano Ladolfi?
Sono nato a Novara il 9/12/49 e mi sono laureato in Lettere Moderne alla Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ho insegnato Lettere nel Liceo e dall’anno scolastico 1997-98 fino al 2010 sono stato dirigente scolastico. Ho pubblicato quattro raccolti di poesia: Paura di volare. I ragazzi dell’Ottantacinque (Rebellato Editore, 1888); Il diario di Didone (Ed. Guardamagna, 1994, II ed. 1995); Enigma dello specchio (Nuova Compagnia Editrice di Forlì, 1996) e Attestato, tradotto in georgiano, inglese, spagnolo e francese. Nel 1996 ho fondato la rivista «Atelier» e nel 2010 la casa editrice che porta il mio nome.
Come e quando è nata «Atelier»?
«Atelier», rivista di poesia, critica e letteratura è nata nel 1996 per impulso mio, di Marco Merlin, di Paolo Bignoli e di Riccardo Sappa. Da molto tempo sognavo di fondare una rivista per coinvolgere altre persone nel progetto di rinnovare la poesia e la critica italiana. Dopo anni di progettazione e dopo il convegno sulla “Poesia e il sacro alla fine del Secondo Millennio”, cui parteciparono Mons. Ravasi, Franco Lanza, Mussapi, Carifi, Loi e Guzzi, organizzato da Ladolfi, ci si decise alla grande impresa.
Fu scelta la cadenza trimestrale perché da un lato si è in grado di attuare una proficua scelta editoriale e dall’altro di mantenere il contatto con il dibattito culturale in corso. Occorreva inventare tutto: dalla ragione sociale, ai rapporti con il commercialista, con la burocrazia, con la tipografia, con la posta, con i lettori. Si presentava il problema del titolo, del formato, delle rubriche. Era necessario trovare forme di finanziamento perché alle spalle non si poneva né un giornale né una casa editrice né un ateneo né uno sponsor che avrebbe potuto condizionare scelte e indirizzi.
Siamo nell’era digitale. Della tua rivista c’è anche una versione on line?
La rivista è articolata in diverse sezioni: «Atelier» cartacea, «Atelier online», diretta da Clery Celeste e da Eleonora Rimolo, «Atelier International», diretta da Francesca Benocci, e «Phronein», rivista di filosofia, diretta da Mario Guarna.
A proposito di riviste on line: cosa pensi del fatto che sempre più riviste nascono esclusivamente sul web “abbandonando il cartaceo” rinunciando alla fisicità, all’odore dell’inchiostro o al piacere tattile di girare le pagine? Secondo te c’è una peculiarità che distingue quelle cartacee da quelle on line?
Le riviste online presentano indubbi vantaggi: nessuna spesa tipografica, nessuna spesa di spedizione, nessun impegno pratico… La tentazione di passare online anche la nostra rivista tradizionale è sempre in agguato. Tuttavia, riteniamo che il mare magnum del web difficilmente possa mantenere l’importanza di una pubblicazione tradizionale.
Dal sito di «Atelier» leggiamo una sezione dedicata al visuale del Novecento. A proposito della poesia visuale: quanto spazio date ad essa e cosa pensi della poesia visuale in genere che oggi si continua produrre in Italia?
«Atelier» accoglie le voci più significative, indipendentemente dalla realizzazione. A noi interessa la qualità del testo. La poesia visuale, come altre manifestazioni simili, oggi corre il pericolo di esaurirsi in “maniera”.
Immagino che si faccia una certa selezione prima di pubblicare testi sulla tua rivista. A proposito, oltre alla poesia cosa pubblicate, con quali parametri vengono effettuate le scelte e quanto spazio date ai giovani e alla poesia?
Sì, la selezione è molto severa, perché le proposte sono sempre numerose. I criteri cui ci atteniamo non sono semplicemente quelli di una generica qualità. Sono chiaramente indicati non solo nei diversi interventi di carattere estetico-poetico, ma anche quelli formulati nel I tomo della pubblicazione La poesia del Novecento: dalla fuga alla ricerca della realtà. Lì sono chiariti finalità, obiettivi e metodi. Identici principi epistemologici sono presenti nel saggio L’estetica nell’Età Globalizzata, scaricabile dal sito e presente anche in francese e in inglese.
Ti affidi a collaboratori e con quali ruoli?
Ogni sezione prevede una redazione e collaboratori. Le redazioni lavorano a stretto contatto con il direttore, elaborano le scelte fondamentali, propongono idee e lavori, mantengono contatti. Diversi sono i ruoli in rapporto alla specificità delle articolazioni in cui è strutturata la rivista. Siamo un gruppo motivato e coeso, un gruppo entusiasta di condividere una precisa idea di poesia: una poesia legata alla realtà e ai problemi umani individuali e sociali.
Sappiamo entrambi le difficoltà che incontra oggi la poesia. Cosa bisognerebbe affinché la poesia ritorni a fare, a dire, a guardare avanti? Qual è il contributo di «Atelier»?
Da venticinque anni sperimentiamo quotidianamente la situazione di marginalità cui è relegata la poesia oggi. A questo abbiamo dedicato due convegni: Firenze (2016), Milano /2017). Eppure non rinunciamo a lavorare perché questo settore artistico ritorni ad assumere l’importanza rivestita fin dai tempi di Omero.
Se la vita è una continua ricerca di se stessi o di quello che ci fa stare meglio, l’assunto può essere girato alla sfera poetica e come?
Per noi la poesia è canto dell’uomo per l’uomo e non un semplice lavoro sulla lingua o uno sfoggio di metafore. Il modo di realizzare questo ideale non può essere codificato, spetta a ogni autore trovare la modalità specifica. Non abbiamo espresso proclami o manifesti, proprio per questo motivo.
La poesia è irreale ‒ a detta di qualcuno ‒ che invita al silenzio, a rappresentare il silenzio, in quanto impotente nel percepire le condizioni umane e per questo avvinghiata da uno spaesamento. Che ne pensi?
La poesia, a nostro parere, è una “cosa”, non un’idea, non un progetto soltanto. Finché non ci si trova dinanzi a un testo preciso, si può dire tutto e il contrario di tutto. Se manca la parola, manca l’essenza stessa della scrittura in versi. Il silenzio andrebbe catalogato sotto un’altra forma di comunicazione o, meglio, di non-comunicazione.
Attualmente quali progetti ci sono in cantiere?
I progetti solo molti: un incontro tra i redattori storici e attuali; la continuazione di «Atelier International» in inglese, per diffondere in tutto il mondo la concezione della rivista; un convegno sulle ultime generazioni; il numero 100, numero speciale…
È ancora possibile oggi una proposta di poesia alternativa e in che termini o la proposta è ancora legata alla tradizione e perché?
Non è facile rispondere perché avrei bisogno di un chiarimento sul concetto di “poesia alternativa”. In ogni caso, se ci sono testi validi, non ci sarebbero motivi per non valorizzarli. La nostra proposta è come un albero: ha le radici legate al passato, il fusto verso il presente e i rami verso il futuro. La tradizione non deve essere un limite, ma un ampliamento di orizzonti, un punto di partenza, perché senza la tradizione si corre il pericolo di scrivere “nel vento e nell’acqua che scorre”.
Qualcuno azzarda che le riviste letterarie non hanno più motivo di esistere, visto che non ci sono più correnti letterarie e i lettori scarseggiano o al massimo leggono on line. Perché i lettori dovrebbero leggere la tua rivista?
Un motivo è proprio quello cui si accenna: non ci sono più correnti letterarie e i lettori scarseggiano o al massimo leggono on line. Il pensiero unico sta distruggendo non solo il dibattito non solo la capacità critica, ma in un prossimo futuro forse anche la sostanza stessa della democrazia.
Da quando si pubblica «Atelier» ci sono stati argomenti che ti hanno fatto esclamare: «Vale la pena proseguire! Vale la pena spenderci il mio tempo!»? E quali sono?
Riassumere in poche righe il lavoro venticinquennale della rivista è veramente arduo. Ne citerò alcune tematiche: la definizione di un nuovo metodo critico, la valorizzazione dei giovani poeti; l’Opera Comune; la scoperta di autori lasciati al margine; la rilettura dell’intera poesia novecentesca; lo studio della generazione dei “poeti nel limbo”; gli approfondimenti di carattere epistemologico sul “fare poesia”; le monografie su un gruppo di poeti contemporanei; i convegni sulla poesia contemporanea italiana e straniera, la diffusione dei fondamenti estetici in tutto il mondo, la loro condivisione con moltissimi critici e poeti… Chi vuole approfondire il nostro lavoro, può trovare sul nostro sito www.atelierpoesia.it i primi 85 numeri.
E quelli più interessanti a livello personale?
La proposta dei principi estetici ed epistemologici della poesia e la strutturazione di un metodo critico.
Che ruolo hanno ‒ secondo Giuliano Ladolfi, al di là del tuo condizionamento in qualità di direttore ‒ le riviste letterarie in questo periodo dove si legge poco, diciamo così, per non dire altro, ma apriremmo un discorso troppo lungo?
Ottima e impegnativa domanda… Le riviste dovrebbero essere chiare nell’impostazione, negli obiettivi e nelle finalità; operare conseguenti scelte senza condizionamenti estranei al fattore letterario; spingere i lettori a un approccio critico; far pensare…
C’è chi non crede più nella forza propulsiva delle riviste in quanto la convinzione è che hanno fatto il loro tempo. Secondo te vale la pena oggi affidare le proprie idee letterarie alle riviste e cosa ti aspetti da esse?
Può darsi che le riviste abbiamo fatto il loro tempo. A nostro parere, mai come oggi, per i motivi esposti, le riviste sono indispensabili. E noi lavoriamo.
In generale, quale dovrebbe essere il ruolo di una rivista letteraria in questo “strano” periodo storico affinché torni ad essere protagonista nel mondo letterario come avveniva nel Novecento e maggiormente nel secondo dopoguerra?
Il ruolo di una rivista letteraria dipende dall’impostazione. Per noi dovrebbe presentare opere di valore, suscitare dibattiti, proporre idee, coinvolgere i lettori, valorizzare la funzione umana e civile della poesia…
L’accusa maggiore che viene rivolta alle riviste è quella di giacere in una specie di “oblio”, un limbo collimato dal contesto in cui opera. «Atelier» come si rapporta con l’ambiente in cui opera, cosa propone ai lettori al di fuori della “pagina”, quale altre iniziative nel tentativo di realizzare una concreta amplificazione del suo messaggio?
Un’accusa di questo genere non si addice assolutamente alla nostra rivista per il fatto che intendiamo la poesia come “rivelazione” del periodo storico in cui uno scrittore vive. Il rapporto con la situazione contemporanea, sia pure filtrato attraverso l’individualità, è condizione imprescindibile nella nostra posizione critica. L’arco ermeneutico, nel quale si sostanzia il lavoro del critico, a nostro parere, lo introduce all’interno della cultura, della società, della filosofia, della sociologia, della scienza, della storia, degli usi e costumi, di tutte le manifestazioni in cui un periodo storico si è attuato.
Detto tra noi, a quattr’occhi, quale dovrebbe essere il ruolo di una rivista in relazione al contesto?
Per noi il ruolo di una rivista dovrebbe essere quella di aiutare il lettore a comprendere meglio il periodo storico in cui viviamo, dal momento che l’arte, a nostro parere, rappresenta l’espressione più completa dello spirito del tempo. Basti pensare alla Divina Commedia.
Per concludere: cosa ci proponi col nuovo numero?
Il n. 97 propone un editoriale di carattere estetico, l’omaggio a Paolo Lagazzi con diversi interventi, un saggio su una raccolta di Michele Brancale, due interviste (a Fabio Pusterla e a Salvatore Ritrovato), il dibattito sulla traduzione della poesia con la pubblicazione di Lucifero, testo di Mihai Eminescu, il più importante poeta rumeno, e le poesie di sei giovani autori di lingua russa…