Daniela Morante è artista della vita, porta la sua arte nel suo agire quotidiano e il quotidiano diventa corpo e anima della sua arte. E’ pittrice, operatrice culturale, responsabile del ” Laboratorio Cuore” attivo dal 2010 nel Reparto di Cardiochirurgia del II Policlinico di Napoli, madre di due ragazzi e molto altro ancora.
L’abbiamo conosciuta anni fa in occasione di una sua mostra, poi seguita nel tempo ammirandone l’impegno e la tenacia nel perseguire il suo desiderio di essere l’artista che vuole nonostante le difficoltà dovute alla molteplicità dei ruoli che ricopre in quanto donna.
Daniela Morante è lontana dallo stereotipo di artista solitario, arroccato nella sua torre d’avorio al quale è consentita ogni stravaganza o eccesso ma non la “prosaicità” della domesticità. Ha voluto essere madre, atto creativo massimo, e avere a che fare con pappe e pannolini. Più volte l’abbiamo colta nel suo studio che è anche la sua casa, come sovente accade per le donne in arte, intenta a dipingere, preparare sughi e avere cura dei suoi bambini. Tutto questo l’ha tenuta lontana dai salotti e penalizzata nei rapporti con i galleristi il che ha significato, talvolta, porte chiuse. Tutto questo per sua volontà è stato trasformato in arte, anche gli immancabili dolori del vissuto personale, perché per la Morante l’arte è vita, relazione e scambio e soprattutto verità e, come vedremo, cura.
E’ una donna forte che andiamo ad incontrare, con le idee chiare in fatto di arte, una donna che ha saputo volgere in positivo gli affanni della vita e ritagliarsi il suo spazio con determinazione ed intelligenza aprendolo all’altro da se. Una bella donna, infine, che incede nella vita con l’eleganza e la fierezza di una regina
d’ Africa.
Partiamo quindi dal suo personale concetto di arte e artista
“Odio definirmi come artista e con gli artisti spesso non ho una buona comunicazione, non penso all’arte come ad un’attività chiusa dove far crescere il proprio io a dismisura, evito le etichette, ho bisogno di mescolare le acque, di passare liberamente da un aspetto all’altro della vita in cerca di senso e verità. Ho cercato sempre di trovare un equilibrio tra le coincidenze di fatti opposti, come un alchimista provo a trasformare il momento drammatico, il buco nero in una trascendenza, un’altezza che può avere del miracoloso. Non si può decidere di essere “artista” lo si diventa anche mettendo insieme esperienze e relazioni come un filo conduttore e forse questa è la creatività. Ho voluto prendermi la libertà di fare dei figli, un figlio è un’opera d’arte, e se averne ha apparentemente comportato delle rinunce la vita ti sorprende, è tutta linfa ed ogni esperienza confluisce in un’altra, che cos’è l’arte se non relazione e scambio, Arte e Vita sono per me inscindibili.“
Lei è pittrice, performer, operatrice culturale e sociale, una curiosa della vita che non teme la verità né il mostrarla.
“Vero, mi piace muovermi in più ambiti, la scrittura, le azioni performative, il laboratorio in ospedale, il far parte di altri progetti. La mia testa è come un cantiere e il dipingere è un’attività suscettibile di variazioni, se mi blocco devo fermarmi, vivere la vita e poi elaborare. L’arte è vita e va applicata a vari canoni linguistici e la vita porto nei miei interventi performativi come anni fa in Sardegna quando ho “raccontato” di una conflittualità dolorosa vissuta durante la mia separazione. Titolo della rassegna “Condannati a creare” e il luogo un ex carcere con le sue celle dai soffitti alti e le pareti bianche, ogni artista aveva la sua cella, sui muri della mia ho trasferito una frase negativa e incontrando il vano della porta l’ho dovuta spezzare, nel farlo è diventata un’altra cosa si è volta in positivo e ne è venuto fuori: arte – amore. Quest’anno al lago Averno, mitologico ingresso agli inferi, abbiamo costruito e messo in acqua delle zattere inviate come messaggio personale a qualcuno che non c’è più, titolo scelto per l’azione performativa: “Le parole che non ti ho mai detto” per la rassegna “L’arte come impresa sociale”, una sorta di laboratorio con adulti coi quali condivido le mie conoscenze. L’arte è stata per me una sorta di terapia e provo ad offrirla ad altre persone, un percorso divenuto fondamentale.”
Un percorso che la porta sempre più lontano dai luoghi tradizionali dell’arte, le gallerie per intenderci, e verso esperienze di comunicazione e scambio con l’altro, nutrimenti della creatività. E’ la sua scelta?
“La dimensione della galleria mi è divenuta stretta non in quanto spazio ma per il pubblico, ridotto e poco attento al linguaggio dell’arte contemporanea, un linguaggio più difficile da decifrare e che ciascuno dovrebbe avvicinare in libertà.La creatività nasce sempre da impulsi psichici e da esperienze di vita vissuta ed ho avvertito il bisogno di arrivare a tutti. I miei studi, le riflessioni, il lavoro ho voluto farli divenire “carne”, farli uscire dall’astrazione delle idee attraverso le relazioni e lo scambio con le persone ed è come se li avessi moltiplicati. L’incontro è una sorta di miracolo, un momento di intuizione in cui si apre uno squarcio di verità sul mondo.I partecipanti scoprono la propria creatività in forma giocosa e leggera in uno scambio reciproco che arricchisce tutti. Il percorso cambia di continuo e mi ha condotta in un ambito diverso, quello del disagio infantile, il più difficile da accettare.”
Si riferisce al suo lavoro con i bambini cardiopatici del II Policlinico, il “Laboratorio cuore” ?
“Sì, e questa è soprattutto un’esperienza emotiva che mi ha travolta e fatta cambiare, lavorare con i bambini sofferenti ed in lotta con la vita ha una valenza fortissima e loro così piccoli hanno molto da insegnare a me e agli altri, a questa società dove aleggiano depressione ed insoddisfazione generale e che non vuole avere a che fare con la sofferenza e la morte. Accolgo e seguo i bambini in degenza che spesso provengono da realtà socio-culturali terribili, un disagio che si somma al disagio della malattia e per questo la sola offerta di colori e pennelli è motivo di gioia. Attraverso i loro disegni hanno la possibilità di esprimere ansie e paure, di aprirsi alla parola e al racconto di sé, di placare i timori e annullare noia e sperdimento. Al tavolo siedono anche i genitori ad osservare o disegnare coi figli e allora cambiano le dinamiche tra di loro e gli “scarabocchi” che prima, per gli adulti, non avevano senso assumono un diverso significato. Negli anni molti ritornano e raccontano di aver continuato a dipingere, diventano veri e propri allievi. Io sono coadiuvata da assistenti e clown ed un interprete palestinese x i bambini che arrivano dal medio oriente. Seguiamo i bambini prima e dopo l’intervento e constatiamo come i disegni cambiano e dai tunnel bui passano a colori e cieli più luminosi ed aperti ma non privi di nuvole.”
Arte come terapia o, meglio , cura, una pratica storicamente femminile. Questa esperienza è stata raccontata nel convegno da lei organizzato “Artefice di benessere” i cui atti ha raccolto e pubblicato di recente nell’omonimo libro con la prefazione di Aldo Masullo
“Nel libro ho raccolto gli interventi dei partecipanti e il diario che ho tenuto dal 2010 al 2013 comprensivo di una selezione di tavole a colori di dipinti realizzati dai bambini. Mi, ci siamo chiesti se l’arte sconfina nella cura, lo stiamo scoprendo giorno per giorno e di certo il termine cura è più appropriato di “terapia”, ha a che fare col prendersi cura dell’altro con amore e così facendo si finisce col cambiare insieme. E’ stato un confronto tra professionisti che riconoscono il valore dell’espressione artistica nei rispettivi contesti professionali. Io mi sono allontanata da ogni altro percorso e il rapporto coi bambini mi ha trasformata non poco, non puoi relazionarti con vocine e atteggiamenti falsi o superficiali, i bambini pretendono verità, sono dei combattenti e come guerrieri amano disegnarsi spesso. Io opero sulla loro creatività e sulla rimozione dei loro traumi, lavorare sul disegno ha un rimando emotivo enorme è un confronto ed una crescita continui, non tutti siamo artisti ma la creatività è necessaria nella vita. Io proseguo per la mia strada che non so mai dove mi porterà.”
Come si sente alla fine di una giornata trascorsa coi bambini in ospedale, riesce ad applicare una sorta di distacco nel relazionarsi con loro?
“Assolutamente no, non ci riesco e quando rientro a casa posso solo nutrirmi e dormire.
Ritengo che in questo momento storico ci sia bisogno di scendere in campo, partecipare, anche gli artisti possono contribuire con il loro sapere e i loro strumenti da mettere a disposizione dell’altro.”
Il lavoro del “Laboratorio cuore” ha ricevuto il Premio per l’Infanzia dell’Associazione Bambini in Ospedale – ABIO – ed una serie di riconoscimenti dalla stampa e dalla critica.
Il libro “Artefice di benessere!” L’arte sconfina nella cura – di D. Morante è un inno alla vita e ne consigliamo caldamente la lettura.
Daniela Morante è diplomata in scenografia all’Accademia di Belle Arti; Capo progetto del laboratorio Cuore che si rivolge ogni anno a circa 800 bambini e ai loro genitori; organizza laboratori creativi per adulti e bambini sul tema arte-cura; partecipa a diversi convegni di studio sull’importanza della pratica creativa nei contesti di cura e disagio; si è formata in counseling gestaltico ; partecipa a mostre personali e collettive con opere su carta o su tela o con happening su tematiche specifiche; ha curato nel 2014 un Convegno multidisciplinare: “Artefice di benessere” c/o l’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli, pubblicando successivamente il volume analogo con gli atti e la metodologia applicata nei suoi laboratori.