Dopo le interviste ai poeti residenti in Campania, riprendiamo il discorso delle interviste rivolgendo le domande – le stesse per tutti – ai direttori di riviste non solo con sede in Campania. Oggi intervistiamo Ciro Terlizzo, co-direttore di «L’Elzeviro», rivista on line con redazione a Napoli.
Incominciamo con una domanda semplice e forse scontata, ma che ci serve per inoltrarci in questa intervista. Chi è Ciro Terlizzo?
Caro Giorgio, è un piacere fare le veci di un progetto che é molto di più di un semplice nome: sono laureato in Lettere Classiche alla Federico II di Napoli, mentre gli altri tre caporedattori (Anna, Vincenzo e Gabriele) sono tutti laureandi in Lettere Moderne presso la stessa università.
Come e quando è nata «L’Elzeviro»?
É nata il 27 Novembre del 2017. Un inaspettato ritardo dell’apertura delle aule bloccò noi federiciani tra i corridoi: Vincenzo propose l’idea di una rivista indipendente che racchiudesse gli scritti migliori dei migliori giovani. Non ho potuto non accettare. Il nome rimanda a una delle pagine più vive e attive della nostra storia culturale: gli elzeviri erano gli articoli in terza pagina dei quotidiani, dedicati alla letteratura, alla cultura in senso lato e alla critica teatrale e scritti da intellettuali che in quelle pagine portavano avanti un lavoro che è molto di più di quello giornalistico, tant’è che si soleva distinguerli da questi con la categoria apposita degli elzeviristi.
La scelta di pubblicare on line è stata una scelta dovuta all’evoluzione dei tempi, a una questione economica o a qualcos’altro?
Entrambe le motivazioni ne sono responsabili: all’inizio partire con un cartaceo significava investire sull’ignoto, dal momento che non conoscevamo le nostre abilità e la nostra pazienza da redattori e direttori di rivista. D’altra parte, il digitale ci permette di arrivare a più persone in un tempo minore, registrando una media di un migliaio e mezzo di lettori per ogni numero. Ad oggi, ripeteremmo la stessa scelta con la stessa decisione, consapevoli che oggi quasi quasi la carta stampata ce la meriteremmo.
Nella premessa del n. 2 del 2019 si legge che per «due anni siamo stati contenitore […] più di un diario adolescente chiuso da un lucchetto facilmente forzabile». Insomma, una miscellanea senza una linea precisa di proposte, a quanto si evince. Ma alla fine della suddetta premessa si dice che «L’Elzeviro si sveste del saio della prima comunione e diventa essa stessa l’ostia laica da dare in pasto ai cannibali di opinioni e da donare invece ai saggi rispettosi e propositivi». Come vi proponete oggi e con quale periodicità?
Oggi siamo più leggeri. Facciamo quello che ci va quando ci va. Selezioniamo chi teniamo a scegliere, chi ha contenuto, chi ha genialità di espressione. La solita brodaglia poetica non ci interessa, la solita prosa sterilmente descrittiva ci annoia e la critica che non critica non ci tange. Ci piace provocare con post social irriverenti e ci piace simpatizzare con chi ci scrive. La periodicità è sempre imprevedibile: quando abbiamo qualcosa da dire, allora la diciamo. Il tempo dei nostri lettori è prezioso, e la sola retorica non ci interessa proporla.
Immagino che si faccia una certa selezione prima di pubblicare testi sulla tua rivista. Con quali parametri vengono effettuate tali scelte e quanto spazio date ai giovani e alla poesia?
Il criterio di selezione premia i testi sopra la media o quelli fuori dagli schemi: per fare un esempio, abbiamo pubblicato Cemento, di Federico Zagni. Cemento è scritto al contrario, dalla fine all’inizio, in un modo magistrale. Vorremmo sempre tanti blocchi di cemento nelle nostre pubblicazioni. Per quanto riguarda la seconda domanda, giovani e poesia sono imprescindibili per «L’Elzeviro»: i componimenti poetici occupano circa il 50% di ogni pubblicazione, mentre i nostri autori sono tutti under 30. Qualche eccezione anagrafica forse, ma la linea a prevalere è quella giovanile.
Oltre all’altro direttore, Vincenzo Borriello, quali sono gli altri componenti della redazione e con quali ruoli?
Vincenzo ed Anna Battista co-dirigono la rivista, occupandosi rispettivamente della sezione critica e prosastica, mentre Gabriele De Simone dirige quella poetica: io sono un grafico raffazzonato. Sappiamo entrambi le difficoltà che incontra oggi la poesia.
Cosa bisognerebbe fare per far sì che la poesia ritorni a fare, a dire, a guardare avanti? E qual è il contributo di «L’Elzeviro» alla sua diffusione?
La poesia deve essere sempre un passo avanti al suo tempo: deve indicare la via, non seguirla. «L’Elzeviro» è solo una piccola traccia sul sentiero del viandante sulla strada della poetica, è l’ombra della quercia: offre frescura, rifocilla, ma poi esorta a proseguire sulla via spianata.
Se la vita è una continua ricerca di se stessi, di quello che ci fa stare meglio, quanto può essere utile la poesia e come?
Migliaia di poeti hanno letto la vita e la poesia come ricerca di sé. Oggi si può tranquillamente andare avanti: la poesia può essere anche qualcosa che nasconde, non solo qualcosa che disvela.
La poesia è irreale ‒ a detta di qualcuno ‒ che invita al silenzio, a rappresentare il silenzio, in quanto impotente nel percepire le condizioni umane e per questo avvinghiata da uno spaesamento. Che ne pensi?
Ungaretti diceva che la parola è impotente all’espressione umana: ci credo, ma la poesia non può essere foglio bianco, quindi ci si sforza perlomeno di scegliere le parole migliori. Attualmente quali progetti ci sono in cantiere? L’attuale che ci ritroviamo a vivere preclude, come a tutti, ogni possibilità di azione. Ed è giusto che sia così. Il Covid-19 è una calamità. Le calamità l’uomo ha sempre saputo esorcizzarle con l’arte: abbiamo in progetto un numero speciale intitolato “Fine. Hic dolor tibi proderit olim”, che racchiuderà tutti i testi composti in periodo di quarantena con corollario di luogo e data.
È ancora possibile oggi una proposta di poesia alternativa al sistema costituito e in che termini?
Per noi non esiste un sistema costituito. Per quel che ci riguarda, i sistemi in letteratura sono sovrastrutture.
Qualcuno azzarda che le riviste letterarie non hanno più motivo di esistere, visto che non ci sono più correnti letterarie e i lettori scarseggiano o al massimo leggono on line. Perché i lettori dovrebbero leggere la tua rivista?
Perché chi l’ha fondata ha vent’anni, voglia di rivoluzione, di cultura. E perché siamo molto bravi in ciò che facciamo.
Per gli amanti delle riviste cartacee, le riviste on line sono un’invadenza a ruota libera. Per te sono un’opportunità solo allo scopo di ridurre le spese economiche e in che modo si distinguono – se si distinguono ‒ da quelle cartacee?
Con le riviste digitali non ci puoi fare gli aeroplanini di carta… la carta è il sacrosanto di ogni lettore e di ogni scrittore: vederci “cartaceizzati” ci renderebbe orgogliosi, ma per il momento non ci manca nulla rispetto agli altri grandi nomi del panorama.
Che ruolo hanno ‒ secondo te, al di là del tuo condizionamento in qualità di direttore ‒ le riviste letterarie in questo periodo dove si legge poco, diciamo così, per non dire altro, ma apriremmo un discorso troppo lungo?
Chi decide di dirigere una rivista letteraria nel XXI secolo è un titano: sa che perderà, ma non per questo si tira indietro. Non abbiamo un ruolo, se non quello di trampolino, di barlume. Qui ci passeranno grandi nomi, speriamo che lo diventino anche i nostri.
Cosa hai da dire a coloro che sostengono che le riviste oggi hanno perso la loro forza propulsiva? Tu cosa ti aspetti da una rivista, quale dovrebbe essere il suo ruolo affinché torni ad assumere un ruolo primario nel panorama letterario come avveniva nella seconda metà del Novecento?
Non potrà più avvenire: è utopia. La nuova letteratura oggi sono le serie tv, il cinema, non le riviste. Noi saremo sempre luogo di pochi, per pochi, ma non per questo meno entusiasti.
L’accusa maggiore che viene rivolta alle riviste è quella di giacere in una specie di “oblio”, un limbo collimato dal contesto in cui opera. La tua rivista come si rapporta con l’ambiente in cui opera, cosa propone ai lettori al di fuori della “pagina”, nel tentativo di realizzare una concreta amplificazione del suo messaggio?
Che bella domanda. Oltre ad essere redattori, gli elzeviristi organizzano mensilmente il “Simposio tra i Calici”, un evento di dibattito culturale aperto a tutti. Si ordina un calice di vino, si intavola una discussione e si parla, si conversa. Per un trimestre siamo stati ospitati da Radio Crc, emittente regionale molto seguita, che ci ha permesso di portare la letteratura on-air. È una delle cose di cui andiamo più fieri oggi.
Detto tra noi, a quattr’occhi, quale dovrebbe essere il ruolo di una rivista in relazione al contesto?
Noi dovremmo essere l’alternativa: prodotto di cultura e non di consumo che non si fa pagare cifre improponibili come certe pubblicazioni oggi. Ma, come detto sopra, è improbabile che le riviste abbiano ancora un ruolo, e quindi… ce la godiamo!
Per concludere: cosa ci proponi col nuovo numero e quando uscirà?
“Fine. Hic dolor tibi proderit olim” uscirà a fine quarantena, quindi non sappiamo ancora quando. Per ora pensiamo a vivere bene, a stare a casa, a leggere e a studiare. Torneremo a recitare versi al chiaro di luna.