Immaginiamo un mondo in cui è possibile personalizzare le proprietà del grafene per avere il risultato desiderato. Unendo le proprietà uniche di questo materiale con la precisione della chimica molecolare, un team internazionale di scienziati, tra cui italiani del Cnr, ha mosso i primi passi per ottenere proprio questo. In un articolo pubblicato su Nature Communications, i ricercatori mostrano come sia possibile creare dispositivi basati sul grafene sensibili alla luce, aprendo la strada a numerose applicazioni, tra cui fotorivelatori e memorie controllabili per via ottica.
La ricerca, coordinata da Paolo Samorì dell’Università da Strasburgo e Cnrs, è stata possibile grazie alle molte competenze del team di scienziati che comprende tra gli altri Vincenzo Palermo dell’Istituto per la sintesi organica e fotoreattività del Cnr (Isof-Cnr) e Vittorio Morandi dell’Istituto per la microelettronica e i microsistemi (Imm-Cnr), in collaborazione con colleghi dell’Università di Cambridge e dell’Università di Bologna.
I ricercatori hanno mostrato che si possono produrre inchiostri di grafene concentrato combinando polvere di grafite con molecole capaci di cambiare la loro conformazione in seguito a irradiazione luminosa, attraverso un procedimento di esfoliazione in fase liquida. Questi inchiostri al grafene possono poi essere impiegati per realizzare dispositivi che esposti alla luce visibile e ultravioletta sono in grado di cambiare le loro proprietà elettriche in modo reversibile.
Lo studio mette in pratica l’idea di combinare il grafene con quello che gli scienziati chiamano un “interruttore molecolare fotocromatico”. Secondo i ricercatori una molecola ideale a questo scopo è il 4-(decossi)-azobenzene: “L’azobenzene è una molecola reperibile in commercio che ha un’alta affinità per il grafene, ovvero tende facilmente a legarsi a un foglio di grafene ostacolando così la sovrapposizione di più fogli uno sull’altro”, spiega Vincenzo Palermo di Isof-Cnr. “Se esposta a luce ultravioletta la molecola di azobenzene cambia conformazione, passando dalla forma trans a quella cis – dove la cis è notevolmente più ingombrante rispetto alla forma trans – cambiando quindi il modo con cui si interpone tra i fogli di grafene, e il modo in cui le cariche elettriche attraversano il materiale. Il processo è completamente reversibile per semplice esposizione del campione a luce bianca, fatto particolarmente importante proprio per gli interruttori molecolari”.
Depositando un inchiostro ibrido grafene-azobenzene su un substrato di ossido di silicio i ricercatori hanno così realizzato un interruttore molecolare modulato dalla luce. Poiché il passaggio dalla forma trans a cis è completamente reversibile con il semplice impiego di luce bianca, l’interruttore molecolare è a sua volta completamente reversibile, requisito essenziale per creare memorie controllate otticamente.
“Lo studio dimostra che è possibile realizzare il controllo a distanza di un dispositivo elettrico basato su grafene semplicemente tramite l’esposizione alla luce di opportune lunghezze d’onda”, spiega Vittorio Morandi di Imm-Cnr. “È il primo passo verso lo sviluppo di materiali multicomponenti basati su grafene e il loro uso per produrre veri e propri dispositivi multifunzione. Si può infatti immaginare una struttura multistrato composta da fogli di grafene separati da più strati, ciascuno dei quali integra un diverso componente molecolare. Ogni componente conferisce una nuova proprietà al materiale, che diventa così in grado di rispondere a più sollecitazioni indipendenti come la luce, il campo magnetico, stimoli elettrochimici, e via dicendo: si ottiene in questo modo un nanocomposito ‘multi-intelligente’, reattivo cioè ad un ampio insieme di stimoli”.
Vincenzo Palermo e Vittorio Morandi fanno parte di Graphene Factory la vasta comunità del Cnr attiva nella ricerca sul grafene e altri materiali bidimensionali. Il Consiglio nazionale delle ricerche è a livello nazionale l’ente che conta il maggior numero di ricercatori coinvolti e il maggior numero di pubblicazioni su questi temi.
Lo studio è condotto nell’ambito della Flagship Grafene, l’iniziativa europea che promuove la ricerca congiunta con l’obiettivo di trasferire il grafene dalla ricerca all’industria e nella società. “La natura multidisciplinare di questo studio”, commenta Paolo Samorì, “è stata possibile grazie al progetto europeo e al suo approccio collaborativo. Per eccellere nella ricerca interdisciplinare è necessario uno sforzo congiunto di molti gruppi con competenze eccellenti e complementari, e la Flagship Grafene è la piattaforma ideale perché questo accada”.
“La Flagship Grafene dedica molta ricerca alla combinazione di grafene e altri materiali per creare nuove strutture ibride”, commenta Andrea Ferrari del Graphene Center di Cambridge. “Questo studio è la dimostrazione concreta di tale interessante concetto e dell’interdisciplinarità della ricerca: chimica, fisica, ingegneria, scienza fondamentale e ottica, si riuniscono grazie alla Flagship Grafene per sviluppare nuovi concetti di dispositivi”.