E’ partita la missione InSight della Nasa diretta verso Marte: il lancio è avvenuto puntualmente per la prima volta dalla costa occidentale degli Stati Uniti, dalla base californiana di Vandenberg.
Nonostante le condizioni meteo non ottimali, che per l’ora del lancio indicavano nebbia e scarsa visibilità, il razzo Atlas 5 è partito. Non appena rilasciata sull’orbita stabilita, la sonda comincerà il suo lungo viaggio, che prevede l’arrivo a Marte il 26 novembre 2018, nella regione vulcanica chiamata Elysium Planitia.
InSight (Interior Exploration using Seismic Investigations, Geodesy and Heat Transport) ha il compito di esplorare le profondità del pianeta rosso per capire come si sono formati i pianeti rocciosi, incluse la Terra e la sua Luna. I suoi strumenti includono un sismometro per rilevare i terremoti marziani e una sonda per monitorare il flusso di calore proveniente dall’interno del pianeta.
A bordo anche un po’ di Italia e non poco rilevante. Si tratta dello strumento LaRRI sviluppato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare con il supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana. Lo strumento (INRRI) già a bordo della sonda ExoMars lanciata nel 2016, ha, come, obiettivo mappare il Sistema Solare.
Come spiega il PI dell‘esperimento Simone dell’Agnello: “Inviando da terra un fascio laser verso i satelliti LAGEOS (LAser GEOdynamics Satellite) possiamo definire il centro di massa del nostro pianeta. Questi satelliti sono essenzialmente delle vere e proprie sfere di metallo la cui superficie è ricoperta di riflettori, e sono posizionati in un’orbita circolare intorno alla Terra. La diversità nei microriflettori di nuova generazione come LaRRI sta nel fatto che essi vengono installati su superfici planetarie lontane. Su Marte, ad esempio, non è praticabile una misura diretta da Terra con i laser perché il tragitto massimo di andata e ritorno che può percorrere un laser è la distanza Terra-Luna. Su Marte l’idea è quella di misurare la posizione di LaRRI sulla superficie del pianeta con una stazione laser che si trova in orbita, un processo inverso rispetto a quello che stiamo facendo con i satelliti. In questo modo le distanze di tracciamento laser si riducono rispetto a quelle su cui stiamo lavorando attualmente, perciò si possono costruire riflettori laser di dimensioni molto più compatte, microriflettori, rispettando le norme di peso e dimensioni imposte per le missioni spaziali. Inoltre, minore è la massa più compatto è il dispositivo e più semplice sarà portarne più di uno sul corpo celeste, così da poter costruire una rete di strumenti distanziati il più possibile l’uno dall’altro coprendo bene la superficie del pianeta”.