Si è tenuto a Sofia, in Bulgaria, il 21esimo congresso europeo sull’Obesità ECO2014. I responsabili delle politiche e del settore della salute pubblica, insieme a numerosi professionisti del settore sanitario hanno cercato di individuare ed illustrare le strategie più idonee per dare un colpo netto a tutti quei comportamenti malsani, in primis quelli alimentari, che insieme alle influenze ambientali, conducono facilmente all’obesità, accesso “privilegiato” per tutta una serie di patologie.
L’obesità è infatti una delle cause più rilevanti di malattie cardiovascolari, diabete e alcuni tumori; rappresenta dunque un costo prima umano, poi sociale gravoso per i paesi OCSE. In Europa, negli ultimi decenni i livelli di obesità hanno subito un incremento notevole, aumento che si è tradotto anche in termini di un grosso onere per i sistemi sanitari, soprattutto a causa dello sviluppo di malattie croniche. Negli ultimi 6 anni, dunque parallelamente al boom della crisi finanziaria, abbiamo assistito ad una diffusione capillare ed esponenziale di obesità e sovrappeso tra i 34 membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico. Il 20% dei bambini ed oltre il 50% della popolazione adulta dei paesi dell’OCSE risulta mediamente sovrappeso: nello specifico sono persone che hanno un BMI o IMC (indice di massa corporea) tra 25 e 30, indice che supera invece 30 in caso di obesità. L’IMC è stato studiato per valutare i rischi correlati al sovrappeso e all’obesità in soggetti adulti (18-65 anni): il sito del ministero della salute offre la possibilità di calcolarlo qui.
Fino a trenta anni fa, tra gli stati OCSE, solo un adulto su 10 era obeso. Oggi il trend è raddoppiato. Nel 1990 c’è stata una crescita rapidissima, poi la situazione si è stabilizzata ed i tassi di obesità non sono aumentati in paesi come l’Italia ed il Regno Unito. Altrove tuttavia i tassi si sono impennati annualmente del 2-3%. Giovanni D’Agata, presidente dello Sportello dei Diritti, ha fatto però notare che il picco della crisi economica in Italia c’è stato nel 2012/2013 quindi è necessario verificare i “dati obesità” alla luce di questo “ritardo”.
L’avvento della crisi economica ed il suo progressivo inasprirsi ha generato nel contempo un abbassamento delle spese alimentari (in Inghilterra del 9% nel biennio 2008/2009) ed un incremento dei consumi di prodotti low cost, soprattutto dello junk food, il famigerato cibo spazzatura, che risaputamente contiene molte calorie. La spesa in linea generica è diminuita, ma le calorie sono aumentate: c’è una tendenza diffusa a scegliere prodotti più economici, ricchi di grassi e di zuccheri di bassa qualità.
La crisi ha prodotto e continua a produrre disoccupazione: si è costretti nostro malgrado a stare più in casa e conseguentemente a mangiare di più, anche per un atteggiamento di autocompensazione, in mancanza di qualcosa che gratifichi in maniera più costruttiva. La perdita per certi punti di vista della cultura dell’alimentazione ‘tradizionale’, rimpiazzata da un’incontrollata assunzione di calorie, si fa specchio della crisi economica che è ancor prima crisi dell’Io.