Il termine “infibulazione” deriva dalla parola latina “fibula” che indica la spilla utilizzata dai Romani per assicurare le vesti alla vita e alle spalle. Consiste nella sutura delle labbra vaginali, talvolta accompagnata dall’asportazione della clitoride, al fine di preservare la purezza e l’illibatezza nella donna.
La pratica trova applicazione nelle società di stampo patriarcale nelle quali la credenza è così radicata che porta le stesse donne della società a praticare e ritenere giusta l’infibulazione, per evitare che la “vergogna” si annidi nelle loro case. Una donna non infibulata non è considerata pura, può avere difficoltà nel trovare marito e, in alcuni casi, addirittura essere posta ai margini della società stessa.
I paesi che registrano il tasso più alto di infibulazione sono la Somalia che si è guadagnata il titolo di “Paese dalle donne cucite” ed il Sudan con una percentuale del 98%, seguiti da Sierra Leone e Gibuti (90%) Gambia e Liberia (60%). La mutilazione viene praticata dalle stesse donne, spesso una levatrice, con mezzi di fortuna e senza praticare alcuna anestesia. Il cerimoniale prevede che la bambina sia tenuta ferma da altre donne fra cui la madre, i canti coprono talvolta le urla della vittima sulla quale si opera. Una volta ultimata la pratica, alla bambina sono legate le gambe al fine di favorire la naturale cicatrizzazione della ferita, che in pochi casi è favorita da elementi naturali come impacchi di succo di limone.
La donna infibulata è considerata casta ed una volta contratto matrimonio, spetterà alla famiglia di suo marito il controllo sulla corretta sutura ed al marito stesso il compito della defibulazione per la consumazione del matrimonio. Tutto ciò depaupera la donna della sua sessualità e rende, non solo, il rapporto sessuale difficoltoso e doloroso ma soprattutto il parto che si presenta oltremodo complicato per il feto a causa dell’abbondante presenza di tessuto cicatriziale poco elastico.
Valori patriarcali di una società che afferma l’assoluto controllo degli uomini sulle donne e sui propri istinti sessuali raggiungono livelli tali da consentire alle donne di pensare che sia giusto così, al punto di sacrificare le proprie figlie volontariamente. In Egitto, la pratica è stata recentemente messa al bando dalla legge, tuttavia la credenza popolare e la tradizione non riescono a far a meno di praticare l’abominio anche contro la legge. Un uomo non può pensare di contrarre matrimonio con una donna non infibulata, poco importa se la donna non desidera il marito o non provi piacere nell’unione, l’importante è che sia materialmente casta.
L’opinione pubblica è molto sensibile in merito tanto che nel 2012 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha messo al bando universale tutte le mutilazioni genitali femminili chiedendo agli Stati l’adeguamento del proprio diritto interno, tuttavia, anche se il diritto fa la sua parte, come si è detto la tradizione e la credenza popolare continua a vincere. Contro ogni aspettativa alcune stime ci dicono che anche in Italia ci sono donne infibulate, il numero è di circa 40 mila, hanno subito l’infibulazione nei propri paesi di origine e continuano a mandare le proprie figlie, nipoti e parenti, nei loro paesi per cucirle, il che comporta non pochi rischi.
Abbiamo ritenuto opportuno, a questo punto, ascoltare il parere di un ginecologo sull’argomento.
Cosa ne pensa dell’infibulazione?
Come medico, posso dirle che ogni mutilazione di parti anatomiche è un qualcosa contro natura, ogni parte del nostro corpo ha una specifica funzione e sta lì per svolgere il suo compito. A meno che non sia necessario per la vita del paziente sarebbe opportuno evitare. Come “ non medico” penso che l’infibulazione sia un abominio, scevro da ogni fondamento religioso, una violenza gratuita che, oltre a privare la donna della sua sessualità, la condanna ad una vita difficile in termini fisici. Pensi al dolore durante i rapporti sessuali o alla corretta espulsione dell’urina e del ciclo mestruale e non voglio pronunciarmi relativamente alle ripercussioni psicologiche che possono derivare da una pratica del genere.
Cosa può comportare a livello medico questa pratica?
I rischi si presentano già da subito. La chiamiamo pratica ma in realtà è un vero e proprio intervento chirurgico che può comportare conseguenze anche molto importanti. Se si pratica un intervento con mezzi di fortuna o ancor peggio utensili trovati in casa senza alcuna sterilizzazione, il paziente è esposto a notevoli rischi di contrarre infezioni. Una ferita, inoltre, va sterilizzata, disinfettata con gli adeguati strumenti e suturata in modo pulito. Un’errata pulitura può comportare il rischio di epatiti. Le conseguenze di una pratica del genere, se la donna sopravvive mi permetto di aggiungere, possono essere notevoli. La corretta espulsione del ciclo mestruale, del muco vaginale e della stessa urina non è assicurata correttamente, da questo possono scaturire infezioni all’utero e cistiti. La pratica, inoltre, mette a repentaglio non soltanto la vita della donna ma anche dei suoi futuri figli. Durante il parto il tessuto cicatriziale può rappresentare un ostacolo per l’espulsione del feto poiché si presenta poco elastico e sappiamo che i tempi in un parto sono la chiave di volta.
Secondo lei, come si può sensibilizzare la popolazione per debellare la pratica?
Attraverso l’informazione, la consapevolezza dei rischi potrebbe effettivamente giocare un buon ruolo. Già si è posto un divieto legale nel 2012 ma bisogna agire sulle coscienze, creando consapevolezza. Non certo proponendo delle alternative come capitato nel 2004. Un medico proponeva una infibulazione alternativa e controllata. Questo per ridurre i rischi sanitari, tuttavia è inaccettabile continuare a non rispettare queste donne ed è altrettanto inaccettabile che le stesse donne siano così convinte, per questo ribadisco, bisogna agire sulle coscienze.