Arriva anche quest’anno lapidario il “Democracy Index 2016” o per dirlo all’italiana l’”Indice mondiale della democrazia 2016” stilato dal gruppo britannico The Economist che esamina lo stato della democrazia in 167 paesi.
Questa graduatoria viene realizzata ogni anno dall’Economist Intelligence Unit Index of Democracy sulla base di cinque categorie generali: processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzione del governo, partecipazione politica e partecipazione culturale.
Le nazioni sono divise in quattro categorie: “Democrazie complete”, “Democrazie imperfette”, “Regimi Ibridi” e “Regimi autoritari”. E per l’Italia le cifre indicano una bocciatura rispetto al resto dei paesi dell’Europa centrale. Il 21° posto su base globale, dopo Spagna, Mauritius, Uruguay, Giappone e a pari merito con gli Stati Uniti, conferma che siamo ancora una “democrazia imperfetta” al pari per l’appunto degli USA che lo erano già prima dell’elezione di Donald Trump.
Questa è una delle sorprese: Donald Trump non ha (ancora) nessuna colpa per l’abbassamento dell’indice della democrazia negli Stati Uniti. Le cause sono piuttosto da ricercare nella sfiducia nell’establishement, ossia le stesse ragioni che hanno favorito l’elezione del nuovo presidente americano.I dati che emergono dall’importante analisi invitano a far riflettere a partire dalla percentuale della popolazione mondiale che vive in una democrazia a titolo completo: meno del 5%.
Sui 19 paesi classificati in questa categoria, 14 sono in Europa e – ironia della sorte – sette sono monarchie. Non sorprende che i primi tre e il quinto sono nordici (rispettivamente Norvegia, Islanda, Svezia, Danimarca).
Al quarto posto si classifica la Nuova Zelanda, una delle cinque democrazie modello non europee, insieme a Canada, Australia, Mauritius e Uruguay.La categoria inferiore, delle cosiddette “democrazie imperfette”, conta 57 paesi, la maggior parte dei quali in Asia, America latina, Europa dell’est e Africa, ma anche Francia, Italia, Portogallo, Belgio, Giappone e – una novità della classifica 2016 – gli Stati Uniti. I decreti liberticidi del neoletto presidente americano, almeno per ora, non c’entrano per nulla. Secondo quanto scrive The Economist, “è piuttosto un effetto delle stesse cause che hanno portato Trump alla Casa Bianca: una continua erosione della fiducia nel governo e negli eletti in generale”.
Un’erosione che gli analisti del gruppo britannico osservano in molti altri paesi, soprattutto nell’Europa dell’est e in America latina, con l’ascesa dei populismi. Rispetto alla classifica 2015, l’indice di democrazia di 70 paesi è retrocesso, mentre quello di 38 paesi è progredito.
E al solito (l’indice è stato aggiornato sette volte dal 2006), i paesi con regimi “ibridi” o “autoritari” sono la maggioranza: 91 su 167. Fanalino di coda rimane la “Repubblica popolare democratica di Corea” (del Nord) di Kim Jong-un. Venendo all’Italia, il peggior punteggio, 6.43, riguarda la “funzione del governo” che ci pone al 47° posto mondiale, al di sotto di paesi come Capo Verde, Botswana, Timor Est, Trinidad e Tobago e Sri Lanka, mentre non se la passano meglio l’indice di “partecipazione politica” (7.22, 25° posto), quello di “partecipazione culturale” (8.13, 18° posto), e le “libertà civili”, (8.53, 40° posto). Il dato che riguarda la democrazia nel processo elettorale e il pluralismo segna un punteggio alto, 9.58, ma che ci pone comunque al 32° posto della speciale classifica.