La ventata di ottimismo che sta contagiando un po’ tutti dopo la diffusione dei dati, incoraggianti, sull’andamento dell’economia agricola meridionale richiede una lettura approfondita che non può prescindere da alcune riflessioni sui singoli comparti produttivi.
Se da un lato la crescita del 3,7% del valore aggiunto rappresenta un segnale positivo che testimonia la dinamicità del settore agricolo e certifica gli sforzi quotidiani delle imprese, dall’altro lato non si può ignorare che a tale crescita non sia seguito un adeguato trasferimento reddituale per gli imprenditori.
Ad oggi infatti sono ancora molte le produzioni simbolo dell’agricoltura del Mezzogiorno che vivono uno stato di grande difficoltà. Se si guarda ad esempio ai prezzi pagati agli agricoltori, le ultime quotazioni indicano un calo generale del 4,6%. Una contrazione che supera i 15 punti percentuali per la frutta e il 30% per l’olio d’oliva, settore particolarmente penalizzato dalla mancata gestione dell’emergenza Xylella.
Poi ci sono i problemi nel settore cerealicolo, con le quotazioni crollate del 30% e, in alcune piazze nevralgiche del meridione, addirittura dimezzate. Senza dimenticare le difficoltà che hanno caratterizzato l’ultima campagna agrumicola e i problemi su alcuni ortaggi come i pomodori.
Non trascurabile neanche la crisi strutturale che, secondo i dati delle Camere di Commercio, ha visto la chiusura nel primo trimestre 2016 di oltre 6.200 aziende agricole al Sud, pari al 40% delle cessioni avvenute su tutto il territorio nazionale.
Anche sul fronte internazionale resta la partita aperta con la Russia e si apre la questione Regno Unito. E’ proprio di queste ore la notizia della proroga dell’embargo alle esportazioni europee fino al 2017 che, unita alle incertezze commerciali dopo la Brexit, rischiano di compromettere il quadro e i risultati ottenuti con il lavoro delle imprese.