Dialoghi che raccontano storie
“Il venditore di pensieri altrui” di Paolo Massimo Rossi edito da Elison Publishing è una storia di battute e chiacchiere, chiacchiere da bar appunto, che l’autore ci ripropone attraverso il suo protagonista, Eulogio Roè.
Siamo in Romagna, regione in cui le chiacchiere al bar sono una vera e propria tradizione. In “Il venditore di pensieri altrui” di Paolo Massimo Rossi si discute di politica, di calcio e ci si prende in giro. In un susseguirsi serrato di dialoghi, le chiacchiere portano piano piano il lettore all’approfondimento e all’analisi personale, come accade ai personaggi del romanzo.
Attraverso le chiacchiere, infatti, si affrontano non solo argomenti leggeri, ma anche temi universali. E’ il caso, ad esempio, l’amore e il dolore su cui si confrontano i vari amici e il protagonista.
Roè ha fatto fiere e mercati in giro per le piccole città della Romagna fino a quando, grazie a un’eredità, inizia a vendere libri usati. Nel tempo poi, diventa uno scrittore di romanzi. Roè è un venditore di pensieri, quelli con cui cerca di soddisfare le richieste di chi vorrebbe conoscere qualcosa del proprio futuro o avere consigli per cambiare la propria vita. I rapporti e le parole scambiate con le persone con cui è stato a contatto, per quanto superficiali, gli permettono di inventare una personale scrittura che diventa una sorta di palinsesto sul quale costruire le storie che scrive.
Nel corso della sua evoluzione intellettuale e lavorativa, conosce personaggi dalla personalità originale e spesso anticonformista, caratteristiche pensioni per studenti, aspiranti bohémiens, ma anche donne con le quali sembra poter iniziare rapporti sentimentali che non arrivano a concretizzarsi. Il tutto percorrendo di notte le strade della città di Bologna, frequentando i suoi bar e le piccole osterie aperte sino a tarda ora.
In questa intervista l’autore, Paolo Massimo Rossi, ci ha raccontato qualche dettaglio in più sul suo romanzo, che certamente troverete interessanti.
“Il venditore di pensieri altrui” di Paolo Massimo Rossi
In Il venditore di pensieri altrui lei ha scelto il bar come luogo storico di aggregazione per raccontare le riflessioni e le storie intime di alcuni personaggi. C’è stato un evento o un fatto che l’ha spinta a scegliere questo tipo di ambientazione?
Un banchetto in un bar a Parigi dove un nouveau philosophe vendeva (in cambio di un bicchiere di vino o di un mezzo pasto), i pensieri di filosofi del passato. Ma anche il desiderio di rivisitare quella specie di icona letteraria che è costituita dall’ambiente del bar che, soprattutto in Romagna, è una vecchia tradizione. La gente si incontra, parla, ironizza, discute di calcio e politica, di donne e di storie inventate e solo apparentemente vere.
Lo schema narrativo è rappresentato dalle battute, dalle chiacchiere che spesso sono anche prive di senso, ma sono appunto chiacchiere da bar. Chiacchiere che offrono a chi scrive la possibilità di una narrazione che pur labile e inconsistente, lascia spazio all’analisi dell’interiorità, all’approfondimento dell’io, alla ricerca psicologica. In altri termini, e parafrasando il critico Norman Forster, l’ambiente permette di raccontare una storia. Quella che il protagonista, in un momento di minimalismo nostalgico, preventivamente confessa: “un giorno scriverò che andavamo in inverno al bar Ideal bar per restare caldi e bene e per bagnare le labbra e la pancia.”
Incuriosiamo i lettori con qualche informazione in più sul protagonista, Eulogio Roè. Le piace? È un “eroe” positivo?
Eulogio Roè non è un personaggio positivo nel senso iconico che il termine possiede in una visione in fondo romantico/ottocentesca del romanzare. Nel suo essere eroe-non eroe, lascia largo, e in qualche modo troppo, spazio all’analisi dell’io e alla ricerca psicologica per rappresentare un ideale o un modello didascalico di dirittura umana e morale. Roè si concede alla possibilità di fuggire una trama, preferendo accettare che siano permessi, e dovutamente da accettare, l’approfondimento degli stati d’animo, delle emozioni e delle riflessioni sulla sua vita. Dunque, come autore, amo Roè per il suo essere disposto a farsi analizzare tra le righe come spettatore/interprete della vita, con un atteggiamento finalmente positivo nei confronti della conoscenza. Senza mai debordare nell’arroganza e nella presupponenza e di una qualche superiorità morale della propria visione del mondo, Roè è un personaggio positivo in senso epistemologico e non ideale.
Tra tutti i personaggi che popolano il suo romanzo, ce n’è uno che proprio non le va giù? E se sì perché?
Onestamente, non ci sono personaggi che non mi vadano giù. Credo che sia così per tutti gli scrittori. E come loro, posso rendere accettabile, amabile, odioso ogni personaggio. Ma è un gioco letterario tra me e ogni possibile lettore. Come, d’altra parte accade per le atmosfere descritte nel romanzo: anche se le stesse sono rese in modo da apparire sgradevoli, non è a me che devono risultare tali, ma a chi legge. E, se riesco a suscitare questa reazione, vuol dire che la descrizione ha ottenuto lo scopo che mi prefiggevo: dunque non c’è motivo per cui non debbano andarmi giù.
Come mai nelle sue storie ha scelto punti di vista diversi? A volte si rivolge al lettore in prima persona e altre volte in terza.
Nei miei romanzi, è una modalità usata solo nel Venditore di pensieri altrui.
In esso, è possibile rintracciare, attraverso caratteristiche di scrittura diverse, alcune modalità linguistico-narrative distinte e finalità letterarie diverse. Nella descrizione del mestiere che Eulogio Roè pratica nei mercatini e nelle fiere della Romagna, ho usato la terza persona, perché non c’è alcuna confessione intimistica da parte del protagonista. (Posizione extradiegetica onnisciente che si rivolge al lettore).
Nel racconto delle sere al bar, sono tornato, invece, alla prima persona, perché mi sono calato nei panni del protagonista che si confessa – pur col filtro dell’ironia – e riceve dagli amici scherzose critiche e criptate confidenze. (Posizione intradiegetica: mi rivolgo ai personaggi). Nella terza parte sono tornato alla terza persona, (ancora extradiegesi a uso del lettore) perché dovevo parlare del tempo restante, quello in cui faccio sì che Roè si abbandoni alle riflessioni sulla sua vita.
Secondo lei un romanzo deve lanciare sempre un messaggio? Cosa può dirci in proposito di Il venditore di pensieri altrui?
Credo sia inevitabile che ogni romanzo possa lanciare un messaggio. Ma ogni epoca ha privilegiato modalità e filosofie diverse di comunicazione. L’idealismo ha ormai lasciato il posto a una accettazione della vita non finalizzata deterministicamente. Si può parlare della vita stessa con Weltanschauung diverse: in fondo con una maggiore libertà interpretativa. Per Roè la natura e il mondo non sono organizzati in vista di una o più finalità (che ne sarebbero quindi il principio esplicativo). Roè accetta, con qualche concessione all’indeterminazione, una sorta di fisicismo biologico contrapposto al finalismo. In altri termini si può parlare genericamente di stile e di ritmo narrativo che fanno aggio sui rimandi filosofici.
Lei ha scritto numerosi romanzi, poesie e racconti. Da quale di questi generi si sente maggiormente attratto, e perché?
Credo che, nella mia visione letteraria, la poesia rappresenti più un divertissement che un vero ambito da esplorare. Un divertissement che, in questa visione, potrebbe esistere solo nelle sue possibilità ritmiche, lontane, cioè, da qualsiasi enfasi sentimentale che, di solito, è accompagnata da atteggiamenti emotivamente finalizzati da cui, istintivamente, fuggo, pur ammettendo la possibilità di esserne stato coinvolto.
Il racconto e il romanzo, rappresentano invece una sfida in cui il ritmo può assumere un andamento poetico “senza versi”, che ha questo di caratteristico: può usare (e inventare) una sintassi essenziale fatta di cadenze prese dal linguaggio parlato, di cesure del periodo che deve riuscire ad alternare paratassi e ipotassi in funzione delle diverse fasi della narrazione. Non che tale modalità non sia possibile in poesia, dico solo che la sento lontano dalla mia ispirazione.