Nel 1999 l’ONU proclamava il 25 novembre giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Sceglieva proprio quella data perché il 25 novembre del 1960 nella Repubblica Dominicana erano state trucidate le tre sorelle Mirabal, attiviste dissenzienti contro la dittatura di Trujillo.
Sono passati 55 anni dall’assassinio Mirabal e 16 dalla risoluzione dell’ Onu. Non facciamo bilanci perché non è questa la sede ma invitiamo ciascuno a enumerare i casi di assassinio e violenza truce contro le donne di cui si ricorda. Basta fermare per qualche istante il pensiero su questi ricordi per avvertire potente l’urgenza di lanciare l’ennesimo grido di allarme. Le donne vittime di violenza sono una moltitudine.
Tanto è consistente questa crudele aberrazione sociale che abbiamo addirittura assistito al conio di un termine ad ‘hoc’: femminicidio. Una nuova parola, come scrive il linguista Rosario Coluccia, necessaria perché ‘indica l’assassinio legato a un atteggiamento culturale ributtante, di chi considera la moglie, la compagna, l’amica, la donna incontrata casualmente, non un essere umano di pari dignità e di pari diritti, ma un oggetto di cui si è proprietari; se la proprietà viene negata, se un altro maschio si avvicina all’oggetto che si ritiene proprio, scatta la violenza cieca‘.
Coluccia, acutamente, centra il cuore del problema parlando di ‘atteggiamento culturale ributtante‘ e indicandolo quale causa sociale scatenante la violenza contro le donne.
L’evidenza del ‘fattore culturale‘ è tale da costringerci a interrogarci criticamente e ad agire di conseguenza. Cosa possiamo fare, noi università, per contrastare quei disvalori che portano al massacro (fisico e morale) delle donne solo per il fatto di essere donne?
Possiamo combattere una buona, quotidiana, battaglia. Una battaglia fatta di pratiche e di concetti dignitosi e onorevoli volta a smantellare, sanzionandola duramente, la sopraffazione di genere.
E possiamo iniziare impedendo che la logorante retorica mass mediatica svuoti della loro forza le parole e i concetti da esse veicolati. Il 25 novembre non è una celebrazione qualsiasi. È l’urlo della vita che si alza tremendo e potente a piangere le vittime, a esecrare i colpevoli, a condannare senza appello i disvalori padri del femminicidio e, infine, a preparare le grida di vittoria che, alla fine, celebreremo.
Nelle cause sociali scatenanti la violenza contro le donne il fattore culturale pesa moltissimo. Questa evidenza interroga in modo particolare chi lavora e fa ricerca nell’Università. Il Comitato Unico di Garanzia dell’Ateneo fiorentino (CUG) ha scelto di celebrare la ricorrenza del 25 novembre – dichiarata dall‘ONU Giornata mondiale contro la violenza sulle donne – con un incontro di studio e di formazione intitolato: ‘Il vaccino della ricerca: cultura vs violenza’.
I lavori saranno aperti dal rettore Luigi Dei e dal saluto della presidentessa del CUG Laura Leonardi. Isabella Gagliardi terrà l’introduzione alla giornata.
A seguire gli interventi di Tiziana Bartalucci, Maria Adele Signorini, Dinora Corsi, Gabriella Piccinni, Franco Franceschi, in vari modi dedicati a esemplificare il contributo della ricerca scientifica e della conoscenza come contrasto alla violenza.
Nella seconda parte della mattina, l’attenzione si concentrerà sui diritti delle donne (Lara Lazzeroni) e sulle attività di un centro antiviolenza come Artemisia (Ilaria Bagnoli).
L’incontro si conclude con un reading dedicato a ‘Artemisia, una pittora allo specchio’, a cura della Compagnia teatrale universitaria Binario di Scambio diretta da Teresa Megale.
Il Comitato Unico di Garanzia dell’Ateneo fiorentino con questa iniziativa aderisce alla Campagna UniTE to End ViolenceAgainstWomen delle Nazioni Unite.