L’espressione napoletana “Ciuccio di Fichella” indica una persona malaticcia, che si lamenta continuamente dei propri malanni e diventa un peso per chi le sta intorno. Il detto nasce da un asino, appartenente a un uomo chiamato Fechella, noto per essere malridotto, con la schiena piagata e la coda marcita, ma comunque costretto a lavorare.
Origini storiche
Fechella, il cui vero nome era Domenico Ascione, era un uomo originario di Torre del Greco. Tra il 1928 e il 1930, utilizzava un vecchio asino per trasportare merci nella zona orientale di Napoli, precisamente nel Rione Luzzatti. Nonostante l’animale fosse malconcio, continuava a lavorare senza mai lamentarsi. Questa storia divenne metafora di coloro che, a differenza dell’asino, si lamentano continuamente per i propri acciacchi, pur non svolgendo compiti gravosi.
Collegamento al calcio Napoli
L’associazione tra il detto e la squadra del Napoli ha una curiosa origine. Nel 1927, durante una stagione calcistica deludente, un tifoso esasperato comparò la squadra a quel ciuccio malato, definendola “‘o ciuccio ‘e Fechella” per le sue continue difficoltà. La battuta fece il giro della città e la figura del ciuccio divenne un simbolo per il Napoli, tanto che l’immagine di un asinello malridotto sostituì il cavallino rampante, all’epoca mascotte ufficiale del club.
L’evoluzione dell’espressione “Ciuccio di Fichella”
Nel corso degli anni, l’espressione ha mantenuto la sua connotazione ironica e viene ancora oggi utilizzata per indicare persone che sembrano sempre afflitte da problemi fisici o che esagerano nelle loro lamentele, pur non svolgendo compiti particolarmente pesanti. Grazie alla sua lunga storia, il detto “Ciuccio di Fichella” è diventato parte integrante del folklore napoletano e rappresenta un esempio perfetto dell’umorismo e del pragmatismo tipico della cultura partenopea.
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