Italia via dall’Europa. Schiavi di Bruxelles, altro che di Roma, come intona l’inno nazionale. Cresce il disagio sociale e la rabbia di famiglie che attendono inermi che venga raggiunto quell’accordo sindacale o che vengano sbloccati quei fondi regionali. In più ci si mette anche Bruxelles, che con alcuni regolamenti non fa altro che affossare ancor di più delle realtà che, seppur piccole, contribuivano al benessere e alla competitività dell’azienda Italia.
Sotto accusa le direttive Ue che colpiscono il cuore della pesca. Il Regolamento CE n. 1005/2008 e successivamente i nuovi Regolamenti europei 1224/2009 e 404/2011, prevedono, infatti, un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca. L’intento è stato quello di colpire la pesca illegale e rendere tracciabile il prodotto ittico, tutelando anche i consumatori. Peccato però che gli adempimenti burocratici, le sanzioni e le restrizioni siano state (complice anche il Governo)tali da mettere in ginocchio l’economia del mare nostrum. In molti si sono mobilitati, come recentemente i pescatori di S.Antioco, Calasetta e S.Anna Arresi in Sardegna.
Le misure più invise? Quella di registrare i nomi scientifici del pescato con tanto di nomi in latino e soprattutto quella di rischiare fino a 4000 euro di sanzione per la pesca di un tonno rosso fuori stagione. Bruxelles ha infatti limitato la pesca del tonno a solo un mese l’anno. Il bello è che una volta pescato non si potrebbe nè rigettare in mare nè sbarcare lo sventurato esemplare.
Già perchè la specie è in via d’estinzione. Tutti d’accordo. Tuttavia il decreto ministeriale n. 8447 del 17 aprile 2013 ha dato vita, sulla scia di quanto deciso dall’alto, una regolamentazione particolarmente rigida, mutando radicalmente la normativa in materia di pesca e acquicoltura. In sintesi “i limiti per la pesca del tonno rosso impongono un massimo di 7 quintali e mezzo” e nel 2013 “per ogni tonno pescato sussisteva l’obbligo di pescare un altro quintale di pesci”; inoltre ”le unità non autorizzate alla pesca del tonno rosso possono effettuare catture accessorie entro e non oltre il limite del 5 per cento del totale delle catture”.
È quanto si apprende da un’interrogazione parlamentare, la n.1126/A del maggio 2013 già presentata illo tempore dal Consiglio Regionale della Sardegna. Già si ha un’idea della complessità del fenomeno, visto che interessa anche Calabria e Sicilia. Qui, ad esempio, alcune aziende di trasformazione si trovano in serie difficoltà, visto che sono costrette ad acquistare grosse partite di sarde e acciughe, prede preferite dei tonni, provenienti da Spagna e Francia, con un considerevole aumento dei costi. La delocalizzazione è ormai di moda in Tunisia, Algeria e Marocco per il semplice motivo che in questi Paesi non vi sono restrizioni burocratiche e si pesca e rivende sul mercato forfetariamente.
Una volta il Giappone pagava a peso d’oro i nostri tonni. Oggi quello che è tra i primi Paesi importatori della specie preferisce Malta e Tunisi a noi. È la protesta corale di tutte le associazioni di categoria, dall’Agci al settore agro ittico alimentare che denunciano la severità di norme che annegano il potenziale del Mediterraneo e con esso quello di un intero settore, quello della pesca, che è già in crisi e che rischia la scomparsa.