Pulizia fai da te: piccoli gruppi familiari, in coppia o in solitaria: la formula proposta dal WWF per chi voglia rendere più belle e pulite le nostre spiagge questa estate è il Self Tour Plastic Free nata nell’ambito della Campagna GenerAzioneMare.
Self Tour Plastic Free: l’iniziativa
L’iniziativa è dedicata a tutti coloro che desiderano impegnarsi anche per poco tempo mentre si trascorre una giornata al mare e ha delle grandi potenzialità sull’ambiente: come le gocce del mare, tante pulizie realizzate in modo capillare sono in grado di restituire bellezza e naturalità alle nostre amate sponde.
Se il rischio Covid scoraggia eventi di gruppo (sebbene alcune pulizie di litorali siano fatte da volontari nel rispetto delle norme di sicurezza), il Self Tour diventa un modo semplice ma efficace adatto a tutti. Ci si potrà concentrare, ad esempio, su quei piccoli frammenti di plastica, quasi invisibili tra la sabbia o i ciottoli, oppure scovare rifiuti in angoli nascosti, magari raggiunti in canoa o in pedalò.
Per lanciare la nuova iniziativa il WWF attiverà tutti i canali social: innanzitutto si inaugura una nuova community “Con WWF per un Mondo Plastic Free” sul canale Facebook grazie alla quale è possibile condividere informazioni e esperienze che a fine estate il WWF raccoglierà in un grande Album collettivo di immagini delle singole iniziative ‘selfie’. Tra gli ‘strumenti’ c’è uno speciale vademecum “Plastic Take Away” (clip video e poster) promosso su tutti i canali social per realizzare una pulizia in piena regola che, una volta realizzata, si potrà condividere utilizzando un nuovo filtro Instagram “Plastic Take Away” creato dal WWF. Il Self Tour Plastic Free verrà proposto anche agli ospiti di tutti i lidi aderenti alla circuito Lidi Amici dei Parchi, promosso da WWF Italia e FIBA Confesercenti: i poster saranno esposti all’ingresso inviteranno i bagnanti a creare il proprio momento dedicato all’ambiente.
DANNI PER AMBIENTE E SALUTE: ‘A BORDO’ DEI RIFIUTI PLASTICI VIAGGIANO CONTAMINANTI, VIRUS E BATTERI
Insieme al lancio del Self Tour Plastic Free, il WWF prosegue con un’altra puntata del Report “Plastica, una storia infinita” lanciata a inizio Campagna che questa volta punta l’attenzione proprio sulle micro e nano plastiche, presenti in enormi quantità nei mari e oceani di tutto il mondo e che nell’acqua diventano vere e proprie “spugne” di inquinanti che poi trasportano nel nostro corpo come negli animali.
Oltre a tutte le sostanze usate nella loro produzione (dai plastificanti agli additivi che vengono usualmente utilizzati e già noti per avere effetti negativi sulla salute, come il bisfenolo-A o altri appartenenti alla famiglia degli ftalati), le microplastiche sono anche “appiccicose” e possono accumulare anche metalli pesanti, come il mercurio, e inquinanti organici persistenti (POP, dall’inglese persistent organic pollutants), tra cuipesticidi, ritardanti di fiamma bromurati e idrocarburi policiclici aromatici . Il 78% delle sostanze chimiche elencate come inquinanti prioritari da parte del EPA (Environmental Protection Agency) statunitense è associato ai rifiuti plastici marini.
Le microplastiche sono in grado di concentrare i contaminanti in esse presenti sino a 1 milione di volte la concentrazione presente nell’acqua. I dati disponibili indicano che il rilascio di alcuni comuni contaminanti dalle microplastiche è più veloce in presenza di succhi gastrici, specialmente in specie acquatiche a sangue caldo e quindi il rilascio in ambiente gastrointestinale risulta sino a 30 volte maggiore di quello riscontrato nelle acque marine, con conseguente accumulo nei tessuti adiposi.
Tali contaminanti, una volta entrati nell’organismo, possono interferire con importanti processi biologici, causando danni epatici o alterando il sistema endocrino. Effetti già osservati negli animali selvatici riguardano disfunzione tiroidea, ridotta fertilità, insuccesso nella schiusa delle uova, anomalie metaboliche, demascolinizzazione e compromissione del sistema immunitario.
EFFETTI SULLA SALUTE
La plastica non è un materiale intrinsecamente “cattivo”, è un’invenzione che ha cambiato il mondo, rivoluzionando i campi più diversi. La produzione e lo sviluppo di migliaia di nuovi prodotti in plastica hanno avuto un’accelerazione dopo la Seconda guerra mondiale, trasformando l’età moderna in modo così profondo che, oggi, la vita senza plastica sarebbe irriconoscibile. Cuciniamo nella plastica, indossiamo plastica, dormiamo su materassi di plastica, voliamo con aerei di plastica, guidiamo macchine di plastica, comunichiamo attraverso la plastica (reti, cavi, computer, telefoni), vediamo attraverso lenti di plastica e persino parti anatomiche del nostro corpo possono essere sostituite da protesi di plastica. La plastica è diventata “cattiva” per il modo in cui industrie e governi l’hanno gestita e perché ha stravolto i sistemi di consumo delle nostre società, acquisendo con l’usa e getta il primato della comodità. Questo ha trasformato la plastica nel disastro ambientale planetario che oggi conosciamo.
E così la plastica e i suoi additivi e contaminanti non sono più solo intorno a noi, ma anche dentro di noi – presenti nel nostro sangue e nelle urine, e perfino nel liquido amniotico e latte materno, in quantità misurabili. Per molto tempo l’impatto della plastica sulla salute non ha sollevato particolari preoccupazioni. La plastica, infatti, era considerata un materiale inerte. Ma oggi sappiamo che nonostante ci sia ancora molto da chiarire su tutti i possibili impatti generati dalla plastica sulla salute umana, i rischi sono evidenti. Trasporta contaminanti con effetti sul sistema endocrino. Un aspetto tipico che caratterizza gli interferenti endocrini è che provocano effetti anche a basse, bassissime dosi, in parti per 1.000.000.000.000: praticamente una goccia rilasciata nell’acqua di 20 piscine olimpioniche può avere effetti sugli organismi. Queste sostanze peraltro hanno effetti più marcati a seconda del periodo della vita in cui l’organismo è esposto, ad esempio nei periodi critici in cui il sistema endocrino svolge ruolo chiave come la gravidanza, lo sviluppo, l’accrescimento. Inoltre esiste l’esposizione della popolazione a varie sostanze chimiche il cui effetto cocktail è ancora poco noto. Può infatti accadere che diverse sostanze chimiche reagiscano tra loro e diano origine a effetti sinergici e additivi in grado di modificare la pericolosità dei singoli componenti.
LA MELA ‘STREGATA’ DALLA PLASTICA
Si conosce poco sull’invasione silenziosa delle plastiche: nei dati rilasciati lo scorso anno dal WWF, si valutava che ingeriamo microplastiche per l’equivalente in peso di un carta di credito (5 grammi) alla settimana. Ma con le nuove ricerche si apprende che la plastica che ingeriamo potrebbe essere molta di più se si considerano le nuove fonti e le particelle più piccole. Per anni abbiamo pensato che la principale fonte di microplastiche per il nostro organismo fossero gli alimenti che provenivano dal mare, ma due nuovissimi studi dimostrano che la colpa è anche dei vegetali, frutta e ortaggi, perché le microplastiche entrano persino dalle radici delle piante. Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Nanotechnology[1] ha fornito le prime prove scientifiche che le nanoplastiche (ovvero frammenti di plastica di dimensioni comprese tra 0,001 e 0,1 micrometri) vengano assorbite dalle piante terrestri, inibendone la crescita. Lo studio dimostra come la plastica danneggi anche gli ambienti terresti, in particolare i terreni agricoli e come la presenza di plastica possa determinare una perdita di biomassa nelle piante che potrebbe compromettere sia la resa sia il valore nutrizionale delle piante con conseguenze per l’agricoltura e la sicurezza alimentare.
Un altro studio italiano pubblicato Environmental Research[2] a giugno 2020 ha rilevato e quantificato per la prima volta la presenza di micro e nanoplastiche (sotto i 10 micron) nella parte edibile di alcuni dei frutti e delle verdure più consumate in Italia, tra cui mele e pere, patate, carote, lattuga e broccoli.
Tra le plastiche più presenti rinvenute dentro i vegetali analizzati, ci sono il polietilene e il polistirolo che sono i materiali più usati in agricoltura, nelle serre, per le pacciamature, o nei vivai.
Tra gli ortaggi e la frutta analizzati, le mele sono quelle che ne assorbono la quantità maggiore. Per ogni grammo di frutta ci sono 3 microgrammi di plastica. Tra gli ortaggi le carote sono le più contaminate e la lattuga, per contro, è quella che presenta meno microplastiche: 0,7 microgrammi per ogni grammo di prodotto. La lattuga però presenta le particelle di dimensioni maggiori (2,52 micron) mentre le più piccole sono state rinvenute nelle carote (1,51 micron) assorbite presumibilmente dai peli radicali attorno alla radice centrale, che possono aver favorito l’accesso alle plastiche di dimensioni più piccole.
VIRUS E BATTERI VIAGGIATORI A BORDO DELLA PLASTICA
Sugli effetti delle microplastiche ingerite dal nostro organismo mancano ancora prove certe ma la comunità scientifica ritiene che queste siano una navetta tanto per contaminanti tossici quanto di virus e batteri
Molte microplastiche possono fungere da veri e propri veicoli di trasporto per diversi patogeni, favorendone la dispersione. Diversi organismi approfittano del “passaggio” offerto dalle microplastiche per spostarsi, per formare aggregazioni e ripararsi dai raggi UV: vale per gli E. coli, ma potrebbe riguardare anche batteri e virus più pericolosi[3].Il rischio sottolineato dagli esperti riguarda il fatto che gli agenti patogeni possano essere trasportati su grandi distanze e sopravvivere più a lungo del normale.
I generi Pseudomonas, Aeromonas, Arcobacter, Zymophilus, Aquabacterium e Campylobacter sono stati associati a plastiche presenti nei fiumi. E se non bastasse, le plastiche venute in contatto con scarichi industriali, contaminati da antibiotici, scarichi agricoli ed ospedalieri potrebbero inoltre ospitare batteri che abbiano acquisito una “resistenza”.
Queste minuscole Plastisfere, con i loro virus e batteri, minacciano di conquistare la biosfera, in una terribile inversione degli ordini di grandezza e delle gerarchie biologiche.