Ci sono tanti modi per raccontare un Paese al di là della cronaca o della Storia. A volte basta uno sguardo, quello del cinema, per raccontarne la complessità a una massa di pubblico che difficilmente altri mezzi di comunicazione o altre discipline sono in grado di raggiungere. A volte basta un film per rivelarcelo o gli occhi di uno dei suoi attori più rappresentativi. Da vent’anni vivo in Argentina e da vent’anni il cinema di questo Paese si è rivelato capace di mostrarlo nei suoi aspetti e nelle sue contraddizioni, usando il doppio registro del dramma e dell’ironia, costruendo storie che dal racconto del privato si innestano sempre nella realtà politico-sociale che circonda i singoli. Fare nello spazio di questo articolo tutto il percorso del cine argentino sarebbe impossibile.
Ci limiteremo a un viaggio nei film di un protagonista assoluto di questo cinema, Ricardo Darín, conosciuto ben al di là del cine nazionale, vincitore di numerosi premi, una personalità multifacetica in grado di dare il suo volto mobile, la sua bellissima voce e soprattutto i suoi proverbiali occhi, i più belli, dopo quelli mitici di Paul Newman, del cinema mondiale, a una infinità di personaggi.
Nato il 16 gennaio del 1957 a Buenos Aires, di ascendenza italiana e libanese, con doppia nazionalità, argentina e spagnola, quest’ultima datagli nel 2006 per meriti artistici, Darín comincia la sua carriera molto giovane; ha solo dieci anni quando debutta in teatro insieme ai suoi genitori, Ricardo Darín padre e Renée Roxana, entrambi attori; a sedici anni passa a lavorare in televisione, interpretando soprattutto “telenovelas” dirette da Alberto Migré, dove rappresenta il prototipo del giovane argentino, affascinante e divertente, raggiungendo una enorme popolarità. Negli anni ’90 ottiene il suo maggior successo televisivo con la serie “Mio cognato” dove rivela un’insospettata valenza comica. Contemporaneamente entra nel mondo del cinema apparendo in film destinati soprattutto al pubblico giovane. Nessuno allora avrebbe mai potuto immaginare che carriera ne sarebbe seguita, da quelle telenovelas del disimpegno ai film che poi ne avrebbero segnato l’ascesa artistica e il riconoscimento del suo, oggi, indiscusso talento. Ma la grande svolta stava per arrivare.
Dopo alcune partecipazioni che richiamano l’attenzione della critica e del pubblico cinematografico, il salto avviene con il film “Nueve Reinas” (Nuove Regine) del direttore Fabián Bielinsky. Il film, considerato un’opera maestra del direttore e un classico della cinematografia argentina, fu nominato a ventinove premi internazionali e ne vinse ventuno. Darín nel ruolo di Marcos e Gastón Pauls, l’altro cointerprete, sono due truffatori di poco valore, siamo nel 2000, quando, dopo la fuga del Presidente De La Rua, il paese precipita in un caos economico e sociale rilevante; le banche chiudono arbitrariamente tutti i conti in dollari incorporandone la valuta e trasformando le riserve bancarie in pesos. La conseguenza del famoso “corralito” è un paese dove i piccoli risparmiatori perdono tutto, le truffe portate avanti dai due son ben poca cosa in confronto alla grande truffa di un sistema economico e di uno Stato che non hanno saputo tutelare i loro cittadini. Il film tra dramma e ironia racconta le condizioni in cui gli argentini vivevano in quel momento , furiosi, impoveriti e privi di speranza.
Da questo film in poi le scelte professionali di Darín non sbagliano un colpo, sotto la direzione di grandi registi che ne sanno mettere sempre più in risalto il talento e legarne l’immagine a quella di un uomo che con la sua faccia diventa man mano in grado di raccontare la realtà in cui milioni di argentini vivevano e vivono, realtà umane, sociali e politiche.
Nel 2003, interpreta con Cecilia Roth e diretto da Marcelo Piñeyro, il film “Kamchatka”, preselezionato per il Premio Oscar come migliore film argentino nella categoria miglior film in lingua straniera. La vicenda si svolge durante l’ ultima dittatura militare (1976-1983). Davanti alle sparizioni e assassinii commessi da quest’ultima, una famiglia decide di lasciare la città e rifugiarsi in una fattoria in campagna. I fatti sono visti attraverso gli occhi di un bambino, il figlio maggiore di 10 anni, che accoglie la tragedia che stanno vivendo attraverso codici trasmessigli dai suoi genitori perché possa mantenere la forza e la speranza davanti all’orrore che sta vivendo e che comprende solo in parte.
Di nuovo la dittatura argentina farà da sfondo al film che lo rende internazionalmente famoso. Nel 2009 interpreta “El secreto de sus ojos” (Il segreto dei suoi occhi), film drammatico diretto da Juan José Campanella, al quale fu assegnato il premio Oscar come miglior film straniero nella 82° edizione degli Academy Awards. Il secondo Oscar per l’Argentina, il primo le fu tributato nel 1985 per il film “La Historia oficial” (La Storia ufficiale) del regista Luis Puenzo con Norma Aleandro e Héctor Alterio, due grandi nomi del teatro e del cinema argentino. “Il segreto dei suoi occhi” diretto da Juan José Campanella, che aveva già diretto Ricardo Darín in altre occasioni, è il secondo film più visto della storia argentina, dopo “Relatos salvajes”. Gli Americani hanno osato recentemente, nel 2015, farne un orribile remake “The secret of his eyes”, diretto da Billy Ray, snaturando la storia col contestualizzarla in ambito inadeguato, l’America dopo le Torri gemelle ossessionata dal terrorismo, scegliendo come protagonisti, per quanto famosi come Chiwetel Ejiofor, Julia Robert, Nicole Kidman, attori non adatti ai rispettivi ruoli, e con una regia piatta priva di qualsiasi drammaticità e coinvolgimento e un assurdo stravolgimento del finale rispetto all’originale.
Per la sua interpretazione di Benjamín Espósito, Ricardo Darín ottiene il premio Cóndor de Plata al miglior attore, la prima nominazione al premio Goya e il premio nel Festival de Cine de La Habana(Festival del Cinema dell’Havana). Il film racconta di un efferato omicidio seguito a violenza carnale perpetuato ai danni di una giovane donna felicemente sposata con un marito che la adora. L’efferatezza di questa storia privata si specchia in quella istituzionale di uno Stato repressore che sta per trascinare il paese in un bagno di sangue. Benjamín Espósito è un funzionario del Ministero di giustizia che deve investigare il caso e si troverà di fronte alla terribile omertà storica che protegge l’assassino. In un crescendo di emozioni che coinvolgono lo spettatore. Gli occhi di tutti mostrano la paura, il dramma, e paradossalmente anche il sorriso con cui lo sguardo sulla vicenda va costruendosi attraverso la mano sapiente del regista e la capacità recitativa di Ricardo Darín, Soledad Villamíl, Pablo Rago, Guillermo Francella, tutti fiori all’occhiello del cine nazionale.
Ma i personaggi che Darín ha interpretato abbracciano tipologie umane e si muovono in generi cinematografici differenti, dalla commedia “Sammy e yo” di Eduardo Milewicz; “Luna de Avellaneda” di Juan José Campanella; “Un cuento chino”, diretta da Sebastián Borensztein e premiata al Premio Roma, al genere Noir de “La fuga” diretto da Eduardo Mignogna e “La señal”, diretto dallo stesso Darín dopo la morte, a inizio lavorazione, del regista Eduardo Mignona, al genere drammatico di molti altri film che qui sarebbere impossibile nominare per il loro considerevole numero.
Il suo carisma di attore si impone sempre: come l’imbalsamatore taciturno affetto da epilessia e con impressionante memoria fotografica che si trova coinvolto in un crimine nel film “El aura” di Fabián , per il quale ricevette i premi Cóndor de Plata y Clarín al miglior attore; come il padre di una ragazza ermafrodita in “XXY” di Lucía Puenzo, tentando di salvarne la dignità e la possibilità di scegliere la sua condizione senza pressioni familiari e sociali esterne; come il figlio di una donna affetta da Alzheimer ne “El hijo de la novia” (Il figlio della sposa) diretto anche questo da Campanella, come il prete coraggioso de “Elefante blanco” (Elefante bianco) di Pablo Trapero che perde la vita nella “villa” (quartiere marginale) dove vive e lavora, ispirato alla vita di Don Carlos Mugica, un prete che si dedicò negli anni ’60 al lavoro nei quartieri poveri. Fino al suo ultimo film, un’antologia di sei episodi uniti dal tema comune della violenza e della vendetta, che mostra ritratti crudi e cinici della realtà argentina contemporanea, “Relatos salvajes”(Storie pazzesche) del regista Damián Szifron, candidato all’Oscar, grande successo a Cannes e primo in classifica per numero di spettatori in tutta la cinematografia nazionale.
Quest’anno, nel 2017, ha interpretato il film “La Cordillera” (La Cordigliera), diretto da Santiago Mitre, nel ruolo di un presidente dell’Argentina, che molti hanno comparato con l’attuale presidente Macri, riuscendo a mostrarci sul volto dell’uomo di potere gli infiniti intrighi e compromessi che lo sostengono. Nella 65° edizione del Festival Internacional de Cine de San Sebastián (Festival internazionale del Cine di San Sebastiano) durante la presentazione del film gli è stato consegnato l’importante premio “Donostia” che ne riconosce la traiettoria nel cinema argentino e la posizione raggiunta nel cinema internazionale.
Lo sguardo più bello del cine argentino, magnetico, intenso, ironico continua ancora a raccontarci la storia degli Argentini e del loro paese e quest’attore divenuto un’icona ammirata e amata da milioni di spettatori nel mondo, divertente e affabile nella quotidianità, acuto e interessante nelle sue interviste, uno che ha rifiutato ruoli ben pagati ad Hollywood perché ripetevano lo stereotipo del sudamericano come lo vedono gli yankee, uno che ha il coraggio di assumere posizioni politicamente scomode davanti al potere, mostra, di fronte al suo enorme successo e ai molti riconoscimenti, una straordinaria umiltà e una garbata ironia che lo rendono il migliore e più attraente dei suoi personaggi.