Se non si corre subito ai ripari sarà una decisione insostenibile per tutta l’economia marittima e turistica. Solo in Puglia colpirebbe una domanda turistica che va oltre i 2 miliardi di euro annui e il 40 per cento circa della produzione di avannotti di specie marine come orata, spigola e sarago pizzuto e 81 impianti di mitili.
La notizia è ormai certa: l’Unione Europea si appresta a condannare l’Italia per aver prorogato la direttiva conosciuta come la Bolkestein sulle concessioni demaniali degli stabilimenti balneari, servizi ricreativi, centri sportivi, parchi di concessioni divertimento e acquacoltura. La proroga prevista dal decreto legge 400/1993, convertito con legge 494/1994 e successivamente modificata dall’articolo 10 della legge 88/2001, viene considerata dalla Comunità “automatica e generalizzata”.
Secondo l’Avvocato generale della Corte di Giustizia dell’U.E. la proroga sottrae al mercato beni pubblici, per un periodo ingiustificato, a una concorrenza leale. La prassi ci insegna che le decisioni dell’Avvocato generale si traducano sempre in una sentenza di condanna da parte della Corte di Lussemburgo.
Sarà una decisione insostenibile, se non si ricorre ai ripari, per tutta l’economia marittima e turistica. In Puglia colpirebbe una domanda turistica che va oltre i 2 miliardi di euro annui e il 40 per cento circa della produzione di avannotti di specie marine come orata, spigola e sarago pizzuto e 81 impianti di mitili. Una tegola che cadrebbe su due settori trainanti per l’economia pugliese, anche perché sono comparti con un indotto di tutto rispetto.
I portatori d’interesse dei due settori dovrebbero chiedere alla Regione, Parlamento e Governo due cose:
1) Per l’attività economica degli stabilimenti balneari sollecitare il presidente del Consiglio Renzi a inserire nella sua agenda di richiesta di flessibilità a Bruxelles anche la direttiva Bolkestein, almeno per le concessioni esistenti;
2) Per il settore dell’acquacoltura e pesca il rispetto della posizione della direzione Mercato Interno e Servizi, a firma di Michel Barnier, con la quale chiariva che l’acquacoltura non “rientra nell’ambito della direttiva Bolkestein”.