Non è solo il mare, il sole, i colori e la cordialità dei suoi abitanti che fanno della Campania una regione rinomata e visitata ogni anno da milioni di turisti. Queste caratteristiche, che peraltro hanno sempre contraddistinto la zona, erano meta di curiosi fin dall’antichità. Ad attrarli erano principalmente l’odore e i profumi dei prodotti che generava la sua terra, e, primo fra tutti, il vino. La Campania infatti è storicamente nota per il vino, buono e pregiato.
E’ grazie agli Etruschi che la cultura del vino mette le radici in Campania e si diffonde fino alla pianura Padana. Un vitigno diffusissimo, specialmente nella zona che si estendeva dal Vesuvio ai Campi Flegrei, era la Falanghina; il nome si suppone che derivi da “falanga” ossia il palo al quale veniva legata la vite per farla sostenere. Questo vitigno, a seconda della zona in cui veniva coltivato, è noto, ancora oggi, con nomi diversi: nell’area flegrea prende il nome di “Falangina verace”, “Falernina” o “uva Falerna” nel Casertano e “Biancozita” nel Salernitano e sulla costiera amalfitana. Le origini relative a questo vitigno sono molto dubbie. Alcuni studiosi ritengono che le sue uve venissero utilizzate per la preparazione di un vino pregiato, il Falerno. Ne avrete sicuramente sentito parlare; se siete studenti o appassionati della materia, vi sarà certamente capitato di imbattervi nelle eloquenti lodi che molti autori classici elargivano al celebre Falerno.
Si trattava di un vino celebre e pregiato che i romani consideravano incomparabile. Il nome deriva dalla zona di produzione, il cosiddetto Ager Falernus, zona della Campania a nord del Volturno.Veniva prodotto in tre tipi: il faustiano, il caucino e il falerno comune. Era un vino amaro, molto alcolico e molto colorato. L’invecchiamento ne accentuava il sapore amaro a tal punto che i romani erano soliti mitigarlo con il miele o diluirlo con l’acqua.
Nel periodo imperiale, il culto del vino raggiunse il suo massimo splendore. Imperatori, consoli e ricchi proprietari dal raffinato palato, cominciarono a collezionare nelle loro ville diversi tipi di vino e si impegnarono a ricercarne qualità sempre nuove e rare da piantare. Da qui le lavorazioni più disparate a cui veniva sottoposto il vino. Oltre alle fragranze di fiori e frutti si preparavano vini liquorosi, affumicati, pepati, al sapore di resina o pece! Come abbiamo detto nel precedente articolo, la scelta di una così ampia varietà di tecniche era dovuta principalmente al fatto che i romani non se la cavavano molto bene con la lavorazione del vino e spesso se lo ritrovavano aceto in gran fretta. Le diverse tecniche erano in effetti un escamotage che consentiva di conservare il vino più a lungo, si stima che l’invecchiamento durasse addirittura 15 anni! Questi erano sicuramente vini pregiatissimi e costosissimi, adatti solo ad un dux e di cui un uno schiavo o un indigente potevano immaginarne il gusto solo dalle fragranze inebrianti che provenivano dai banchetti.
Che il Falerno fosse rinomato in tutto il mondo antico x la sua squisitezza era un fatto appurato e risaputo, ma che addirittura venisse esaltato nelle opere dei grandi poeti latini, davvero non ce lo aspettavamo. Orazio, Catullo, Plino il Vecchio, Marziale, Columella e molti altri non dimenticano mai di dedicare al vino anche solo due parole di elogio. Virgilio per esempio, nel II libro delle sue Georgiche paragona due vini pregiatissimi e ne trae la sua indiscutibile conclusione. Dopo aver elencato tutte le caratteristiche dei vini greci, in particolare quelli di Lesbo, quali ad esempio l’eccessivo grado alcolico che “avviluppa i passi e lega la lingua” arriva all’incontestabile epilogo: “……..però col Falerno rinuncia a contendere!
Ma non erano solo gli schivi ad immaginare il sapore del vino, anche le papille gustative delle donne erano messe a dura prova. La donna nell’antica Roma non solo non poteva partecipare ai banchetti e doveva necessariamente rimanere seduta senza sdraiarsi sul letto triclinare come gli uomini, ma non poteva neanche bere il vino. L’unica concessione alle papille gustative era il mulsum, ovvero una bevanda di miele e vino. Il divieto era così radicato che venne addirittura istituito il cosiddetto ius osculi (cioè diritto del bacio) che permetteva al marito, con un bacio sulla bocca, di verificare se la moglie avesse trasgredito quest’ordine! Altri tempi…
Il nostro viaggio alla riscoperta del vino continua e ci conduce….