Il ragù è un rituale e come ogni rituale che si rispetti deve avere delle proprie regole. In primis: il ragù deve peppiare, quando il ragù napoletano peppìa significa che dal fondo del pentolone affiorano delle bolle d’aria che, alla rottura, producono un suono simile a quello prodotto da chi tira fumo da una pipa. E’ una conditio sine qua non, se non peppìa non è ragù. Il segreto è far cuocere a fuoco lento lasciando che fra il coperchio e il pentolone passi aria poggiando il mestolo di legno (la famosissima cucchiarella) sul bordo della pentola.
Un tempo, quando si usava creare delle riserve di passata di pomodoro in casa, queste erano rigorosamente utilizzate per il ragù che risultava più che mai un piatto nel quale tutto doveva avere profumo di casa.
Importante, affinché il ragù non risulti “largo” è la scelta della carne. Si preferisce il manzo in particolare in forma di braciola, ossia involtini di carne riempiti di formaggio, salame, pinoli, uva passa, pepe e prezzemolo, avvolti con un filo di cotone; oppure la parte di carne ricavata tra la punta di petto e la clavicola del bovino: la cosiddetta locena. Mai prediligere carne suina, si rischierebbe di generare un sugo acquoso, mentre, la caratteristica principale del ragù è la strettezza, ossia un sugo compatto, ritirato e corposo. Se proprio si volesse usare la carne di maiale, sarebbe preferibile accompagnarla con del manzo e utilizzare rigorosamente soltanto alcune parti del suino quali:la gallinella (sopracoscio) o la tracchiolella (costina che se di collo è detta tracchia umida, in quanto piú morbida e succosa, se di costato è detta tracchia asciutta in quanto essendo povera di grasso è meno morbida e succosa), dunque mai salsiccia.
Il termine ragù deriva dal francese Ragout che indicava un tipo di cottura simile a quella dello spezzatino. Il piatto, oltre che rappresentare una tradizione del napoletano, gode e vanta una propria leggendaria vicenda che gli concede i natali.
Si narra, infatti, che nella Napoli di fine 1300 esisteva una Compagnia chiamata dei Bianchi di giustizia che percorreva la citta’ a piedi invocando “misericordia e pace”.
Pare che la Compagnia giunse al “Palazzo dell’Imperatore”, tutt’oggi presente in Via Tribunali e che vanta di essere stato dimora di Carlo, imperatore di Costantinopoli e di Maria di Valois figlia di re Carlo D’Angiò. All’epoca il palazzo era abitato da un signore rancoroso e scortese verso, tutti evitato dai più. La Compagnia convinse tutta la popolazione a riappacificarsi con i propri nemici rivolgendo l’invito anche al nobile del “Palazzo dell’Imperatore” che non accettò il consiglio nemmeno, quando per magia, sentì pronunciare dal figlio di tre mesi per tre volte “Misericordia e Pace”. Il nobile e iracondo signore si commosse però quando la sua donna, per intenerirlo, gli preparò un piatto di pastasciutta che si dice trasformato dalla Provvidenza in un piatto pieno di salsa e sangue. Il nobile, dunque, si decise a vestire l’abito bianco della Compagnia e a riappacificarsi con i suoi nemici. La moglie in seguito preparò nuovamente il piatto e anche quella volta divenne di colore rosso. Un misterioso piatto che aveva un invitante profumo, per cui il signore decise di chiamarlo come il suo bambino “Raù”.
La ricetta
Ingredienti e dosi per 6 persone
La lardellatura: questa è la prima fase del piatto, ci vorranno 100 grammi di lardo di pancia, 50 g. di pancetta tesa affumicata e del pepe.
Per la carne 1,5 kg preferibilmente in un solo pezzo di manzo, anche se del cosiddetto secondo taglio spalla cosi detta pezza a cannella o, meno opportunamente, magatello (lacerto);1 Kg di braciole ( abbiamo visto che si tratta di fette di manzo ripiene); 3 puntine di maiale (tracchiolella) per 400 grammi,queste sono facoltative.
600 grammi di cipolle dorate – 100 grammi di strutto – 50 grammi di lardo di pancia – un bicchiere e messo di olio di oliva extravergine 50 grammi di pancetta tesa affumicata – 300 ml di vino rosso secco – 200 grammi di doppio concentrato di pomodoro – 1, 5 litri di passata di pomodoro – basilico – sale.
Come si prepara
Innanzitutto bisogna lardellare la carne, il prosciutto, la pancetta e il pepe in modo da legarla bene. Imbottire le fette di locena con quello che desiderate, in genere come si è detto salame, pinoli, uva passa, formaggio, pepe e prezzemolo e legarle.
Tritare con un tritacarne o con un coltello a mezza luna, prima il lardo poi la pancetta e le cipolle. Versare il trito in una casseruole, la tradizione vuole che sia di coccio o rame stagnato, insieme allo strutto e all’olio, cuocere a fuoco lento sino a che lo strutto sarà sciolto e la cipolla dorata. A questo punto è possibile aggiungere la carne per farla stordire aggiungendo poco per volta il vino che dovrà evaporare tutto. Questa prima parte in genere dura circa un paio d’ore.
Una volta che la carne sarà consolidata si potranno aggiungere due o tre cucchiai di concentrato di pomodoro in modo da farlo soffriggere. Il concentrato deve sciogliersi nel grasso, a questo punto è possibile aggiungere la restante parte del concentrato sempre nella stessa modalità, un po’ per volta. Controllare sempre la cottura della carne per evitare che si sciolga nel sugo, e qualora lo necessiti, la si potrà mettere da parte per un po’ per poi integrarla a cottura quasi ultimata del sugo.
E’ possibile ora, aggiungere il passato di pomodoro, il sale e le foglie di basilico e un mestolo d’acqua. A pentola scoperta lasciare prima cuocere per circa un’ora e poi, incoperchiando come suggerito, lasciate peppiare (cuocere a fuoco bassissimo) per un’ora e mezzo. A questo punto è consigliabile togliere tutta la carne, disporla in un piatto, verrà inserita a fine cottura.
Per la pasta?
Decisamente il classico zito napoletano o, se preferite, il pacchero di Gragnano!
Eduardo De Filippo
‘O ‘rraù
‘O rraù ca me piace a me
m’ ‘o ffaceva sulo mammà.
A che m’aggio spusato a te,
ne parlammo pè ne parlà.
Io nun songo difficultuso;
ma luvàmmel’ ‘a miezo st’uso
Sì,va buono: cumme vuò tu.
Mò ce avéssem’ appiccecà?
Tu che dice? Chest’ ‘è rraù?
E io m’ ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià
M’ ‘ a faja dicere na parola?.
Chesta è carne c’ ‘ a pummarola