La guerra in Ucraina. Il progetto di Putin sull’Europa è un tema di grande attualità che, alla luce dei terribili eventi in Ucraina è tornato alla ribalta, specialmente a livello mediatico. I progetti, però, pare che non li abbia solo Putin. Secondo la propaganda russa, anche la NATO ne ha uno e mirerebbe a restringere le zone di influenza russe, proprio attraverso l’Ucraina.
La guerra in Ucraina non si sta svolgendo solo con carri armati, sanzioni e minacce, ma anche con la disinformazione. Abbiamo tratto spunto da un intervento alla Camera dei deputati (agosto 2020) del ricercatore ed esperto in diritto e relazioni internazionali Luca Lovisolo, per avere un ulteriore punto di vista e qualche spunto in più di riflessione su ciò che sta accadendo in questi giorni.
L’intervento di Luca Lovisolo alla Camera dei deputati si è svolto nell’ambito dell’indagine avviata dalla Commissione sulle influenze straniere in Italia nel corso del quale il ricercatore ha parlato di conflitto in Ucraina, rapporti con la Russia e guerra ibrida.
Il progetto di Putin sull’Europa: l’opinione di Luca Lovisolo
Abbiamo approfittato della disponibilità di Lovisolo, che da anni studia le vicende dei Paesi dell’Est, per avere ulteriori informazioni utili alla comprensione della politica di Putin in relazione ai tragici eventi di questi giorni.
Nel suo intervento del 6 agosto 2020 alla Camera dei deputati italiana lei ha analizzato la storia dell’invasione in Ucraina del 2014 e ha parlato di una strategia e di un progetto russo ben preciso. Ci dice quale? Cos’è cambiato rispetto al 2014 secondo lei? Il progetto di Putin è ancora lo stesso?
Il progetto di Putin è sempre lo stesso e i fatti ai quali stiamo assistendo sono passi della sua realizzazione. Come spiego nel mio libro «Il progetto della Russia su di noi,» Putin in realtà non è che l’esecutore di una visione del mondo che nasce in un contesto filosofico-politico, da una parte, e militare, dall’altro.
Rispetto al 2014 è cambiato che la strategia seguita, sinora, fatta di invasioni parziali e di guerra ibrida, cercando di influire sull’Ucraina indipendente per generare sentimenti pro-russi nell’opinione pubblica e pilotare partiti ed elettori per portare a Kyiv un governo fedele al Cremlino, non ha prodotto i risultati sperati.
Putin cerca, ora, di raggiungere l’obiettivo manu militari. Lo scopo della guerra cominciata in questi giorni, a quanto vediamo sempre più chiaramente, è capovolgere il governo legittimo ucraino per sostituirlo con un governo-fantoccio guidato direttamente da Mosca.
Putin continua ad additare di fascismo e nazismo l’Ucraina, Putin non è uno sprovveduto. Cos’ha in mente secondo lei? Ricostruire l’Unione Sovietica prima della fine del suo mandato?
L’uso delle parole «nazismo» e «fascismo» in Russia oggi è diverso da quello che se ne fa da noi, non ho la possibilità di spiegarlo estensivamente qui. Posso dirle che sta a indicare qualunque fenomeno sociale o politico antirusso, in particolare se proveniente da Occidente, secondo il sillogismo: «se fascismo e nazismo predicano il nazionalismo, chiunque si opponga alla nazione russa (in questo caso gli ucraini) è fascista o nazista.»
I due termini vengono usati quasi indifferentemente, sappiamo che sono dottrine politiche diverse, ma, un po’ come accade in Italia, si tende a confonderle.
Ciò che ha in mente, Putin lo ha chiarito molto bene nel suo discorso del 21 febbraio, con cui ha annunciato il riconoscimento formale delle Repubbliche autoproclamate di Doneck e Lugansk: l’Unione sovietica, per lui, non era una federazione di repubbliche, ma un decadimento federale dell’Impero zarista.
Quella che dev’essere ricostruita, dice lui, è la «Russia storica,» quella dell’Impero. Putin non considera, in questo, che l’Impero includeva popoli non russi conquistati con la forza, ribelli alla dominazione imperiale.
Il federalismo dell’Unione sovietica fu voluto da Lenin, che solo con questa formula riuscì a convincere i popoli non russi, inclusi gli ucraini (che erano già indipendenti), ad aderire all’URSS, nel 1922.
Già malato, Lenin dovette intervenire nel dibattito estromettendo dalla questione Stalin, che pretendeva di uniformare tutti sotto la lingua e la cultura russa. Gli ucraini accusarono Stalin di sciovinismo, il Comitato centrale del partito comunista georgiano si dimise in blocco per protesta.
Solo la formula federalista imposta da Lenin, che includeva anche la possibilità di uscire dall’Unione, convinse i non russi a entrare nell’URSS.
Il federalismo sovietico, lo sappiamo, rimase in gran parte lettera morta, ma fu un primo passo verso il riconoscimento, almeno concettuale, della diversità dei popoli non russi. Putin oggi critica aspramente quel passaggio, perché ci vede l’inizio della dissoluzione di quella che lui chiama «Russia storica.»
E’ una visione molto parziale della storia, funzionale però al suo progetto.
In base alle Sue ricerche e ai Suoi studi, cos’è che ha fatto scattare, oggi, l’aggressione all’Ucraina? Strategicamente,
Putin non è uno sprovveduto, diceva Lei poco fa. Vero, ma vive in un mondo che si ferma ai primi del Novecento, la sua avvedutezza serve a poco, perché si esercita nel mondo di un secolo fa.
L’Europa sembrava disorientata e impreparata, perché non si aspettava un tale passo all’indietro, anche se in verità c’erano molti segnali che nelle stanze del Cremlino si guardasse a un mondo che noi consideriamo ormai cancellato dalle relazioni internazionali moderne. Anche gli Stati uniti, dopo lo scivolone estivo dell’Afghanistan, si presentavano molto deboli.
Questi elementi hanno certamente favorito la decisione di Putin. Avrà notato, però, che in poco tempo Europa, USA e NATO hanno rinserrato le fila. Oggi, addirittura, la Germania ha annunciato che fornirà armi all’Ucraina, superando il blocco all’esportazione. Non è solo un passaggio giuridico, è un cambio culturale.
L’Europa si sta rendendo conto che se non si muove unita anche militarmente, in qualche forma, non riesce a tutelare i suoi conseguimenti e il suo stile di vita.
Putin avrà calcolato tutte le ricadute derivanti dalla sua aggressione. L’Europa sembra disorientata e visibilmente impreparata. Lei cosa ne pensa?
Putin ha certamente calcolato tutte le ricadute delle sue azioni. Mi viene in mente, per alleggerire, la battuta di un celebre comico italiano: «La risposta è dentro di te… ma è sbagliata!»
Non è la prima volta che Putin fa errori di valutazione. Quando entrò in Ucraina nel 2014, tutta la retorica del regime, persino gli spot che passavano come tormentoni sulla TV russa, puntava a combattere una guerra che gli permettesse di ricostruire la Novorossija.
Quella parte di territorio imperiale (vede che torniamo sempre all’impero!…) corrispondente all’attuale Ucraina meridionale, tra Odessa e Mariupol, per dare un’idea. La resistenza degli ucraini ricacciò i separatisti filorussi intorno alle città di Lugansk e Doneck.
Putin dovette accontentarsi dei due piccoli territori delle repubbliche separatiste. Oggi si sta riagganciando a quel punto. Più passano i giorni, più sembra che anche questa volta abbia sbagliato valutazione, ma, se va male anche questo tentativo, è ben peggio, per lui e per il suo regime.
Ci può spiegare cos’è il progetto Eurasia e se esiste una relazione con l’invasione attuale dell’Ucraina da parte di Putin?
La costruzione dell’Eurasia è postulata dal neo-eurasiatismo, promosso in particolare da Aleksandr Gel’evič Dugin, con la sua «Quarta teoria politica.» E’ la base ideologica di tutto ciò che stiamo vedendo accadere nella politica estera russa in particolare dal 2014, con la prima invasione dell’Ucraina.
La base militare del progetto, invece, è la dottrina della guerra ibrida che è stata chiamata, in Occidente, «Dottrina Gerasimov.» Il nome è quello del Capo di stato maggiore delle forze armate russe.
Gerasimov ha formulato con estrema chiarezza, nel 2013, l’uso di strumenti come la disinformazione, le missioni umanitarie mascherate e l’influenza sui partiti politici interni, al fine di controllare un Paese estero, lasciando i militari come opzione ultima.
La riconquista di Bielorussia e Ucraina, ma anche del Caucaso e dell’Asia centrale, dopo la caduta dell’Unione sovietica, realizza la visione filosofica dell’Eurasia, che si estende poi all’intera Europa come emisfero d’influenza russa.
La Russia è convinta di avere un diritto naturale di possesso sull’Ucraina.
In questi giorni ho cercato di seguire le reazioni dei russi, anche tramite miei contatti personali. Come ho scritto nell’analisi uscita sul mio blog, è difficile fare valutazioni, essenzialmente a causa del fatto che i russi sono martellati da almeno un decennio da una propaganda che dipinge l’Ucraina come Stato neonazista, lo ricordava anche Lei all’inizio.
La propaganda colpisce in particolare le persone culturalmente meno preparate, fuori dai grandi centri, che non usano Internet e non parlano altre lingue.
I giovani delle città sono più informati, ma ho dovuto constatare che vi sono anche russi con un buon livello d’istruzione, che viaggiano e si informano, eppure non riescono a sottrarsi del tutto dalla propaganda dei media di Stato. Russi, ucraini e bielorussi non sono un unico popolo, come pensa Putin, falsando la storia.
Sono uniti, però, da un legame fondato sulla lunga storia della loro regione.
Secondo lei la pensano così anche i russi che vivono e lavorano lì? C’è il rischio di una rottura tra la popolazione?
Molti russi si sono entusiasmati per l’annessione della Crimea, ma la mia impressione è che una guerra di grandi proporzioni, come quella che vediamo in questi giorni, vada oltre, anche per i danni che può arrecare alla stessa Russia, già disastrata per molti motivi.
In Russia, soprattutto dopo l’arresto di Naval’nyj, è sempre più pericoloso dimostrare pubblicamente il proprio dissenso, anche per questo è difficile farsi un’idea di come stia reagendo la popolazione.
A livello di simpatia fra i popoli, temo che molto si sia già guastato già nel 2014. Non dimentichiamo che i rapporti fra ucraini e russi non erano rosei neppure durante l’Unione sovietica, e subirono un tracollo ulteriore con la catastrofe di Černobyl’. La retorica sovietica affermava che tra le etnie dell’Unione non vi erano contrasti. Sappiamo che non era così.
Lo scontro a cui assistiamo oggi è la triste scoria dell’incapacità, prima degli zar e poi dei dirigenti sovietici, incluso Michail Gorbačëv, di prendere atto che quell’idillio multietnico era una finzione.
Se si fosse affrontata la situazione con più pragmatismo, forse oggi non saremmo qui a contare i morti fra due popoli diversi, ma che hanno ambedue una storia straordinaria, a due passi da casa nostra.
Luca Lovisolo lavora come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Si occupa anche del mondo della traduzione, specialmente nel settore giuridico.
Lovisolo studia l’Europa dell’Est e la Mitteleuropa, guardando alle relazioni internazionali anche dal punto di vista storico, culturale e del diritto.
Il suo interesse per le relazioni internazionali nasce da vent’anni di lavoro come traduttore e consulente d’azienda tra Europa orientale e occidentale, per imprese del settore metalmeccanico e studi legali.
Ha un blog nel quale parla di attualità internazionale e traduzione
Foto di copertina di Lorenzo Lucca, Elisa Piemontesi