Anni 50. Il masterascio (= falegname) mastu Ttore, all’anagrafe Salvatore, per gli amici e la famiglia Totore, passa davanti al palazzo del suo amico stagnaro (= idraulico) Gennaro (Jennaro per gli amici, Gennarino e Gennareniello per la famiglia) e, volendo celiare (in lingua nostra sfottere), guarda il portone del palazzo, che ha un angolo in basso così consumato dal tempo che ci passa un gatto, ed esclama: ’On Gennà, quanno ce ’o mettite nu pezzotto a stu purtone?
Voleva dire che il portone aveva qualche visibile falla, e che avrebbe avuto bisogno, per restare in piedi, di una zeppa, nu pezzotto ’e lignammo, appunto.
E questo era il pezzotto mezzo secolo fa: un pezzo di legno della grandezza necessaria e sufficiente a riempire una falla o a sostituire un pezzo mancante in un oggetto di legno o a sostenere un mobile o un tavolo traballante. Una zeppa, insomma, una toppa, rimedio provvisorio o definitivo, ma sempre posticcio.
Come nota a margine dobbiamo solo precisare – anche se per i più non ce n’è bisogno – che il masterascio è alla lettera “maestro d’ascia” perché prevalentemente con quello strumento lavoravano gli antichi falegnami, che erano veri e propri scultori del legno, mentre il nome stagnaro rimanda al fatto che con lo stagno fuso mediante la lampa a benzina (strumento “sputafuoco” alimentato a benzina), antenata della fiamma ossidrica, si coprivano per protezione o si riparavano quand’erano rotti i tubi dell’acqua. Di fatto l’antico stagnaro, che applicava stagno fuso a pentole e a tubi, diventò l’idraulico e si occupò solo dei tubi quando le pentole non furono più fatte di rame, ma per parecchio tempo ancora si continuò a chiamarlo stagnaro.
Anni ‘70. Un giovane insegnante in una scuola media di Marano, in un momento di pausa, intrattiene gli alunni chiacchierando del più e del meno, e dice che sta cercando una vespa usata. Un solerte garzoncello gli fa: Prufesso’, v’ ’a prucuro io na bella vespa cinquanta! M’avit’ ’a dicere sulo si ’a vulite originale o c’ ’o pezzotto.
Ecco, in questo caso non dico che abbiamo l’atto di nascita della parola pezzotto nel senso oggi comune di oggetto falsificato nel marchio, ma ci siamo molto vicino.
Ma andiamo con ordine. Che cosa voleva dire il ragazzetto?
Che, oltre alle vespe usate vendute in modo lecito, c’erano sul mercato anche le vespe rubate, alle quali veniva sostituito, evidentemente con l’uso della fiamma ossidrica, il numero di matricola con un altro prelevato con lo stesso procedimento da un’altra vespa, rotta e inservibile. In questo modo nessuno avrebbe mai potuto riconoscere, anche ad un attento esame, la vespa originale, che aveva praticamente cambiato identità.
Questa “carta d’identità” prelevata da un oggetto e applicata ad un altro oggetto venne subito chiamata, da qualcuno che invece di fare il ladro o il ricettatore avrebbe dovuto fare il linguista o il poeta, col termine che si usava per la zeppa di legno, pezzotto. Il pezzotto poi, da pezzo di lamiera, passò a significare pezzo di qualunque materiale (carta, plastica, metallo ecc.) che potesse sostituire un mancante pezzo originale. Perciò il termine fu usato per le marche dei jeans come di qualsiasi altro capo di abbigliamento, borse, scarpe ecc. che, prodotte in un qualsiasi luogo (Napoli, Cina ecc., non importa) come imitazioni di capi e oggetti griffati, potessero ingannare il compratore con l’esibizione della griffe, non originale ma pezzottata.
E con questo participio, pezzottato, siamo al passaggio ulteriore dal sostantivo pezzotto al verbo pezzottare, falsificare.
Per essere onesti, dobbiamo confessare (ma il lettore di naso fino l’avrà già notato) che nel piacere di raccontare abbiamo glissato su altre tre accezioni di pezzotto. Esso infatti può essere anche:
–l’ascialone, che è la “mensola di legno su cui poggiano le assi delle impalcature dei muratori” (De Mauro)
-la parte superiore della camicia, chiamata dalle camiciaie anche spalla
-la mancia (ma non si usa ormai più in questo senso), derivando da pezza nel senso di piastra, ch’era anticamente una moneta (D’Ascoli)
Venendo all’etimologia, pezzotto può venire da piezzo (il dittongo ie diventa nei derivati e, ad esempio pezzullo “pezzettino”) e da pezza (dal latino medievale pecia).
Se il piezzo è un frammento di qualsiasi materiale, la pezza è principalmente un ritaglio di stoffa. E infatti il suo derivato pezzotto è termine della sartoria forse prima ancora che della falegnameria. Il pezzotto (o spalla) della camicia, infatti, visto da solo appare effettivamente come un pezzo (pardon, una pezza) di stoffa da cucire sul resto dell’indumento in fabbricazione.
E allora? Pezzo di legno usato come una pezza di stoffa per integrare un tutto mancante di una parte, oppure pezza di stoffa usata come un pezzotto di legno? È come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina.
Farebbe propendere per l’uovo, pardon per l’origine dalla stoffa anziché dalla gallina, pardon dal legno, il fatto che il termine pezzotto esiste anche in alta Italia, come si rileva dal dizionario di De Mauro: pezzotto era un velo quadrato usato secoli fa dalle donne liguri e pezzotto è anche un tappeto tipico della Valtellina confezionato (udite udite) con ritagli di stoffe di vari colori.
In quest’ultimo senso anche gli inglesi hanno i loro pezzotti: sono i “patchwork”, alla lettera “lavoro di toppe”, cioè quelle coperte composte da ritagli di stoffe diverse cucite insieme.