Nelle regioni artiche il riscaldamento del clima provoca lo scioglimento del permafrost in Siberia che a sua volta minaccia di aumentare l’effetto serra globale. Questo fenomeno, purtroppo, è noto alla comunità scientifica internazionale. Ciò che invece non era noto fino ad oggi è l’età e la quantità del carbonio emesso in atmosfera come gas effetto serra. Carbonio proveniente dalle acque che sovrastano i terreni perennemente ghiacciati della tundra siberiana.
A scoprirlo è stata una ricerca condotta dalla Vrije Universiteit di Amsterdam, a cui ha partecipato anche la Fondazione Edmund Mach, approdata di recente sulla prestigiosa rivista Nature Communications. Dallo studio, in particolare, è emerso che il carbonio antico, che deriva dallo scioglimento del permafrost, rappresenta solo il 20% delle emissioni di gas serra. La restante parte dei gas serra non si origina da questo carbonio “antico” e quindi non è causata dallo scioglimento del permafrost. La causa risiede in dinamiche di decomposizione di biomassa formatasi in epoca contemporanea.
Utilità della ricerca sul Permafrost in Siberia
La ricerca, a cui ha partecipato Luca Belelli Marchesini del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach, si rivela utile per migliorare le stime del bilancio del carbonio di questi ecosistemi e non solo. E’ utile anche per comprendere maggiormente i meccanismi di reazione degli ambienti artici terrestri ai cambiamenti climatici.
Misurazioni in campo con prelievo di campioni d’acqua
Per la prima volta in un’area di 16 chilometri quadrati i ricercatori hanno analizzato le acque interne. I campioni di acqua sono stati raccolti, analizzati e quindi è stato quantificato e datato il carbonio in esse contenuto. Le emissioni di gas serra dalle acque sono stati poi confrontati con i valori degli scambi gassosi tra tundra ed atmosfera misurati direttamente nell’area di studio da una stazione micrometeorologica.
Il ruolo della FEM è stato quello di analizzare i dati della stazione micrometeorologica e fornire il bilancio del carbonio dall’area di studio.
I cambiamenti climatici, lo scioglimento del permafrost e la minaccia del metano
I cambiamenti climatici in corso sono particolarmente intensi nella regione Artica. Qui l’innalzamento delle temperatura rappresenta una minaccia per la stabilità della più grande riserva di carbonio organico negli ambienti terrestri. Il permafrost, ovvero suolo perennemente ghiacciato accumulatosi nel corso di migliaia di anni a partire dal materiale vegetale che cresce durante le brevi estate artiche. Il carbonio stoccato nel permafrost, secondo le stime più attuali, è il doppio di quanto ne contiene l’atmosfera del nostro pianeta.
“La grande preoccupazione della comunità scientifica – spiega Luca Belelli Marchesini del Centro Ricerca e Innovazione FEM– è legata soprattutto al metano che ha un potenziale di riscaldamento climatico ben 32 volte maggiore rispetto alla anidride carbonica”. L’artico siberiano copre circa un terzo delle terre emerse ed è coperto per circa il 50% da acque interne. Proprio i sistemi acquatici interni (laghi, fiumi, ruscelli e stagni) artici sono considerati degli elementi di forte emissione di gas effetto serra, soprattutto di metano. Ad oggi, però, la conoscenza del loro ruolo rispetto al bilancio del carbonio della regione Artica rimane estremamente limitata. Non è ancora chiaro neanche in che misura la formazione di questi gas sia alimentata dal carbonio precedentemente stoccato nel permafrost per centinaia o migliaia di anni.