È azzardato definire il gioco del pallone col bracciale l’antesignano del calcio, come riportato da qualche parte? Non saprei, però una cosa è certa: questo sport fin dagli inizi dell’Ottocento, ebbe un grande successo, lo stesso successo che oggi ha il calcio, tale da attirare l’attenzione di poeti e scrittori. Uno su tutti il grande Giacomo Leopardi, il quale nei Canti, e precisamente nella V canzone, A un vincitore nel pallone, ci ha lasciato versi in cui si denota, a partire dall’incipit, l’interesse del poeta recanatese per il gioco del pallone col bracciale: «Di gloria il viso e la gioconda voce, | garzon bennato, apprendi, | e quanto al femminile ozio sovrasti | la sudata virtude. Attendi, attendi, | magnanimo campion (s’alla veloce | piena degli anni il tuo nome), attendi e il core | movi ad alto desio…». Il garzone citato nel canto è Carlo Didimi di Treia, uno dei più grandi battitori di pallone col bracciale, che Leopardi portò alla ribalta dopo averlo visto giocare nello sferisterio di Macerata.
Didimi si può definire un professionista del tempo di questo gioco. Si pensi che per una sua esibizione richiedeva dai 500-600 scudi romani, mentre un maestro elementare veniva pagato annualmente dai 25 ai 60 scudi. «Didimi è un divo che risponde a suon di record alle celebrazioni della gente. Giacomo decide quindi di dedicargli una canzone civile, piegando lui alla propria filosofia, dandone un’immagine di eroe epico perché rimodellato sugli “antichi esempi”, campione su cui tutta una patria, un popolo, ripone la possibilità della propria riscossa» (M. Monferrini, Leopardi e il suo campione, in «Parco Poesia», 7 giugno, 2014).
Questo sport, oggi non più praticato, cominciò ad affermarsi in Italia già a partire dal XVI secolo e affonda le sue origini nella metà del millennio scorso. Deriva dalla pallacorda o trincotto o jeu de paume in francese, gioco nato nell’alto medioevo. Per secoli è stato il protagonista degli sport sferistici in Italia, almeno al Centro-Nord. Soltanto nel XIX secolo, quando raggiunge il massimo del consenso e della popolarità, si fa strada anche al Sud, divenendo sport nazionale e unificante di un Italia intera.
Parafrasando S. Iacomuzzi (Enciclopedia degli sport, 1965), un notevole impulso a questo sport lo diede la Toscana, tanto che una specialità di gioco era chiamata anche bracciale grande o toscano. Un impressionante numero di giocatori professionisti erano toscani, basti pensare che nell’Ottocento un comune come Poggibonsi contava, come racconta De Amicis, ben diciassette pallonisti di professione: inoltre a questa regione si deve soprattutto il merito di aver dettato, agli inizi del XIX secolo, le nuove regole di gioco che contribuirono alla trasformazione del pallone da passatempo o gioco di piazza a vero e proprio spettacolo pubblico. Altra zona importante del bracciale è quella marchigiana: nel XX secolo la cittadina di Mondolfo (PU) era la patria di tanti campioni, al punto che fu chiamata la capitale del gioco di pallone a bracciale.
Concludendo, quindi, possiamo affermare che, anche se questo sport potrebbe non avere il ruolo di antesignano del calcio, è certo che è il padre di tutti i giochi con palla o pallone successivi.