“Quando si ragiona di cambiare la scuola, lo si fa sempre partendo da un’idea astratta e quando si insegna si tende a farlo dall’alto. Invece io credo che si impari meglio se un maestro parte dal basso, dal punto di vista del bambino, creando continuità con il suo apprendere prima della scuola.” M. Lodi
Mario Lodi, nato a Piadena, il 17 febbraio 1922 e morto a Drizzona, il 2 marzo 2014 è stato un maestro italiano, pedagogista e scrittore che, con le sue metodologie educative inizialmente ispirate da quelle di Célestin Freinet, ha contribuito notevolmente a rifondare in Italia una pedagogia e una didattica che hanno rivoluzionato il mondo della scuola. Si deve al Movimento di cooperazione educativa (MCE) aver diffuso in Italia le idee di Freinet e nel suo seno, insieme a Mario Lodi, sono cresciuti tanti giovani docenti che dagli anni ’50 in poi riconoscevano la necessità di ridisegnare un modello educativo che fondasse una scuola libera, aperta, laica, democratica, rispettosa della natura e dell’identità del bambino, apportando nuove tecniche e metodologie d’insegnamento. Lo scopo era anche quello di adeguare la vecchia scuola “regia” del fascismo alla nuova realtà repubblicana figlia dalla Resistenza e ai principi della Costituzione democratica nata da questa.
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Le basi della pedagogia del francese Freinet consistevano in un’impostazione pedagogica nuova e alternativa alla vecchia scuola che solo trasmetteva in modo autoritario nozioni prefabbricate fuori del processo educativo. Nuove tecniche didattiche, come il testo libero, il calcolo vivente, le attività espressive quali la pittura, il teatro, la danza, ecc., la ricerca sul campo, la corrispondenza interscolastica, la stampa a scuola, la scrittura individuale di storie e di veri e propri libri, furono l’impulso a una riflessione che andò facendosi sempre più personale e radicata nella realtà italiana.
Tra le proposte metodologiche di Freinet che l’MCE fece sue ricordiamo: l’uso della stampa in classe per produrre prima semplici testi e poi veri e propri giornalini di classe che davano conto di tutte le attività didattiche, come incentivo anche all’apprendimento della scrittura; la corrispondenza interscolastica per dare visibilità all’attività dei ragazzi e per favorire l’intercambio di esperienze; la formazione di cooperative produttive tese all’apprendimento di tutte le funzioni tecniche ed economiche legate all’attività svolta.
Per ventidue anni, dal 1956 anno in cui vi fu trasferito, Mario Lodi, nella scuola elementare di Vho, insegnò e scrisse con i suoi alunni molti libri di narrativa che erano la testimonianza efficace del suo metodo educativo. Tra i più famosi “Bandiera”, “Cipì”, ”C’è speranza se questo accade al Vho”, “Il paese sbagliato”. Quest’ultimo nel 1971 vinse il prestigioso Premio Viareggio.
Questi testi formarono più maestri di quanto non avessero fatto fino a quel momento i testi teorici dei grandi pedagogisti e studiosi dell’età evolutiva, come per esempio Piaget, dal quale la scuola di Freinet, di Lodi e di tanti altri all’epoca cominciava a distinguersi nettamente. La nuova impostazione in essi contenuta favoriva allo stesso tempo la cultura dei bambini e quella dei maestri in un contesto di esperienza comune. Mario Lodi diventò così il punto di riferimento di tanti maestri di scuola elementare che da tutta Italia gli scrivevano, lo invitavano a convegni e dibattiti, si ispiravano al suo metodo didattico ed educativo.
Questa visione democratica della scuola s’ incontrava con quella di Don Milani che a Barbiana stava percorrendo in modo autonomo la stessa strada. Dentro le scuole di Vho e di Barbiana c’era un concetto della classe come del “fare insieme” che entrambi i maestri condividevano e praticavano. E infatti le classi di Lodi e Milani si scambiarono lettere per un periodo. Così ce lo racconta Mario Lodi: “Avevo scoperto un po’ per caso che, a distanza, stavamo sperimentando cose simili e sono andato a Barbiana a conoscerlo. Lì è nata la corrispondenza”. Quei due straordinari maestri stavano sperimentando lo stesso modo di insegnare ma come ci fanno intendere le parole di Don Milani, ad incontrarsi a Barbiana non furono solo due maestri ma prima di tutto due uomini guidati dall’etica profonda del “servizio agli altri” che li animava e dal senso di una irrinunciabile giustizia sociale. Ripensiamo alle parole di don Milani: “Gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi per loro i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per far scuola, ma solo di come bisogna essere per fare scuola”. Né don Milani né Mario Lodi, uomini calati nel loro tempo di cui conoscevano le carenze e i drammi, si sono mai illusi che fosse semplice trasformare in realtà la loro utopia ma questo non è mai sembrato loro una ragione sufficiente per smettere di agire, di lottare e di sperare. In loro vinse sempre e comunque “l’ottimismo della volontà” contro “il pessimismo della ragione”.
Lodi scriverà ai partecipanti della sessantesima Assemblea del MCE, organizzata a Firenze nel 2011 per festeggiare l’anniversario della fondazione del movimento nel 1951: “La formazione professionale dei docenti capaci di organizzare il lavoro scolastico liberando le capacità espressive, logiche e creative dei bambini non è soltanto una questione pedagogica e burocratica, essa è prima di tutto urgente problema politico nel quadro del risanamento morale dell’intera società. Il cammino è una strada da percorrere insieme con tenacia, concretezza, passione, responsabilità, determinazione, competenza e divertimento. È anche credere che i sogni si possano realizzare insieme; educatori, bambini e genitori.”
Nonostante nel 1978 vada in pensione come maestro della Scuola Pubblica, la sua attività nel campo educativo proseguì: diresse per tre anni a Piadena la Scuola della creatività, nella quale adulti e bambini sperimentavano insieme varie tecniche creative.
Nel 1980 muovendosi per tutto il territorio nazionale raccolse dalla voce dei bambini circa 5000 fiabe da loro inventate lasciando testimonianza di come la creatività infantile sopravvivesse anche nell’era della televisione, laddove venisse esercitata ad esprimersi liberamente.
Nel 1989, anno in cui gli venne anche conferita la Laurea honoris causa in Pedagogia dall’Università di Bologna, con i proventi del Premio internazionale Lego, conferito a “personalità ed enti che abbiano dato un contributo eccezionale al miglioramento della qualità di vita dei bambini”, Lodi fondò la Casa delle Arti e del Gioco in una cascina a Drizzona, vicino a Piadena, dove si trasferì, organizzando un laboratorio per sperimentare, con la guida di esperti, tutti i linguaggi dell’uomo, con l’obiettivo di creare un centro studi e ricerche sui problemi dell’età evolutiva, sui processi di sviluppo della conoscenza e della cultura del bambino, testimoniati attraverso una intensa e precisa documentazione bibliografica, iconografica, audiovisiva e multimediale.
In riconoscimento dei suoi grandi meriti nel giugno del 2000 il Ministro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro lo nominò membro della Commissione ministeriale per il riordino dei cicli scolastici e nel 2001 il Ministero della Pubblica Istruzione lo incaricò di occuparsi dell’INDIRE (ex biblioteca didattico pedagogica) per la documentazione di esperienze realizzate nella scuola italiana, per l’ aggiornamento dei docenti, la ricerca e valutazione dei progetti. Nel 2003 fu insignito del titolo di Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana per iniziativa del Presidente della Repubblica.
Nel marzo del 2006 ricevette il “Premio Unicef“ 2005 “Dalla parte dei bambini”, per aver dedicato tutta la sua vita ai diritti dei bambini, allo sviluppo delle loro potenzialità creative e per aver promosso costantemente e valorizzato la formazione degli insegnanti nella visione di una scuola rispettosa di tutte le sue componenti e di una società che potesse esaltarne i progetti e le funzioni educative.
I racconti precisi e dettagliati delle attività che realizzava a scuola con i suoi bambini, ci restituiscono ancora oggi esempi illuminanti di una didattica laboratoriale e cooperativa, veramente interattiva, che, solo dopo molti anni e in parte, verrà introdotta di diritto nella scuola. Si deve alla sua esperienza, determinazione e testimonianza dell’attività svolta, se anche in Italia si è fatta strada la consapevolezza che il bambino è portatore di una vera e propria cultura che una società civile deve saper accogliere e rispettare.
Il suo testamento professionale, etico e politico vive nelle istituzioni che ha creato, nelle idee e pratiche che ha diffuso, negli scritti che sono veri e propri itinerari della sua pratica pedagogica, nella memoria viva di quanti hanno avuto la fortuna di averlo come maestro, non solo i suoi bambini che con lui hanno imparato a leggere, scrivere, pensare, creare, ma anche gli adulti, docenti e pedagogisti, che sono cresciuti alla sua scuola di didattica e di vita.