E’ nelle sale da oggi Banana , un lungometraggio di Andrea Jublin che lo dirige e ne interpreta un ruolo, già regista di un corto dal titolo Il supplente che nel 2008 fece incetta di premi, tra cui il grande riconoscimento di essere selezionato agli Oscar. Il corto è un apripista ideologico per Banana: entrambi hanno come tematica l’infanzia come momento nella vita in cui tutto il marcio di responsabilità, compromessi e aspettative fallite non è concepibile o alle quali, per lo meno, ci si può opporre con tutta l’energia che si ha in corpo.
Marco Todisco, classe 1998 ma con già alle spalle varie serie tv come I Cesaroni e Medicina Generale, è questo simpatico pacioccone che i compagni di scuola chiamano ‘Banana’ per via del suo piede storto, perchè sbaglia puntualmente a tirare il pallone nelle partite di calcetto, facendolo finire al di là del muro di cinta da cui, a causa di un misterioso personaggio, ritorna regolarmente bucato. Banana però non smette affatto di fuggire dalla gabbia della porta in cui lo fanno giocare i suoi dispettosi compagni, perché è convinto che per raggiungere la felicità, si badi bene, felicità, non serenità o contentezza (come scrive nel suo tema di italiano) si debba lottare, insistere, in definitiva: rischiare. La metafora del calcetto è divertente e azzeccata perché Banana decide di adottare per sé lo spirito del giocatore brasiliano: come nel calcio brasiliano, a suo dire, bisogna attaccare con slancio e col cuore in mano. Sennò si vive nel terrore che ti segnino.
La sfida, che nel film fa da plot principale, è la serie di sforzi e affanni che Banana è disposto a vivere per conquistare la sua compagna di classe Jessica (Beatrice Modica); più volte bocciata, quindi più grande di lui e già sessualmente disinibita, in cui è convinto di trovare, sotto numerosi strati di trucco dark, molta bellezza. Si offre dunque di aiutarla a studiare per l’interrogazione di Italiano, ma si accorgerà presto come l’amore sincero e tutte le sue manifestazioni, non bastino a raggiungere il fine. L’intera storia si focalizza perciò sul modo di affrontare la vita, al di là dei risultati, e di come e quanto gli adulti che fanno parte della vita di Banana (genitori, sorella, insegnanti) abbiano perso di vista col tempo l’obiettivo di essere felici e che si siano accontentati raccontandolo come normale e naturale. Anche i coetanei di Banana però non appaiono per niente puri e innocenti, in questo modo la struttura narrativa isola il personaggio “positivo”, il quale deve superare diverse prove e difficoltà per la sua impresa eroica di ottenere la ragazza dei suoi sogni. Tutti i suoi compagni di scuola vengono rappresentati quindi solo attraverso i cliché negativi di branco ai limiti del bullismo, con le classiche dinamiche di spietatezza dentro i gruppi degli adolescenti. Di cliché il film ne cavalca moltissimi, probabilmente per dare alla storia la base di semplicità della commedia italiana, sulla quale stratificare messaggi più profondi che inneschino delle intime riflessioni. Però lo fa mantenendo una credibilità di cui bisogna dare atto.
Il personaggio più esilarante resta la professoressa Colonna, interpretata da Anna Bonaiuto, che deve essersi divertita parecchio. E’ la classica insegnante più temuta: severa, spietata, cinica e indifferente, ma che ha solo perso la speranza nel genere umano. Quale insegnante, almeno in un momento della sua carriera, non è stato attanagliato dall’angoscia di un futuro barbaro, a causa di studenti menefreghisti e capre?
Infine il regista Jublin si concede un piccolo ruolo che però rappresenta l’alter ego del protagonista: un adulto depresso (ex fidanzato e vero amore della sorella di Banana interpretata da Camilla Filippi) che anche da “grande” si ostina ad approcciarsi alla vita come il piccolo ex cognato, con tutti gli effetti collaterali che la società gli rimanda.