L’immigrazione è un processo sociale che coinvolge l’umanità da sempre. Ora vista con sospetto, ora sentita come propria di una società in trasformazione, essa rappresenta una dinamica che incide profondamente, oggi come ieri, sulla strutturazione demografica delle popolazioni. L’Italia è investita pienamente dal fenomeno, come testimoniano i dati Istat relativi al 2007: poco meno di tre milioni di migranti vivono, attualmente, nella Penisola, equamente divisi tra uomini e donne, con un aumento in lieve flessione, nella somma algebrica tra immigrati ed emigrati (saldo migratorio), rispetto all’anno precedente. Italia come terra promessa, dunque. Tale situazione, tuttavia, non deve sorprendere, dal momento che il Paese ha raggiunto una condizione economica che, nonostante le difficoltà palesi attraversate negli ultimi anni, lo colloca ai vertici dell’economia mondiale; pertanto, in linea con il paradigma teorico elaborato dall’americano Zelinsky, l’Italia ha raggiunto la fase da questi definita “basso-stazionariaâ€, tipica dei paesi più ricchi, ovvero quella fase caratterizzata da una crescita zero della popolazione ed un aumento contestuale dell’immigrazione proveniente dalle zone più disagiate del Pianeta. Non è un caso, dunque, se la politica discute da anni sulle strategie da individuare nella regolamentazione del flusso migratorio: la legge Turco – Napolitano e la Bossi – Fini ne sono un chiaro esempio. Prescindendo dalle motivazioni ideologiche e dagli episodi di cronaca nera in cui, talvolta, sono coinvolti stranieri residenti in Italia, l’immigrazione resta un fenomeno sociale di assoluto impatto demografico e dalle profonde implicazioni umane. Se, infatti, la società italiana risulta sempre più segnata dalla presenza di migranti, a questi ultimi spesso non sono garantiti standard di vita soddisfacenti, soprattutto nel momento in cui essi non hanno la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno e sono costretti, pertanto, a vivere nell’illegalità . Il rapporto fornito da Medici Senza Frontiere, sulla base di indagini portate avanti tra giugno e novembre del 2007, è esemplificativo: Una stagione all’inferno, questo è il titolo del dossier, mostra le condizioni drammatiche in cui sono costretti a vivere gli immigrati impegnati in lavori stagionali nelle campagne del Mezzogiorno. Ad ogni modo, l’apporto che la popolazione straniera offre al Paese, anche in termini economici, per l’impegno in fabbriche o nei campi, è assolutamente rilevante e le campagne del Mezzogiorno, nello specifico anche della Campania, usufruiscono in modo massiccio di tale contributo. Le condizioni igienico – sanitarie disastrate, i salari bassi e la paura in cui, spesso, gli immigrati sono costretti a vivere, sono insopportabili ed inaccettabili. Eppure esistono. Ma vi è anche un’altra faccia della medaglia, rappresentata dall’impresa promossa da immigrati comunitari ed extracomunitari che, sulla scorta di esperienze accumulate nei paesi di provenienza o spinti dal modello culturale ed economico occidentale, decidono di promuovere iniziative aziendali. Non sempre tali tentativi vanno in porto, ma sono, comunque, indice di un’eterogeneità di situazioni presenti in Italia, rappresentano il simbolo di una società dinamica in cui, ormai, i migranti hanno trovato collocazione e dimensione proprie che, però, non sempre possono essere considerate accettabili.
UN PO’ DI NUMERI
 I dati circa la presenza di immigrati in Campania e nella provincia di Napoli rivelano l’incidenza del fenomeno in una prospettiva demografica e, quindi, sociale. Le statistiche cui è possibile fare riferimento sono quelle fornite dall’Istat e dalla Caritas/Migrantes che, ogni anno, analizzando i flussi migratori, realizza un rapporto dettagliato sui numeri di migranti presenti in Italia. L’Istat sostiene che gli stranieri regolarmente residenti in Campania siano 98.052, il 50% dei quali (47577 unità ) abitanti tra Napoli e la sua provincia. La Caritas, invece, ritiene che il numero di stranieri regolarmente presenti nella regione sia di 168.285 persone, di cui, anche in questo caso, la metà circa presente nel capoluogo e nella sua provincia. Si tratta di dati indubbiamente non omogenei, legati al fatto che la Caritas riporta indicazioni circa i permessi di soggiorno rilasciati, mentre l’Istituto di Statistiche si sofferma sul numero di residenti nella Regione. La composizione etnica è particolarmente articolata: la comunità più presente nel capoluogo è quella ucraina, con 12.878 persone, per un’incidenza del 27,1% sulla popolazione straniera locale (dati Istat), così come in tutta la Regione, all’interno della quale sono consistenti anche la comunità marocchina (9,6%) e quella polacca (7,9%). Decisamente meno presenti, invece, gruppi come i macedoni e gli albanesi, laddove, ad esempio, questi ultimi rappresentano la comunità più numerosa a livello nazionale, per un totale di 375.947 unità (dati Istat) di cui, però, soltanto 282.650 con regolare permesso di soggiorno. Ciò che risulta chiaro, dunque, sia dai dati dell’Istat che, soprattutto, da quelli della Caritas/ Migrantes, è che la Campania si configura come regione di immigrazione: la settima per presenza straniera, dopo Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Piemonte e Lazio. L’8,9% di questa popolazione è costituita da minori, il che rivela come la Regione sia diventata luogo di stanziamento per immigrati e non soltanto di transito. Per questo motivo, la Campania, con Napoli in prima fila, rappresenta ad oggi la regione meridionale più segnata dal fenomeno migratorio.
IL MONDO DEI MIGRANTI
 È difficile tracciare un prospetto omogeneo ed esaustivo sulle condizioni di vita in cui versano gli immigrati campani. Spesso, la comunità di appartenenza è determinante per quanto concerne la tipologia di lavoro in cui essi sono impegnati e, conseguentemente, ne risentono anche salari, abitudini e condizioni generali di esistenza. È piuttosto semplice, ad esempio, individuare l’impiego che occupa gli esponenti delle comunità filippine, ucraine o polacche, molto spesso assunti in qualità di collaboratori domestici e residenti con le famiglie presso le quali lavorano. Ben diverso, invece, è il discorso per quanto concerne coloro i quali sono impegnati nei lavori stagionali, nella vendita ambulante o nella mendicità . In questo senso è rilevante anche lo status in cui si trova il migrante: gli irregolari sono indubbiamente più esposti al rischio della precarietà lavorativa o, addirittura, della delinquenza, con tutto ciò che ne consegue: abitazioni diroccate, condizioni igienico-sanitarie disastrate e una condizione permanente di paura che contribuisce ad aggravare ulteriormente la situazione. Un recente dossier, preparato nel periodo giugno – settembre 2007 dall’organizzazione Medici Senza Frontiere, ha mostrato come gli immigrati del Mezzogiorno impegnati in lavori stagionali vivano quotidianamente l’“infernoâ€. Una stagione all’inferno, come recita il titolo del lavoro, mette a nudo le contraddizioni del nostro Paese, in cui, a fronte di politiche “di contenimento del fenomeno migratorio con politiche dal pugno di ferro tese a combattere la clandestinità a difesa della legalità â€, si permette che coloro i quali sono impegnati come manovalanza nella campagne del Meridione vengano sfruttati senza nessun tipo di protezione o garanzia. Si tratta, spesso, di lavoratori a nero, un “popolo di «invisibiliȠai quali viene negato, dicono i MSF, persino l’accesso alle cure mediche più elementari, per un “costo umano e sociale altissimoâ€. L’organizzazione ha monitorato zone di sei regioni: Lazio, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia. Per la Campania, l’attenzione è stata rivolta ai lavoratori delle colture intensive di pomodori, pesche, fragole e zucchine della Piana del Sele. Il risultato dell’indagine lascia assolutamente sgomenti: senza alcun tipo di tutela, sottopagati e costretti a ritmi lavorativi intensi, i lavoratori stagionali vivono in una condizione di “povertà estrema e di esclusione socialeâ€. Le abitazioni, spesso, sono “ruderi di campagna o fabbriche abbandonate, strutture fatiscenti prive di alcun servizio minimo (acqua, luce, bagni), senza infissi e serramenti, con i muri portanti e il tetto spesso pericolanti o parzialmente distrutti. Indecenti condizioni abitative alle quali si aggiunge una preoccupante situazione di sovraffollamentoâ€. È chiaro che, in situazioni simili, le condizioni sanitarie degli immigrati diventano altamente allarmanti. Ciò che preoccupa MSF è soprattutto l’accesso alle strutture sanitarie, per le molteplici difficoltà incontrate dai lavoratori: linguistiche, di orari incompatibili con il lavoro, logistiche, di disinformazione. Spesso, inoltre, gli irregolari evitano di avvantaggiarsi del Sistema Sanitario Nazionale per paura di “essere scopertiâ€. Pertanto, le patologie restano, nel 75% dei casi analizzati da MSF, irrisolte, con conseguenze chiare sulla salute delle persone. Ciò, tra l’altro, avviene nonostante la legge italiana preveda per irregolari l’accesso alle basilari strutture di assistenza sanitaria pubblica. Le patologie più diffuse sono quelle osteomuscolari, dermatologiche, pneumologiche, gastroenterologiche e del cavo orale. Nella Piana del Sele, in provincia di Salerno, il 92% degli intervistati da MSF, di provenienza maghrebini, è irregolare, vive in “baracche costruite all’interno di edifici abbandonati, circondati da quantità enormi di immondiziaâ€. Le patologie più diffuse sono micosi e lombosciatalgia, cui si aggiungono anche casi di maltrattamento da parte dei datori di lavoro (per il 16% degli intervistati). La gravità delle condizioni di questi lavoratori è evidente e la Campania non si distingue certamente in positivo. Che in un paese moderno e civile persista una situazione simile non è certo ammissibile, eppure nulla si fa per arginarla: le leggi promulgate hanno avuto l’effetto di rendere ancora più complessa e precaria la posizione degli immigrati, incrementando soltanto la sensazione di pericolo che grava su di loro e la conseguente impossibilità di denunciare e liberarsi dal giogo dello sfruttamento.
LA SCOLARIZZAZIONE
Il dato inerente al numero di minorenni immigrati in Italia è, invece, in forte crescita. Secondo le statistiche del Ministero degli Interni, nell’anno scolastico 2006-2007 il totale di alunni con nazionalità non italiana è stato di 501.494, ripartito, naturalmente, tra scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di I grado e secondaria di II grado, per un’incidenza sul totale degli studenti del 5,6% tra scuole pubbliche e private. Tra le scuole superiori, sono nettamente i tecnici ed i professionali ad annoverare il numero maggiore di stranieri, mentre i classici, gli artistici e, soprattutto, i linguistici ne sono piuttosto carenti. In Campania, gli studenti non italiani sono 11.139, distribuiti in modo non omogeneo: 1.421 negli asili, 4.166 nelle scuole elementari, 2.972 nelle medie e 2580 nelle superiori, per un’incidenza dell’1% soltanto. In Campania, nello specifico, secondo i dati riportati dal Ministero della Pubblica Istruzione, gli studenti stranieri dell’anno accademico 2006 – 2007 sono stati 10.925, il 13% dei quali iscritti all’asilo, il 38,1% alle scuole primarie, il 27% alle secondarie di primo livello ed il 21,9% alle superiori. Il dato più evidente, dunque, è l’età infantile degli studenti, dal momento che oltre il 50% ha meno di dieci anni, mentre quasi l’80% non raggiunge i quattordici. Tutto ciò, naturalmente, ha un’incidenza specifica sulla struttura demografica della Regione, apportando un significativo ringiovanimento della popolazione intera. D’altra parte, l’immigrazione, in un paese economicamente sviluppato e a crescita zero, agisce proprio in questo senso, ovvero lungo l’asse del “rinverdimento†della popolazione.
L’IMPRENDITORIA
C’è un altro aspetto del mondo degli immigrati in Italia particolarmente interessante, ovvero l’iniziativa imprenditoriale, molto più diffusa di quanto non si creda. Tale fenomeno, naturalmente, ha di namiche ben precise a livello nazionale e coinvolge, di conseguenza, anche il Mezzogiorno e la Campania. Le città italiane in cui fiorisce in modo più abbondante l’imprenditoria straniera sono Milano e Roma, capoluoghi particolarmente segnati dai flussi migratori, per quanto il fenomeno sia diffuso anche in regioni quali l’Emilia Romagna ed il Nord – Est. Le attività più frequenti sono soprattutto quelle del commercio al dettaglio, mentre le comunità più dinamiche sono soprattutto quella cinese e quella marocchina. Si tratta, prevalentemente, di giovani compresi tra i trenta ed i quarant’anni, generalmente indotti all’impresa o sulla scorta di esperienze maturate nel proprio paese di origine o perché influenzati dalla cultura imprenditoriale italiana (si parla di imprenditoria etnica). Tale processo, inoltre, è funzionale ai fenomeni di integrazione, sebbene, come è facile immaginare, le difficoltà per l’impresa straniera siano maggiori rispetto a quelle cui va incontro un’impresa italiana. In particolar modo, i problemi più consistenti nascono relativamente alla richiesta di credito inoltrata alle banche, soprattutto a causa delle garanzie che gli istituti creditizi stessi chiedono all’immigrato: certezze circa la busta paga, il permesso di soggiorno e l’abitazione. Non è, dunque, un caso se le percentuali di mortalità dell’impresa straniera siano più alti rispetto a quelle per l’iniziativa degli italiani: del 7% delle imprese costrette a chiudere ogni anno, un buon numero appartengono ad immigrati. Anche in Campania l’imprenditorialità degli stranieri è particolarmente viva, anche se non ai livelli riscontrati in Lombardia o nel Lazio. Nel 2006, secondo i dati diffusi da Infocamere, i titolari di imprese in Campania nati all’estero sono in tutto 15.656, dei quali ben l’85% è da considerarsi extracomunitario. Le province di Napoli e Caserta sono le più connotate in questo senso: nel capoluogo, sono 4.736 titolari d’azienda stranieri, pari al 30,3% del totale regionale, di cui 4.243 extracomunitari (il 31,9% del totale regionale e l’89,6% degli imprenditori stranieri della provincia), mentre a Caserta sono 4.629, per il 29,6% del totale regionale. L’immigrazione, pertanto, si configura come fenomeno social e culturale, ma è chiaro che assume un rilievo assoluto anche in termini economici, sia per quanto riguarda la manovalanza industriale e agricola, le cui condizioni sono quantomeno preoccupanti, che in termini di iniziativa aziendale. Per questo motivo, non è un caso se anche l’associazione Campania Start – up, da sempre attenta alle dinamiche di incontro fra idee e risorse finalizzato allo sviluppo di realtà imprenditoriali innovative a carattere regionale, ha presentato progetti di formazione, assistenza professionale e accesso al credito per gli immigrati. In questo modo, l’associazione vuole promuove momenti di incontro e di conoscenza del mondo dell’immigrazione, favorendone anche lo sviluppo e l’integrazione a livello regionale.
SPORTELLI INFORMATIVI PER DETENUTI STRANIERI
È necessario segnalare un’iniziativa senza dubbio molto interessante. Mediante un protocollo di intesa firmato tra l’Assessorato all’Immigrazione della Regione Campania, Il Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria Campania e l’Organizzazione non governativa ALISEI, infatti, sono stati aperti degli sportelli informativi per detenuti stranieri. L’iniziativa è connessa al progetto MIRA, il cui obiettivo è quello di superare le barriere che ostano ad un’integrazione autentica degli immigrati nella nostra società . I servizi offerti, innanzitutto, si muovono nella direzione dell’assistenza in favore degli stranieri stessi. In particolare, gli obiettivi prefissi sono il superamento delle differenze esistenti tra detenuti italiani e stranieri, quindi una facilitazione del rapporto con il personale delle carceri e, infine, raccogliere dati circa la detenzione straniera. Il tutto, naturalmente, deve avere come fine il miglioramento complessivo delle condizioni di vita degli stranieri incarcerati negli istituti di detenzione. Tale obiettivo passa sia attraverso attività laboratoriali interculturali tra detenuti che mediante la realizzazione di attività di aggiornamento per gli operatori degli istituti penitenziari; in questo modo, sarà possibile ottenere miglioramenti sia nel rapporto tra i detenuti stessi che nell’ambito degli operatori, cui si metteranno a disposizione gli strumenti adatti per conoscere la realtà complessa che abita le prigioni italiane. I ROM In questo contesto, un discorso a sé merita la comunità rom, proprio in questi giorni tristemente saltata agli onori della cronaca. Dopo il tentato rapimento di un bimbo di sei mesi da parte di una sedicenne rom, infatti, la popolazione locale di Ponticelli ha avviato una vera e propria caccia all’uomo fatta di spranghe e molotov, scagliate contro il campo nomadi locale. È stato, pertanto, necessario evacuare la zona. Contestualmente, il nuovo governo Berlusconi promette battaglia in questo senso, promuovendo l’ipotesi di un poteri straordinari o, addirittura, di un Commissario straordinario per affrontare l’“emergenza româ€. In realtà , quando si parla di comunità di nomadi, bisogna fare attenzione alla frammentazione ed eterogeneità di tale soggetto, dal momento che esso non si configura come un corpo unico. A Napoli ed in Campania, infatti, come in tutta Italia, i rom (qui chiamati Napulengre) si distinguono in gruppi diversi per provenienza: i polacchi, i romeni e gli slavi (Bosnia, Serbia, Croazia, Kosovo, Macedonia), soprattutto, per un totale nazionale di 120.000 persone in totale, di cui tra i 60.000 ed i 90.000 sono italiani e tra i 45.000 ed i 70.000 stranieri, ovvero nati al di fuori dell’Italia o in Italia da genitori non italiani. A Napoli e nella sua provincia, i campi nomadi sono particolarmente diffusi, per cui è chiaro che l’incidenza della presenza rom è sentita dalla popolazione locale. I principali centri romeni sono indubbiamente quelli di Poggioreale, innanzitutto, con circa 400 unità , nonché quello di Ponticelli, con 120 persone circa, della scuola “Deledda†di Soccavo (90 persone) e S. Maria del Pozzo, dove si sono rifugiati i 50 rom sgombrati da Ercolano nello scorso mese di luglio. Meno chiaro è, invece, il numero di rom che vivono nella zone el Frullane, a viale Maddalena e a S. Giovanni Bosco. Per quanto concerne, invece, i rom di etnia slava, la principale concentrazione si ha nella zona che fa da cerniera tra Napoli e la sua provincia Nord: nei campi di Secondigliano e a Scampia, infatti, si stima risiedano rispettivamente circa 600 ed 800 persone, prevalentemente di fede ortodossa, anche se è ingente anche il numero di nomadi di fede islamica. L’altro principale campo rom slavo è, invece, a Giugliano, nei pressi dell’area ASI, in cui abitano circa 500 persone, molte delle quali concentrate nel cosiddetto “Campo 7â€, il più grande della zona. Anche in questo caso, sono sorti malumori da parte della popolazione, per quanto la voce più contraria sia indubbiamente stata quella dei titolari di impresa che esercitano all’interno del Consorzio, i quali hanno denunciato il danno – anche di immagine – che tale situazione arreca alla loro attività . Il “problema româ€, in questo senso, è una vicenda di antica data nella zona: basti pensare che, nel 2005, vi fu un arbitrario tentativo di muratura dell’area nomade, a testimonianza di quanto la presenza slava sia sgradita. Alla luce delle più recenti vicende di cronaca, l’“emergenza rom†è tornata inesorabilmente alla ribalta. Ciò che preoccupa maggiormente sono le drammatiche condizioni sociali in cui si trovano a vivere i nomadi: i campi, infatti, sono molto spesso carenti o privi di qualunque struttura igienico – sanitaria e di elettricità : ammassi di camper o baraccopoli costruiti in mezzo all’immondizia, i cui abitanti non disdegnano una vita ai margini – se non oltre – della legalità , soprattutto a danno dei bambini, spesso privato anche dei più elementari diritti dell’infanzia, come l’istruzione. È chiaro che tale situazione alimenta disagio sociale nell’ambito delle comunità ma, contestualmente, anche avversione da parte delle popolazioni locali, come avvenuto a Ponticelli, dove si è scatenata un’autentica “guerra tra poveri†durante la quale, addirittura, i cittadini del quartiere hanno razziato i campi abbandonati dai nomadi. Pertanto, diventa manifesta la necessità di intervenire mediante politiche efficaci, non di sola repressione, né, tanto meno, promuovere proclami ideologici pericolosi, che possano semplicemente favorire il clima da “pogrom†cui si è recentemente assistito a Napoli.